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domenica 29 aprile 2012

"QUANDO NON SI RISPETTANO I PATTI" /ANGOLO DEL GRIOT










C’era una volta un’anziana donna che, al suo villaggio, viveva da sola in una misera capanna di paglia e frasche, perché non aveva né marito, né figli, né parenti che potessero in qualche modo aiutarla a tirare avanti il meglio possibile la vita come lo è per tutti.
Così la poverina faceva per interi giorni e settimane la fame in quanto non aveva quasi mai nulla da mangiare.
Un bel giorno dunque, disperata, decise di risolvere il suo problema andando a fare nella fitta boscaglia, ai margini del villaggio, un po’ di legna da rivendere in seguito al mercato.
E così accadde.
Inoltratasi nella intricata vegetazione, ricca per altro d’ogni ben di Dio per il piacere della vista e del gusto, raggiunse un albero rigoglioso e fiorito,che le parve il più adatto al suo scopo.
Stava per cominciare a colpirlo con il suo rudimentale attrezzo da taglio quando la voce dell’albero, il cui nome seppe che era Musiwa, si fece sentire e la paralizzò nel gesto.
Comprensivo del dramma della vecchia, Musiwa però, per avere risparmiata la “sua” di vita, le propose un patto. E cioè di cogliere piuttosto tutti i suoi bei fiori, che si sarebbero trasformati, una volta al villaggio, in tanti figli maschi e figlie femmine, che l’avrebbero collaborata nelle fatiche e aiutata pertanto a sopravvivere con dignità.
L’unica raccomandazione da rispettare assolutamente è- sottolineò l’albero di nome Musiwa- quella di non rimproverare mai, e per nessuna ragione, i suoi giovani e adesso numerosissimi figli.
La donna accettò tutta contenta e se ne tornò alla capanna, dove i fiori in effetti divennero all’improvviso, come appunto per magia, dei robusti giovani e delle belle e laboriose fanciulle.
La vita scorreva oramai serena al villaggio per l’anziana donna in quanto davvero ciascuno faceva i suoi lavori e la sua parte senza bisogno di sollecitazione alcuna.
I maschi dissodavano la terra o andavano a caccia o a pesca mentre le femmine si recavano a prendere l’acqua lontano , si davano da fare a cercare legna per accendere il fuoco. E cucinavano quasi sempre gustose pietanze da leccarsi letteralmente i baffi.
E naturalmente l’anziana donna faceva sempre grande attenzione a non rimproverare nessuno di essi.
E questo anche quando qualche osservazione forse ci sarebbe potuta stare.
Un malaugurato giorno tuttavia, come capita agli anziani, era di malumore e perse la pazienza e, con essa anche la memoria, con la più piccola delle fanciulle, che si era messa d’un tratto a urlare come una forsennata, dicendo di avere fame, e di voler essere servita ,e subito, da lei.
Non lo avesse mai fatto che arrivarono, come qualcuno li avesse richiamati, tutti i fratelli e le sorelle, i quali, vista la scarsa disponibilità della vecchia, altro non fecero che girare i tacchi, dichiarando ad alta voce che sarebbero ritornati immediatamente dal loro padre Musiwa.
E, infatti, abbandonarono villaggio, capanna e donna.
A quel punto la gente del villaggio, che prima aveva invidiata l’anziana, rise di lei.
E la disgraziata, ricaduta in miseria, finì con il morire di stenti, di fame e di fatiche senza che nessuno si movesse più a compassione per lei.

sabato 28 aprile 2012

"SASSI" di Marianna Micheluzzi / SPAZIO POESIA








Il cammino in salita che porta da te
è lastricato di sassi aguzzi e di erbe avvizzite.
Si rischia di cadere se il passo è incerto.

E tu lo sai.

Ma abbassando lo sguardo nel percorso,
che non è non agevole,
un oggetto cattura la vista.
E l’emotività un po’ frena l’andatura.


Mi piego e raccolgo.
E il gesto è immediato.
Mi pare di riconoscerlo.
Anzi lo riconosco.

E’ di Lei.

E’ un fazzoletto sgualcito e sul bianco del lino
ha macchie di rossetto di un rosso carminio.

Con puntiglioso piacere lo metto da parte
mentre le ombre della sera calano e
l’umido penetra violento la persona tutta.

Pensiero dominante sulla via del ritorno
a futura memoria
di bugie suadenti
e d’ inganni sfacciati .
E di ricatti.
Indicibili.


     di Marianna Micheluzzi










venerdì 27 aprile 2012

SUDAN / PETROLIO / UNA FRONTIERA DIFFICILE E LE PRETESE DI EL BASHIR






A quanto pare non c’è in prospettiva immediata nessuna distensione nel conflitto in corso tra il Sudan del Nord quello di el Bashir e il Sud-Sudan di Selva Kiir.
Anzi, in una calma soltanto apparente delle ultime ore, le autorità governative di Karthoum hanno pensato di varare delle misure di austerità, che peseranno non poco sulla popolazione civile.
Il primo provvedimento riguarda il razionamento dei carburanti e quindi una riduzione del consumo, che non rallegra certo i trasportatori e paralizza l’economia interna del nord.
E questo provvedimento è motivato con la necessità assoluta che le forze armate del Nord hanno di benzina e di gasolio per trazione a causa degli scontri frontalieri tra i due Paesi africani.
Segue la disponibilità imposta ai funzionari statali di cedere due giornate lavorative dal proprio salario all’esercito per le correnti spese militari.
E, ancora, tutte le amministrazioni e le compagnie statali operanti sul territorio dovranno cedere parte del loro budget.
Questo significa che nell’area petrolifera di Heglig, oggetto di contesa tra nord e sud, non ci sarà pace e per parecchio tempo.
La soluzione sarebbe individuabile in una possibile costruzione di un nuovo oleodotto, che consentirebbe al Sud-Sudan un diverso sbocco al mare del greggio stavolta in direzione del Kenya, piuttosto che ricorrere all’attuale oleodotto di proprietà di Karthoum ,per poter vendere il proprio prodotto senza interferenze.
Ma Karthoum non è dello stesso avviso. Le gabelle farebbero molto comodo ad el Bashir e ai suoi sostenitori, per cui, senza nuovo oleodotto, sarà certamente guerra ad oltranza.
Per costruire il nuovo oleodotto ,il presidente sud-sudanese, Selva Kiir ,batte cassa con i cinesi, i quali sono sì interessati al petrolio sudanese, che prima acquistavano dal nord e che oggi sono costretti a comperare dal novello Stato, il Sud-Sudan, ma quanto a denari hanno già fatto capire che non c’è nessuna disponibilità di esborso, almeno nell’immediato.
Infatti, dati alla mano, i grandi investimenti cinesi in Africa stanno subendo, un po’ dappertutto, notevoli riduzioni, perché Pechino, quanto a entrate di bilancio, non marcia più spedito come ai vecchi tempi. Ed è vero. Anche l’economia cinese (basta consultare le fonti adeguate) , comincia, infatti, ad affannare e fa fatica a tenere il passo. L’unica promessa che ha potuto fare la Cina al presidente Kiir (il presidente del Sud-Sudan era in visita a Pechino in questi giorni) è stata solo quella di essere disponibile ad inviare un mediatore politico-diplomatico per cercare un accordo tra i due Paesi contendenti.
Ed è, visto come stanno le cose e quelle che sono le reali intenzioni di el Bashir, comunque poco.
Seva Kiir, di sicuro, si aspettava molto di più.

giovedì 26 aprile 2012

NIGERIA / GLI ATTENTATI SI RIPETONO E SI CONTINUA A MORIRE







E’ notizia di poche ore fa di due nuovi attentati, avvenuti rispettivamente ad Abuja, la capitale, e a Kaduna, città settentrionale della Nigeria.
Ad Abuja l’attentato è stato opera di un attentatore suicida, come riferiscono fonti ben informate. E l’obiettivo non era altro che le costruzioni della sede del quotidiano “This Day”,dove l’uomo si è diretto con la propria automobile, facendosi esplodere prima ancora di superare i cancelli dell’area in questione.
Di Kaduna, dove ci sono state delle vittime, almeno quattro finora, si sa poco e le notizie, che giungono, sono piuttosto confuse. Ma in entrambe le località sono state ferite diverse persone, che al momento si trovano ricoverate in ospedale per ustioni.
I sospetti cadono inevitabilmente su Boko Haram, la nota organizzazione islamista, che contesta tutto ciò che sa di occidentale, in primis il cristianesimo, e che ritiene l’attuale governo del Partito democratico del popolo Pdp) non in linea con quelle che sono le aspettative della popolazione nigeriana, in prevalenza di confessione musulmana.
E l’attendibilità di questa supposta ipotesi potrebbe scaturire dal fatto che la proprietà del giornale è di un potente uomo d’affari del luogo,tale Nkuda Obaigbena, un boss nel mondo dei “media”, sostenitore del Pdp e amico dell’attuale amministrazione statunitense.
Ma ufficialmente, a quello che è dato sapere, non ci sono state reali minacce di questi tempi nei confronti del “This Day” da parte di Boko Haram che, per altro, ultimamente è molto diviso al suo interno in merito agli obiettivi e alle strategie della sua lotta.
Resta il fatto che, nell’incertezza generale in cui si muovono i giornali in Nigeria, essi hanno un po’ tutti di fatto il bavaglio alla bocca e chiudono spesso occhi e orecchie per timore di ritorsioni.
Che inoltre gli stessi giornalisti temano giornalmente per la loro personale incolumità e che la popolazione civile possa trovarsi coinvolta, senza volerlo, in attentati dove ci scappa quasi sempre il morto, sono purtroppo altre scomodissime verità.
E la cosa meraviglia relativamente se lo stesso Wole Soyinka, il noto Nobel nigeriano per la letteratura, di recente in Italia per una manifestazione culturale a Pordenone,in Friuli, parlando del proprio Paese, non ha esitato a definire la sua gente un popolo rassegnato e forse un po’ troppo vittimista e a manifestare però , quando intervistato, estrema prudenza nell’esprimersi a proposito della situazione politica odierna della sua Nigeria.
E questo non è un buon segnale se una personalità del calibro di Soyinka, riferendosi a dei giovani che dovrebbero con urgenza impegnarsi in politica, si limita a parlare da parte sua di solo appoggio morale e lascia loro senza guida, pilatescamente, l’onere di riempire questi impegni di contenuti.
L’impotenza generale della gente comune e certe reticenze di uomini di cultura connotano con molta chiarezza il clima che si respira nel Paese
.E in parte giustificano il loro, che è anche il nostro disorientamento, quando vogliamo provare a comprendere e non riusciamo.




A cura di Marianna Micheluzzi (Ukundimana)

UNICEF /RAPPORTO 2012 / I NUMERI PARLANO CHIARI / OCCORRE FARE










Tolte le parentesi di poesia, che alleviano le complessità del quotidiano, richiamano piuttosto alla realtà e fanno invece riflettere su problemi seri, come quelli legati alla condizione degli adolescenti in Africa, tutti i numeri dell’ultimo Rapporto Unicef, presentato alla stampa giorni fa.
Sul che fare e, soprattutto, sul come fare per dare una soluzione al “garbuglio” non è certo cosa semplice e agevole perché, nonostante i progressi degli ultimi vent’anni,che l’Unicef ovviamente sottolinea in ogni pagina del testo, per la gioventù africana c’è ancora molto da fare.
L’Unicef , o meglio i suoi esperti,considera età adolescenziale la fascia compresa tra i 10 e i 19 anni e nel nuovo Rapporto (“Progress for Children. A Report Card on Adolescents”) evidenzia le conseguenze allarmanti del permanere di un progresso diseguale tra il Nord del mondo e i Paesi in via di sviluppo(PVS).
Nulla di nuovo certo,perché non c’erano dubbi che così fosse,specie in termini d’istruzione e di salute, prerequisiti per poter vivere, in prospettiva, una vita normale. E potersi costruire anche un avvenire certo.
Semmai il nodo da sciogliere è quello di come attuare un corretta inversione,ormai intramandabile persino in Africa.
E c’è da chiedersi però, prima d’iniziare l’opera, e lo farebbe anche l’uomo della strada non particolarmente esperto di questioni africane, com’è possibile una qualsivoglia soluzione in un’Africa che è sempre, o quasi sempre, in guerra con potenze straniere, che rubano ad ogni passo, ancora oggi che il colonialismo militare è finito da un pezzo.
E, se proprio non prendono con destrezza e a mano bassa, è più che evidente che soffiano sul fuoco per alimentare conflittualità, mal sopite, appena l’occasione si presenta loro propizia.
Penso infatti, nell’immediato, ai rapporti, tra Cina e i due Sudan, per esempio, e all’ultima guerra del petrolio.
E mi vengono in mente i disastri e i morti,di cui è stata teatro ,e lo sarà ancora per molto probabilmente, la zona petrolifera e la città fantasma di Heglig.
Se comunque rimane ed è sacrosanto diritto dei giovani africani avere un’istruzione e per giunta di qualità, al fine di poter partecipare alla vita sociale e politica del proprio contesto di riferimento, com’è normale che sia, perché l’Africa cresca sul serio camminando sulle proprie gambe, e avere al contempo la giusta protezione e assistenza sanitaria, occorre attivarsi con strategie efficaci,che non siano però solo parole o libro dei sogni e, nemmeno cicaleggi ,e che rispondano ai bisogni.
L’ottica con cui rispondere deve essere in definitiva, la loro e non la nostra, fermo restando che nulla va lesinato in termini d’innovazione specie per quanto concerne le nuove tecnologie.
Ritornando ai numeri del Rapporto Unicef si legge, e spaventa, di almeno un milione e mezzo di giovani che in Africa muoiono, all’infuori delle note guerre e guerriglie, per incidenti stradali, complicazioni di parto, suicidi, Aids, e/o violenze varie.
A proposito delle violenze ,nella Repubblica Democratica del Congo, ad esempio il 70% delle giovani donne sposate sono quotidianamente oggetto di violenze domestiche. E i parti, non solo in Congo, frequenti e numerosi, avvengono spesso in età precedente ai diciotto anni così come i matrimoni , in età precoce, e cioè prima dei quindici anni.
Se complessivamente maschi e femmine frequentano nei Paesi poveri quasi al 90% la scuola primaria, la secondaria è disertata o quasi dalle femmine, che sono dalle famiglie deputate al lavoro domestico oltre che a quello dei campi.
E sempre l’Africa sub sahariana continua purtroppo attualmente ad indossare la maglia nera nell’istruzione.
Questo significa che nell’ Africa-subsahariana ,come in altri Paesi in via di sviluppo ,“difficili” (vedi Asia meridionale), globalmente, sul totale censito, 127 milioni di giovani, tra i 15 e i 24 anni, risultano ancora essere, ai nostri giorni, degli analfabeti.
Se è vero che l’istruzione adeguata può battere la povertà morale e materiale e offrire anche una vita più sana, grazie alla corretta informazione, l’unico percorso da compiere è trovare le modalità per il raggiungimento dell’obiettivo. Senza mai cedere allo scoraggiamento e provandole proprio tutte.
Ma non dimenticando mai chi sono gli autentici agenti del cambiamento e ricordandosi sempre che nessun sapere, calato dall’alto, se non condiviso, può essere efficace. E specie lì dove s’è creato, nel tempo, per l’egoismo e per la supponenza dell’uomo, un enorme divario storico-temporale.



A cura di Marianna Micheluzzi (Ukundimana)

mercoledì 25 aprile 2012

UNITA' DUALE / LEGGERE POESIA





Unità duale sei ferita che non si rimargina /sei graffio che brucia/sei sofferenza di una interminabile vita./ Sei tratto nervoso e ambiguità scomposta./Sei grido inascoltato./ Sei colori cupi e labirinto di parole “non sense”./ La maschera cela il dramma del millantato oracolo. /E la città è solo un vuoto palcoscenico/ dove gli attori sono in sciopero .



di Marianna Micheluzzi






     Il dipinto che accompagna il testo è del pittore spagnolo Joseph Segui Rico

RIPRESA TURISTICA IN TUNISIA / MA SI PUO' E SI DEVE FARE DI PIU'





Il turismo in Tunisia ha costituito da sempre una voce importante della sua bilancia commerciale e, solo a causa della Rivoluzione dei Gelsomini prima,che però ha portato libertà, e degli eventi bellici nella vicina Libia dopo,essa ha visto purtroppo, da un anno a questa parte, calare notevolmente il flusso di denaro proveniente da questo genere di entrate.
In particolare le ha viste e sofferte strettamente quel 25% della popolazione, che si occupava proprio di turismo e che presumibilmente continuerà a farlo anche in un futuro prossimo.
Indotto incluso naturalmente .Il che non è cosa niente affatto trascurabile, considerando il bisogno di lavoro che c’è.
Ma, a quanto riferiscono fonti ben informate del ministero del turismo tunisino, pare proprio che in questi giorni si registri invece, e stranamente, un’inversione di tendenza nel Paese maghrebino e si può già rilevare una discreta presenza di turisti stranieri, dai giapponesi ai francesi(mancano gli italiani), che riprendono ad affollare le sue incantevoli e rinomate spiagge .
E questo per la gente del posto significa, finalmente, poter riprendere un attimo fiato e guardare in avanti con una certa relativa tranquillità.
A Hammamet, ad esempio, i lavori di pulizia e di restauro del locale casinò fervono.
E si può ben supporre che, presto, molto presto, esso riaprirà definitivamente i battenti e accoglierà, come faceva del resto in passato(Craxi e amici insegnano), gli amanti del tavolo verde.
Così come Cartagine, certamente per un altro tipo di utenza, è la meta che non può non convogliare, numerosi, tutti coloro che, provenienti da ogni parte del mondo, sono appassionati di archeologia e di storia dell’Africa punica e romana.
E anche qui, a Cartagine , ovviamente la gente del luogo lavora, dandoci sotto con olio di gomito, per offrire il meglio che può a chi arriva.
E, ancora, per un turismo decisamente “sans souci”, come resistere al fascino ammaliatore del famoso villaggio degli artisti a Sidi Bou Said, a pochi chilometri da Tunisi, che merita d’essere visitato per provare, almeno una volta nella vita, il brivido di lasciarsi coinvolgere da quelli che sono i suoi colori, i suoi suoni e gli odori, così terribilmente caratteristici?
Per non parlare poi delle passeggiate nelle medine cittadine, tra i banchi stracolmi di mercanzie accattivanti e con i venditori esperti ,che invitano senza remore, quasi sfacciatamente, il turista ad acquistare, ad ogni passo.
Certamente non dobbiamo immaginare un libro dei sogni e perché tutto funzioni a pieno regime occorrerà un po’ di pazienza in più da parte dell’ospite anche perché le magre entrate del Paese non consentono il” tutto” e il “subito” alla perfezione.
E forse bisognerà anche essere capaci di chiudere un occhio o due per non vedere i carri-armati che ancora sono lì, in Avenue Bourghiba, a Tunisi.
Ma, intanto, tutta una serie di accordi, anche con il Governo italiano, sono in corso di trattative, specie per quel che riguarda la valorizzazione del patrimonio culturale e archeologico. Ed è un grande bene.
Accordi che si sperano sul serio vadano a buon fine, perché la Tunisia, data la brevità delle distanze, in termini di miglia marittime, è proprio, se per caso non ce ne fossimo accorti, la nostra quarta sponda.
E i tunisini, oltre alla loro proverbiale accoglienza, amano, anche per ragioni storiche, l’Italia e gli italiani.
Solidarietà, in questo caso, sarebbe anche quella di dare una mano alla ripresa del loro turismo piuttosto che andare alla ricerca di quelle terre lontane dai nomi impronunciabili e, di questi tempi, tanto modaiole.
Esotiche anch’esse certo ma, magari , a rischio tsunami.




A cura di Marianna Micheluzzi (Ukundimana)

UN KENYA CHE DOMANDA AUTONOMIA POLITICA E AMMINISTRATIVA C'E' E POI?





Quando parliamo di Kenya, dalle nostre parti pensiamo subito alle bellissime e interminabili distese di spiagge di sabbia fine lungo il mar Rosso, alle nostre immersioni e battute di pesca nell’oceano Indiano, ai villaggi vacanze o agli hotel a cinque stelle, dove tutto è perfetto per il turista occidentale, e nulla manca al riccone di turno in vena di totale evasione.
Se siamo però di quelli che leggono quasi ogni giorno il giornale,il nominare Malindi e i suoi dintorni, ci fa subito immaginare ,invece, anche forse l’eventualità di un possibile sequestro del quale poter essere probabili vittime o d’incursioni non proprio pacifiche nei resort’s, opera di fuoriusciti somali, entrati clandestinamente in territorio kenyota.
Se siamo( e qui la cosa si fa seria) di quelli che si occupano di cooperazione internazionale e/o politica estera, allora siamo certamente informati che laggiù, nonostante le immagini coloratissime e accattivanti in carta patinata delle riviste del settore o delle agenzie di viaggio, le cose non vanno poi del tutto troppo bene.
Più che i nostri principali quotidiani d’informazione ,del forte vento di secessione che soffia da parecchio tempo a questa parte nel Kenya costiero, ne racconta con dovizia di particolari un articolo del numero di aprile, di “Nigrizia”, la rivista mensile dei Comboniani di Verona.
Il problema di fondo di questo Kenya dai mille volti contraddittori, come baraccopoli malsane e fatiscenti, dove allignano miseria e malavita accanto al lusso sfrenato di certi contesti della capitale Nairobi o come porticcioli in cui sono attraccate imbarcazioni da sogno per i “vip” a fianco a poveri villaggi di pescatori, dove si stenta a mettere insieme un pasto al giorno, rimane ed è lo sfruttamento indebito di chi abita in particolare la costa e vive una sorta di emarginazione, non meritata, sulla sua stessa propria terra.
Ecco allora che, con manifestazioni che di questi tempi si susseguono, il Consiglio repubblicano di Mombasa, principale città costiera, chiede che la Provincia della Costa sia indipendente.
Dietro di esso,il CRM appunto, scrivono i redattori di “Nigrizia”, si cela un disagio che è difficile da quantificare.
Coloro che sostengono questa linea politica, in prospettiva delle prossime elezioni,ormai non troppo lontane, sono moltissimi uomini e donne con meno di trent’anni che, pur avendo studiato sono senza lavoro e senza neanche prospettive di racimolarne, a breve, alcuno.
I più fortunati, con basse mansioni, raccattano un lavoro stagionale appunto nei villaggi-vacanze.
Le lamentele dei manifestanti di “Pwani si Kenya” riguardano soprattutto la connivenza dei politici locali ( si pensi alle note lucrose “mazzette”che finiscono nelle banche svizzere o nei paradisi fiscali) con uomini d’affari, che arrivano da lontano o anche da Paesi altri dello stesso continente africano con il solo scopo di fare del Kenya costiero la propria esclusiva riserva di caccia.
Chi sostiene la secessione e per essa manifesta è anche convinto che, a cose fatte, tutto andrà per il meglio e le condizioni della gente certamente miglioreranno.
Ma l’interrogativo obbligato, con tutto il suo deposito di sedimenti dì ambiguità, permane.
Chi può dire che in un “dopo” sarà meglio o peggio?
L’unica certezza, al momento, è che le manifestazioni sono dichiaratamente pacifiche anche se la polizia locale non perde di vista i manifestanti.
E questo perché ,proprio perché si tratta di povera gente, si vogliono evitare possibili infiltrazioni degli Al-Shabaab somali e dunque possibili strumentalizzazioni politiche .


A cura di Marianna Micheluzzi (Ukundimana)

martedì 24 aprile 2012

"Le colline del coraggio" di Denise Gault /Un libro e una mostra fotografica a Tempio Pausania per raccontare il Madagascar





Nella cittadina di Tempio Pausania, sede della Diocesi di Tempio-Ampurias, a pochi chilometri da Olbia ,nella Biblioteca dell’Istituto Euromediterraneo , dal pomeriggio di venerdì 4 maggio e fino al 18 dello stesso mese, sarà possibile visitare una mostra fotografica dal titolo “Madagascar la grande isola rossa”,ossia 80 scatti di Giancarlo Manzoni, volontario sul campo di RTM, Ong di volontariato internazionale con sede a Reggio Emilia.
Contemporaneamente, lo stesso giorno, sempre Giancarlo Manzoni illustrerà al pubblico presente il libro-testimonianza di Denise Gault ,“Le colline del coraggio”, sottotitolo:” Le avventure di P.Pedro in Madagascar” edito da Effatà-edtrice-Torino.
Il libro della Gault, che verrà presentato, racconta appunto l’esperienza missionaria di padre Pedro,un prete lazzarista, che è stato per anni alle prese con il popolo della strada e delle discariche pubbliche di Tananarive, la capitale della grande isola d’Africa. L’universo degli”ultimi”.
Esso narra, in uno stile molto coinvolgente, l’impegno di questo sacerdote, coadiuvato da alcuni generosi volontari, per sottrarre uomini, donne, anziani e bambini al degrado del contesto in cui vivevano, fino a quando non c’è stato per loro quell’incontro provvidenziale.
Consente anche di seguire, passo dopo passo, la nascita di vere e proprie case, appunto le case sulle “colline del coraggio”, punto partenza indispensabile per una possibile ritrovata dignità di persona.
Soprattutto permette di assistere al processo di scolarizzazione per migliaia di bambini, un vero e proprio miracolo, che, in caso contrario, non avrebbero mai potuto neanche supporre di avere un eventuale qualsiasi avvenire.
E padre Pedro poi, che altri non è che un figlio d’immigrati sloveni in Argentina, proprio per il suo innato spirito di “giramondo”, è stato e rimane, in Madagascar e/o sotto qualunque altro cielo, un temerario difensore della giustizia, che nessun ostacolo riuscirà mai a fermare, specie quando la priorità assoluta e in tramandabile è quella che si chiama difesa dei poveri.
Sempre nei giorni di apertura della mostra fotografica, sarà possibile inoltre, nella attigua Sala-Congressi, visionare, volendo, anche il documentario “I volti della solidarietà- L’esperienza di Reggio Terzo Mondo in Madagascar”, l’Ong che ha consentito a Giancarlo Manzoni il resoconto fotografico.

AFRICA-CINA / UNA LOVE STORY FORSE DESTINATA A CALARE





Sembrerebbe dalle ultimissime indiscrezioni, sufficientemente fondate, che l’intesa d’amorosi sensi, che un tempo, non troppo lontano, legava i governanti africani al soldo profumato degli investimenti cinesi , in Africa, non sia più la stessa.
Gli africani, anche se all’Occidente piace raffigurarseli, ancora oggi, con l’anello al naso, non sono affatto degli sprovveduti.
E cioè prendono se c’è da prendere ,come fanno tutti. E danno, com’è naturale che sia, in un normalissimo e corretto scambio.
Ma sono ormai in grado di guardare in prospettiva e di non lasciarsi più abbindolare. E ciò vale ,in particolare, per la sua classe politica, di solito piuttosto attenta, avida e rampante, con pochissime eccezioni.
Sta di fatto che i cinesi in Africa, come anche nel resto del mondo, specie lì dove il bottino è agevolmente praticabile, sono a caccia di materie prime e di risorse strategiche, indispensabili alla propria ascesa economico –politico -finanziaria.
Non praticano certo – è chiarissimo – beneficenza .Altrimenti lo farebbero a casa propria, dove ce n’è un grande bisogno accanto alla totale assenza del rispetto dei più elementari diritti umani.
E questo gli africani lo sanno bene ma “pecunia non olet”.Mai.
Al di là del classico petrolio, dell’ uranio e del gas naturale anche il rame, che nello Zambia abbonda nel sottosuolo e che tempo fa aveva avuto un vistoso calo di mercato, interessa, guarda caso, il “dragone” di continuo affamato.
Infatti, in meno che si dicesse, i cinesi arrivano a Lusaka, tempo addietro, con i loro ingegneri, i loro tecnici e le loro maestranze. Cinesi, naturalmente.
E di questo ne approfitta, che non è molto, il candidato-presidente, oggi presidente a tutti gli effetti dello Zambia, dopo una campagna elettorale svolta tutta esclusivamente in chiave anti-cinese.
Ma quali,a suo tempo, le argomentazioni di Michael Sata?
La colonizzazione cinese non paga-egli sosteneva e continua a sostenere.
Erano preferibili- diceva Sata nei suoi pellegrinaggi elettorali di villaggio in villaggio - gli antichi colonizzatori, che ci fornivano in cambio dello sfruttamento almeno educazione e sanità .Sia pure-aggiungeva e aggiunge –alla loro discutibile maniera.
E questo populismo, ovviamente ben gestito, finisce subito col pagare.
Infatti Michael Sata vince la sua battaglia elettorale sul candidato avversario.
Ma sentimenti anti-cinesi non hanno avuto buon gioco solo in Zambia.
La vera autentica “patata bollente” per i cinesi è attualmente, ad esempio, quella che essi si ritrovano in Sudan.
A Karthoum tutto ciò che c’è di modernissimo, sofisticato e stupefacente, architettonicamente parlando (grattacieli avveneristici-hotel- residences) e sopratutto in materia di “consumi” ostentati, è opera dei cinesi che, in cambio del petrolio sudanese “pro domo sua” , hanno dato protezione massima ad al Bashir, ricercato per crimini contro l’umanità dal Tribunale Penale Internazionale de L’Aja e appoggiato la sua sporca politica, fatta di vessazioni, contro il Sud del Paese .
I cinesi, però, mai si sarebbero aspettati la nascita del Sud-Sudan e che Juba chiudesse poi energicamente i rubinetti del petrolio, che per giungere a Karthoum dovrebbe, di necessità, passare attraverso gli oleodotti costruiti dai cinesi.
Un problema, quest’ultimo che si è venuto a creare,e di non facile soluzione per nessuno.
Né per il nord del Sudan, che vede improvvisamente impoverita la sua economia.
Né per il Sud-Sudan, il nuovo Stato che, non avendo sbocchi, non sa come e dove convogliare il suo petrolio.
Né i cinesi che si trovano in male acque.
Ora i cinesi ultimamente sono sbarcati in Niger e sono ovviamente presenti in tantissimi altri Paesi africani.
Ma quanto durerà ?
Qualcosa si muove esattamente in direzione opposta perché le altre potenze, a livello mondiale, Europa e Usa in primis, non se ne stanno certamente a guardare.
E gli “sgambetti” in politica internazionale sono una consuetudine.



A cura di Marianna Micheluzzi (Ukundimana)



lunedì 23 aprile 2012

ESTETICA /IMMAGINAZIONE E CREATIVITA' NEL "TRITTICO" DI MIZE'




ESTETICA / IMMAGINAZIONE E CREATIVITA’ NEL “ TRITTICO” DI MIZE’

Un tempo la lettura che si dava delle “arti”, che fossero musica, poesia,pittura, scultura, danza, era quella da ricercare esclusivamente nel piacere che erano capaci di donare allo spettatore-fruitore e poi ancora quanto esse fossero lontane o vicine a quella che si chiama imitazione della natura.
Oggi l’estetica, ossia la filosofia dell’Arte,che nel mentre ha fatto passi da gigante, ci propone invece una molteplicità di chiavi di lettura, impossessarsi di una delle quali per l’analisi di un’opera, escludendo tutte le restanti,non è una cosa semplice.
A rendere agevole questo titanico tentativo di mediazione ci ha provato lo studioso romano Stefano Velotti, con il suo ultimo saggio “La filosofia e le arti”, edito da Laterza, che in questi giorni é in libreria per il piacere degli appassionati.
Sottotitolo molto eloquente: Sentire, pensare, immaginare.
La lettura del testo di Velotti è stato per me un ulteriore stimolo alla comprensione dell’impegno pittorico di un’artista-amica quale la portoghese Maria José Silva, nota Mizé, di cui abbiamo avuto già altre volte occasione di scrivere.
Dico questo perché Mizé, che fa un uso magistrale del colore nei suoi quadri, proprio a partire dall’utilizzo delle diverse tonalità di uno stesso o anche di più colori differenti, è in grado, ogni volta che si mette all’opera, di raccontarci una storia sempre nuova e sempre diversa .
E non pensate assolutamente al limitante figurativo, perché sareste sul percorso sbagliato.
Mentre scrivo, penso all’ ultima “creatura” di Maria José Silva e cioè a TRITTICO, dove giallo e rosso(per altro i miei colori preferiti) s’incontrano e si scontrano, per narrarci di solarità e di amore. Amore per la natura, amore per tutte le creature del creato. Dall’animale ferito e abbandonato sul ciglio della strada a quei relitti umani, uomini e donne, che non hanno più posto alcuno nel nostro mondo oggi più che mai giudicante ed escludente.
Racconti sempre però amorevoli e garbati. Come amorevole e garbata è, infatti, colei che narra.
Il problema in arte però è anche questo.
La provocazione è di Velotti.
Che differenza c’è tra un oggetto reale, quale che esso sia, e la sua rappresentazione artistica?
Secondo Goodman ad esempio- scrive Velotti - gli oggetti reali sono già somiglianti a se stessi. Mentre solo attraverso la rappresentazione artistica essi subiscono una sorta di trasformazione, di quasi metamorfosi che sa di magico, e sono in grado di coinvolgerci, ipso facto, in quello che è poi il mondo dell’artista.
E consentirci così una lettura diversa. Quella lettura giusta appunto.
Ma ben più determinante nell’approccio all’arte, e questo calza perfettamente con tutta la produzione artistica della nostra pittrice portoghese, dai primi paesaggi molto romantici, alle delicatissime figure femminili , fino ai tentativi sull’astratto e sul concettuale, è saper provocare, riuscire a stimolare in chi guarda e osserva, la cosiddetta immaginazione, che è una delle funzioni cognitive più comuni nella nostra consueta percezione della realtà.
E da quel momento( perché c’innamoriamo di un quadro o di una scultura piuttosto che di un’altra?) ha inizio tutto un genere di conoscenza diversa dell’oggetto, e del reale in cui è calato lo stesso oggetto, e facciamo esperienza di un processo emotivo, sensibile, che per ciascuno di noi é molto particolare.
Accade una specie di attrazione fatale come si verifica nella fase dell’innamoramento appunto, che avvertiamo e che, al tempo stesso, non siamo quasi mai in grado di spiegare a noi stessi e meno che mai agli altri.
.E’ il gioco” un po’ tirannico” del demiurgo-artista.
Di tutti quegli artisti che sono realmente tali.
E questo è anche quello che accade se ci soffermiamo ad osservare le pitture di Maria José Silva.
Il creatore, o la creatrice, nel nostro caso, trattandosi di Mizé, che esprime tutta la propria creatività, figlia comunque di una cultura e di un contesto specifico,che può anche divenire “transculturale ”volendo, e dall’altra noi, comunissime persone, dotate di sensibilità, dal quale l’artista, grazie al suo lavoro, riesce a trarre fuori, come da un baule polveroso, riposto in soffitta, all’improvviso, tutta la nostra sbrigliata immaginazione.
Osservate TRITTICO e mi saprete dire le mille e una storia che riuscirete a costruire voi con la vostra stessa immaginazione.
Io non aggiungo altro.
Se si sperimenta infatti, dopo un’osservazione attenta del quadro, di chiudere gli occhi per un attimo e ricordare a memoria il colore e il tratto, l’ immaginazione ci conduce su sentieri mai prima battuti e ci consente la costruzione di storie, che hanno tutti i profumi e i sapori di quella terra portoghese, di cui Mizé è figlia.
Provare per credere.
Non aggiungo e non voglio aggiungere altro
E… naturalmente, buona immaginazione.

di Marianna Micheluzzi.

AMBIENTE E' IMPORTANTE /ANCHE L'AFRICA L'HA CAPITO







L’Earth Day, una giornata speciale come quella vissuta ieri per una riflessione seria sulle condizioni del nostro Pianeta, è stato e rappresenta un invito a proteggerne ovunque nel mondo le risorse naturali, che sono poi, senza retorica alcuna, la nostra stessa vita e quella delle generazioni che verranno dopo di noi.
In Africa, ma non solo, il problema del taglio indiscriminato delle foreste c’è ed è quel “quid” che va assolutamente risolto anche se c’è tutta la consapevolezza che, in certe realtà e incerti contesti, non può esserci ovviamente una coscienza ecologica come la si può intendere in Occidente.
Va aggiunto, per onestà, tuttavia che gli abitanti delle zone rurali dell’Africa non sono certo loro la causa dei disastri ambientali, in quanto obbligati ad utilizzare la legna per cucinare e per riscaldarsi, lì dove appunto non c’è altro.
Speculazioni e responsabilità vanno, senza ombra di dubbio, e lo sappiamo bene , ricercate altrove.
Governi ladri e compiacenti, uniti a multinazionali del settore in cerca di affari facili e a buon mercato sono proprio come “il gatto e lavolpe”di collodiana memoria
Pertanto l’eurodeputata austriaca Elisabeth Costinger si è fatta latrice, che è poco, presso il Parlamento europeo,che lo ha ratificato in tempi brevi, di un provvedimento riguardante l’Unione Europea e i diversi governi africani in merito al fatto che si possono accettare in Europa solo legni certificati, proprio perché si abbia nel mondo, d’ora in avanti, esclusivamente un’ industria e un commercio del legno sostenibili.
Le risorse forestali strettamente riguardanti l’Africa sono a tutt’oggi appena il 20% del totale del continente africano. Possiamo immaginare il significato di tale depauperamento.
Gli accordi firmati in precedenza con i Governi africani riguardavano già il Camerun, il Ghana e il Congo Brazzaville.
Ultimi in ordine di tempo, qualche giorno fa, sono arrivati a firmare anche i Governi della Liberia e della Repubblica Centrafricana.
Sono attesi, sempre dall’Africa, gli accordi governativi con il Gabon e con la Repubblica Democratica del Congo.Anche se per quest’ultima la strada sarà molto in salita.
Fuori dall’Africa gli accordi già stipulati con l’Unione Europea riguardano Indonesia, Malesia e Vietnam.
Cambiando tema, ma l’argomento è ugualmente di vitalissima importanza per la sopravvivenza del Pianeta, lo scorso 19 aprile si è svolta a Tunisi, per la quarta volta, la consueta Assemblea generale dell’Osservatorio Sahara-Sahel, di cui i “media” hanno già dato ampiamente notizia a proposito delle supposte enormi risorse idriche giacenti nel sottosuolo dell’Africana sub- sahariana, i cui governi devono pensare solo ad elaborare adesso dei quadri giuridici che ne consentano il reciproco utilizzo agli interessati.
Dei 27 Paesi facenti parte dell’Assemblea, 22 sono le nazioni africane e 5 sono le occidentali( Italia, Canada,Francia,Germania, Svizzera).
L’obiettivo, anche per l’acqua, bene insostituibile e dunque prezioso, è quello di creare un partenariato Nord-Sud.
Possibilmente, però, senza fare ricorso a furbizie prevedibili.
In conclusione, solo una corretta e responsabile gestione dell’ambiente da parte di tutti, a tutte le latitudini, consentirà agli umani come alle altre specie vitali di poter continuare a sopravvivere. O meglio di vivere com’era al principio dei tempi quando tutte le cose erano buone.
L’Africa l’ha capito, il resto del mondo deve per forza di cose andarle dietro.






A cura di Marianna Micheluzzi (Ukundimana)

domenica 22 aprile 2012

LA VANITA' FA SEMPRE DANNI /ANGOLO DEL GRIOT



LA VANITA’ FA SEMPRE DANNI

C’era una volta, nel solito villaggio africano, una lepre e un leone che, quasi per caso,un giorno erano divenuti amici.
Ma non solo. Avevano, infatti, deciso anche di mettersi insieme in affari.
Il leone sarebbe andato a caccia giornalmente e la lepre poi avrebbe provveduto a fare essiccare e conservare, con adeguata perizia, la carne delle prede da conservare per i periodi di “magra” .
Le cose ai due soci per un bel po’ di tempo andarono egregiamente.
Un malcapitato giorno , mentre la lepre era all’opera,si presentarono però due iene che, con prepotenza pretesero e rubarono tutta la carne.
E ogni volta che c’era da scuoiare le prede e metterle al sole ad essiccare, era sempre la stessa storia e il medesimo agire da prepotente da parte delle iene.
Esse arrivavano, rubavano e scappavano via.
Allora ,disperata, la lepre pensò bene di costruire sul posto una trappola nella speranza-certezza di mettere fine ai ripetuti furti.
Ma, di rientro dalla caccia, inavvertitamente, il leone che non sapeva niente, fu proprio lui a cadere nella trappola costruita per le iene e purtroppo, per la violenza del tonfo, morì.
Così la lepre , che si trovava punto e da capo, ebbe un’idea, che definire luminosa è terribilmente riduttivo.
Tolse all’amico leone la sua pelle, lavò il corpo a dovere,lo riempì di erbe aromatiche e lo impagliò come si fa per imbalsamare un cadavere.
Ad operazione terminata ,legò intorno al collo del leone una bella fune e si mise ad attendere l’arrivo delle iene e la loro consueta richiesta di carne.
Stavolta, contrariamente al solito, la lepre si mostrò generosa con le iene e, addirittura, ad una di esse propose d’indossare una collana di sua fattura.
Questa, per vanità, senza troppo farsi pregare, accettò prontamente.
Ma la collana altro non era che l’altro capo della corda, che teneva legato il leone impagliato.
Così, mentre le iene si allontanavano con la carne, voltandosi indietro ebbero di continuo la sensazione d’essere inseguite dal leone.
Spaventate più che mai, corsero pertanto a rifugiarsi nella loro tana e da lì non poterono più uscire.
Perché, tutte le volte che mettevano fuori il capo per sbirciare il via libera, c’era sempre il leone in agguato.
E naturalmente, com’era inevitabile, alla fine le nostre iene, che avevano ceduto alla vanità, finirono per morire di fame proprio come aveva previsto, fin dall’inizio la lepre, che era riuscita in tal modo a vendicare se stessa e l’amico leone.



A cura di Marianna Micheluzzi (Ukundimana)






Liberamente tratto e adattato da "Leggende della Madre Africa"-Arcana Editrice

sabato 21 aprile 2012

PICCOLA DONNA DI TANZANIA





Piccola donna e mamma di Tanzania di te io non so nulla.
T’immagino di certo giovane e bella
con la tua pelle d’ebano , i capelli ricciuti e il passo elastico e sicuro.
Ti penso, a quanto dicono, avviluppata tra le spire di un male antico quanto oscuro.
Creatura impotente e smarrita.
Mentre impietosi occhi indagatori ti squadrano
senza poter far nulla.

Fragile sei come il bimbo, che stringi tra le braccia.
Io mi domando, senza risposta, che ne sarà di te a breve?
Confusa ti dimeni, seminando ancestrali paure tra gli astanti
E tuttavia le tue grida infrangono un cielo sordo.

Raccolgo il tuo dolore solo per affiancarlo ai tanti
di tutte le altre donne, bambine, giovani o vecchie,avvezze
da sempre a sofferenze in terra d’Africa.
Lo condivido sì , lo rendo noto ma, senza soluzione, è proprio poca cosa.
Anzi pochissima.
Farà il dottore bianco, nel grande ospedale di città, quel qualcosa per te ?
Sempre più spesso sento raccontare di altre come te.
Tutte uguali e compagne nel dolore.
Che accade laggiù?

L’Africa sta cambiando e noi non vogliamo vedere.
Parliamo di riti, di stregonerie, di magie e di accidenti vari.
Giusto per tacitare la coscienza.
La verità è altrove e forse più semplice che mai.
Piccola donna di Tanzania, e donne tue compagne nel dolore,
siete voi invece che state aprendo gli occhi e ciò che vedete non vi piace.
Non vi piace proprio più.
E lo gridate scompostamente purché qualcuno presti orecchio.


di Marianna Micheluzzi

COME L'AFRICA GUARDA ALLE ELEZIONI FRANCESI DI DOMANI







In Africa, facendo un calcolo molto elementare, sono al momento 17 le ex-colonie francesi, che si aspetterebbero un risultato utile anche ai propri interessi dalle elezioni presidenziali di Francia, domani, domenica, 22 aprile.
Nell’elenco dei dieci candidati , che competono, i più noti sono, anche nel continente africano, Nicolas Sarkozy e François Hollande.
Il primo è certamente poco amato dagli africani per tutta una serie di motivazioni più che valide,a cominciare dalla politica “destroide” svolta negli anni della sua presidenza in Francia nei confronti degli immigrati e specie dei musulmani e che, per quest’ultimi, ha comportato una miriade di restrizioni sgradevolissime.
L’altro,il socialista François Hollande, potrebbe far sperare in positivo ma la stampa africana francofona è dimidiata.
C’è chi valuta Hollande l’uomo “nuovo” e quindi il più disponibile forse ad un dialogo costruttivo con l’Africa e le ex-colonie e chi, invece, lo ritiene decisamente uno sprovveduto in materia di politica estera ed ignaro sopratutto dei reali bisogni dei Paesi africani.
Il fatto è che comunque la Francia non cessa,quale che sia il candidato-Presidente, una volta eletto, di avere le mani in pasto in Africa( Françafrique) più per prendere che per dare.
Proprio come è stato durante il periodo coloniale e continua oggi con le più disparate e sofisticate forme di neocolonialismo.
Non dimentichiamo, ad esempio, la presenza sul continente nero tanto della nota Areva quanto di Elf-Total.
Ricordiamoci ancora che di recente, nel corso della guerra civile in Costa d’Avorio, i soldati francesi dell’operazione “Licorne” hanno sostenuto apertamente i caschi blu dell’Onuci e le forze pro-Ouattara, perché maggiormente gradito quest’ultimo all’Eliseo.
Diciamo che un’Africa, comunque in crescita, e sia pure tra luci ed ombre, è proprio questo che non vuole più. Basta ingerenze indebite – dicono gli africani.
Inoltre l’odierna situazione politica interna dell’Africa è costellata di parecchie problematiche tutte irrisolte.
Ci sono il Mali e la Guinea Bissau, con i loro recenti golpe militari, che vanno alla ricerca di governi stabili e di uno sviluppo sostenibile per poter dare un futuro alla propria gente.
Quanto accaduto in Libia lo sappiamo ma, con difficoltà, riusciamo poi ad immaginare le conseguenze effettive nel Paese e in quelli vicini.
E parlo del Niger e del Camerun ma non solo.
La fine della Libia di Gheddafi ha fatto ritornare indietro ai propri paesi d’origine, fin in Egitto, moltissimi lavoratori immigrati, che non hanno più reddito. Quindi nuove povertà che si aggiungono alle vecchie.E gestione difficile del contesto socio-politico.
Sul Congo di Kabila e il silenzio di Sarkozy, a proposito degli sfacciatissimi brogli elettorali delle ultime elezioni congolesi nonché delle violenze e dei soprusi commessi in terra d’Africa, cali un velo pietoso ma non si dimentichi.
Sulla base, dunque, di differenti posizioni politiche i “media” africani attendono ansiosi la giornata di domani per conoscere, in parte almeno, e in base ai risultati, cosa l’Africa ex-francese deve attendersi.
Ma molti sono già convinti, come del resto lo è in Europa, che si arriverà al ballottaggio.


di Marianna Micheluzzi

lunedì 16 aprile 2012

DISTANZE GEOGRAFICHE di Marianna Micheluzzi





DISTANZE GEOGRAFICHE

Ti chiedo solo di non trasformare il mio
sorriso in un dagherrotipo polveroso
dimenticato al fondo di un cassetto.


Se il web non ci sta vivi lo stesso
emozioni e i loro cerchi concentrici
giungeranno anche all’altra sponda.


Di rimando arriverà in un viaggio
notturno il chiavistello che apre
la porta dei sogni.


Che non è certo la porta arrugginita
dalla salsedine dell’oceano scontroso
bensì quella del cuore vero della gente .

Di chi incurante senza remore o timori
oltrepassate le ombre rovinose
di città morte incontra nuova vita
per piazze strade e vicoli tra sabbia e vento.

Per un esistere che non è
mai parodia della libertà.
Solo sfida di fedeltà. Piuttosto.




Marianna Micheluzzi








domenica 1 aprile 2012

IL PAROSSISMO DELLA REALTA' / POESIA PER GIOCO



IL PAROSSISMO DELLA REALTA’

Verde mela,mela acerba.
Nouvelle cusine.
Tempo contratto, tempo prolungato.
Senza soluzione di continuità.
Alla maniera di Dalì.
Processione di falli in città.
Priapo che ritorna e piace.
Clementine dice : io me ne sto.
L’equilibrista sul filo invece: io mi esibisco.



di Marianna Micheluzzi


Il dipinto che accompagna il testo è del pittore spagnolo Joseph Segui Rico