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sabato 30 marzo 2013

The rise of the South /Rapporto Onu (ISU)2013






Nel Rapporto ISU 2013 e cioè quello relativo all’indice di sviluppo umano, redatto da un pool di esperti incaricati dall’ Onu, desta particolare interesse, a livello internazionale, la condizione di crescita di parecchi Paesi come sopratutto la Cina, l'India, il Brasile, la Turchia, il Messico e il Sudafrica, che fino ad alcuni anni fa avevano gli standard più bassi del mondo.

L’ISU ( acronimo di indice di sviluppo umano) viene calcolato in base a tre indicatori specifici, che sono la possibilità di una vita lunga e sana, l’accesso alla conoscenza, uno standard di vita dignitoso.

Nella classifica mondiale l’Italia si posiziona al venticinquesimo posto su 187 nazioni prese in considerazione.

In particolare per quanto riguarda l’indice di disuguaglianza per genere il nostro Paese è all’undicesimo posto.

Infatti il 68% delle donne italiane adulte ha un livello di istruzione secondario o superiore e il 38% partecipa al mercato del lavoro e risulta essere molto più avanti rispetto ad altri Paesi d’Europa come, ad esempio, il Regno Unito, che si posiziona in classifica al trentaquattresimo posto.

                   
                                 


               a cura di Marianna Micheluzzi (Ukundimana)






venerdì 29 marzo 2013

Realismo è scommessa sulla "grazia" / Note in margine al "Crucifige" di Antonio Palumbo






Ogni luogo nel mondo, anche il più abietto o il più disdicevole, se si accetta la sfida, quella stessa accolta dal primo Abramo, può essere anch’esso luogo d’incontro con Dio.

E non mancano gli esempi se, da un prigioniero di un carcere di massima sicurezza, a Kamiti, estrema e desolante periferia di Nairobi, in Kenya, possiamo sentirci dire: ”Qui ho avuto e ho tutto il tempo che una persona può desiderare per essere vicino a Dio. E questo, messe tra parentesi, con pentimento sincero, le mie passate malefatte, mi ha dato e continua a darmi il coraggio necessario,che mi porta a pensare che anche la prigione possa essere progetto di salvezza per me”.

Il Figlio è nato, infatti, e la promessa di Dio è attuata (Gen 21,1-5).

Tutto ha inizio da qui.

L’artista, Antonio Palumbo, nel suo “Crucifige” tenta di rappresentare , con i propri “ferri del mestiere”, i”crocifissi” del quotidiano. E ci squaderna, in tutta la nudità reale e metaforica, quella che è la condizione umana storica.

E lo fa con un realismo plastico straordinario ,che ci consente di riconoscere le ferite “urlate” e “urlanti” di una umanità dolente, nelle “figure” dei suoi soggetti e d’ interiorizzare al contempo, grazie all’evidenza del tratto marcato e del colore esangue dei corpi, il dramma del mistero di quel buio fatto di un niente, in cui troppo spesso la vita dell’uomo si avviluppa e si contorce, in apparenza senza scampo, per un inciampo imprevisto e/o imprevedibile.

Ma la “croce” e i “crocifissi”, ossessivamente ripetuti dall’artista, è anche quel mistero, incomprensibile ai più, e il fondamento di un percorso umano e esistenziale ,che conduce di natura alla ricostruzione della persona (leggi risurrezione).

Quella ricostruzione che è natura in grazia.

Radice ontologica dell’uomo pacificato e del corpo sociale tutto se si riesce ad accettare la presenza di un Dio che agisce nella storia e non lascia mai soli, per alcuna ragione, i “suoi” figli.



                  Marianna Micheluzzi


giovedì 28 marzo 2013

Eticamente (Inaccettabile) / Note






Nelle società ineguali la democrazia risulta fortemente indebolita, perché accade che la politica si pieghi al valore della grande ricchezza: lobby ben oliate e con potenti mezzi impediscono interventi a favore della ridistribuzione, come risulta essere la tassazione progressiva sui redditi e i patrimoni.

E’ quanto scrive Sabina Siniscalchi, giornalista della Fondazione Culturale “Responsabilità Etica”,ospite di una rubrica di economia e finanza umanitaria, nel prossimo numero di aprile della rivista “Missione Consolata”, edita dai missionari della Consolata in Torino.

Dopo la seconda guerra mondiale- sottolinea la Siniscalchi – lo sviluppo economico dell’Europa è andato avanti per tre decenni puntando sull’allargamento delle opportunità e sulla creazione di società più inclusive.

La stessa cosa è avvenuta nelle “tigri asiatiche”: la Corea del Sud, ad esempio- prosegue la giornalista – ha distribuito i benefici della crescita ai propri cittadini, incrementandola ulteriormente. E anche il governo brasiliano negli ultimi quindici anni ha basato lo sviluppo inarrestabile della propria economia sulla lotta alla povertà e sull’aumento del benessere per la maggior parte della popolazione.

Dunque le ricette oggettivamente non mancano ma il primo passo (anche Oxfam docet e non solo) è che, per risolvere il problema (disuguaglianze sempre più macroscopiche nel mondo), esso va innanzitutto riconosciuto e considerato immediatamente una priorità politica.

Dovrebbe avvenire così anche in Italia- conclude Sabina Siniscalchi – che purtroppo, tra i Paesi europei, è uno dei più diseguali.

E di mio io aggiungo, se mi è concesso, che quanto sta accadendo in questi giorni per le consultazioni atte alla creazione di un nuovo “governo”, un governo che è indispensabile al Paese, è quanto di più squallido gli italiani abbiano potuto avere modo di vedere dalla nascita della Repubblica fino ad oggi.

Il “re è nudo”.Certo che lo sappiamo. Eppure occorre tirare fuori ,di necessità, a denti stretti, tutte le energie sane del Paese, quelle molte o poche che siano rimaste, per impedire un danno grosso e irreversibile,difficilmente riparabile.
Pensiamoci. E pensiamoci bene. Tutti.


  a cura di Marianna Micheluzzi (Ukundimana)

mercoledì 27 marzo 2013

I 40 anni EMI (Editrice Missionaria Italiana) / Gli amici ritrovati






Nel dossier di marzo di Nigrizia, il noto mensile dei comboniani di Verona, mi è capitato, giorni fa, di soffermarmi a leggere con particolare goduria l’articolo di Francesco Grasselli,che racconta la nascita, e quindi quelli che sono stati gli inizi, timidi e coraggiosi ad un tempo, della piccola editrice missionaria italiana (l’EMI), oggi in realtà un’editrice di tutto rispetto nel mercato librario italiano e non solo.

Il racconto di Grasselli parte nostalgicamente dalla sistemazione del primissimo ufficio, sito alle pendici del colle della Guardia, prospiciente la campagna bolognese, in cui pervenivano numerosi manoscritti di missionari operanti in ogni angolo del pianeta. E dove, con certosina pazienza, quattro persone di buona volontà (padre Ottavio, Roberta l’addetta alla contabilità,Giovanna l’addetta alle vendite, e lo stesso Grasselli), dissotterandoli dagli strati polverosi del disordine imperante nell’ambiente, si davano un grande da fare per realizzare il “miracolo”.

E miracolo, a conti fatti, è quello che realmente è stato poi.

Ma la stoffa buona, a essere sinceri, c’era fino dagli esordi, per chi avesse buona vista e un olfatto fine (si fa per dire).

Difficile era, piuttosto, il non accorgersene.

Si trattava certo di una sfida , quella dei primi anni ’70 appunto, quando sull’onda lunga del contestatario 68’, molti giovani, ma non solo i giovani, cominciavano ad interessarsi fattivamente a realtà lontane e complesse, di cui, da noi, si conosceva poco o niente.

E che il mondo missionario, semmai, aveva il privilegio di vivere e ,quindi,conoscere di prima mano.

E c’era comunque nell’aria da parte di tutti, o almeno quasi tutti, anche tanta sete di sapere e , perché no, tanto desiderio di andare.

E, fino dalle prime pubblicazioni ,dopo un buon serio rodaggio (grazie a grossi nomi come Raoul Follereau, l’Abbé Pierre, Hélder Camara), anche il mondo accademico, quello degli etnologi di professione per intenderci, pare prendesse addirittura a scomodarsi per raggiungere il colle, ficcare il naso nelle carte e cercare di saperne qualcosa di più.

Noi lettori, ignari di tutto ciò, ricevevamo invece il “prodotto finito”, cioè il libro (è stato così un po’ per tutti agli esordi dell’editrice), in genere tramite amici come, ad esempio, i medici impegnati nel lavoro sul campo accanto ai missionari.

Oppure direttamente da qualche missionario conoscente, che credeva nel lavoro di quegli instancabili e tenaci confratelli, diffusori della “buona” stampa missionaria.

A implementare le differenti collane editoriali, che gradualmente assumevano una loro fisionomia specifica, concorrevano, e ancora attualmente concorrono, a casa nostra, le note storiche congregazioni missionarie dei Comboniani, del Pime, dei Saveriani e dei Missionari della Consolata.

Man mano si sono inserite poi altre famiglie missionarie. Maschili e femminili. Ciascuna con il proprio apporto.

Per me (e non penso affatto d’essere o di essere stata l’unica) leggere nell’articolo di Grasselli i nomi di un Piero Gheddo, di un Giorgio Torelli e di un John Bonzanino (il primo volumetto EMI che ho ricevuto e letto è stato il suo”Cittadini d’Africa”) è stato come un “ritrovare” degli amici.Degli amici molto “speciali” E, con essi, è bastato un attimo, appunto, per riportare improvvisamente alla memoria tante altre presenze, non citate, ma diciamo pure della stessa “cordata”.

E poi lanciare spontaneamente, con un pizzico di nostalgia, uno sguardo ai ripiani della libreria del mio studio, dove le dorsali dei loro libri, dei libri di questi amici, fanno ancora mostra di sé.

Ogni libro, infatti, è stato un incontro. E, spesso, non solo attraverso la carta stampata.

In seguito, negli anni ’80, frequentando incontri, settimane diocesane e convegni missionari , l’appuntamento con lo stand dell’EMI, allestito per l’occasione, era un rito cui ormai non ci si poteva più sottrarre .Ed io, di fatto, non mi sottraevo.

Ricordo, in particolare, padre Claudio Marano,un saveriano, libraio straordinario per l’occasione, che sapeva sempre darti il consiglio giusto nella scelta del libro e che, quando era ancora in Italia, ti dava volentieri la sua consulenza anche telefonicamente da una città ad un’altra.

Con il trascorrere degli anni anche la sede dell’EMI cambiava di luogo in luogo.

E nomi carismatici si aggiungevano sempre più numerosi alla ormai “carovana”di scrittori, giornalisti e curatori come quelli di Alex Zanotelli, di Giulio Battistella ,di Frei Betto, di Meo Elia, personalità semplici, schiette, preparate e coinvolgenti.

Ricordo ancora padre Meo Elia alla mensa di Barzio, durante un pranzo in occasione della settimana degli incontri del Centri Missionari Diocesani dell’Italia Settentrionale (Piemonte,Lombardia, Liguria e Veneto) cordialissimo e pronto a suggerirmi come impostare un lavoro giornalistico, portandomi degli esempi personali, tratti dal suo lavoro.

Ma, a prescindere dalle conoscenze dirette o meno, non posso, almeno io, dimenticare l’apporto formativo che, per esempio, mi hanno dato i famosi “Quaderni Emi-Sud”,testimonianze di missionari dal campo (Africa, Asia,America Latina), che tanto hanno contribuito a formarmi in quegli anni e, soprattutto, a informarmi sull’operato della Chiesa nel mondo.

E che rimpiango per la loro validità, perché oggi non hanno più un seguito di stampa e di diffusione. Che, invece, mi piacerebbe avessero e avessero avuto.

Attualmente molti titoli riguardano l’economia e lo sviluppo sostenibile .Rispecchiano, infatti, l’attualità del momento. I nostri tempi e i cambiamenti necessari.Gli interessi intramandabili della odierna gioventù.
E lo testimonia il grande e meritato successo, ad esempio, di“Guida al consumo critico” di Francuccio Gesualdi. E così di altri titoli analoghi.

E non mancano, neanche a dirlo, le cosiddette favole dai differenti continenti che, dopo 40 anni di percorso assieme all’EMI, con qualche capello grigio o bianco di troppo,  ci si può permettere di leggere in tutta piacevolezza ai nostri nipotini.

E, soprattutto (sincerità lo impone) senza tacere loro che, in altri tempi, pur di fantasticare su mondi lontani, alla maniera di Salgari, le abbiamo saccheggiate anche noi quelle favole.

E ora è giusto che si passi  il testimone.



                Marianna Micheluzzi (Ukundimana)





IO LEGGO "EMI" /LA MISSIONE FA CULTURA






“Nyerere,il maestro” di Silvia Cinzia Turrin

Vita e utopia di un padre dell’Africa,cristiano e socialista

Emi2012,pag.144, 11,00 euro





Julius Kambarage Nyerere (1922-1999),primo presidente del Tanzania indipendente, lesse il suo ruolo di guida politica come “servizio” alla nazione.

E parimenti condusse con la propria famiglia una vita privata tutta improntata alla sobrietà.

Il “suo” socialismo africano (l’Ujamàa ) è stato un progetto politico- economico e anche culturale, che è servito essenzialmente,negli anni ’60, e a dare fiducia e fare crescere la sua gente.

Il popolo , appunto, del Tanzania “libero”.

Anni addietro, un giovanissimo allora Marco Biagi(qualcuno ricorda), dopo un viaggio e soggiorno in Tanzania, scrisse di rientro un certo numero di articoli per un periodico politico italiano ad ampia diffusione e  per l’occasione ne tessé le lodi di abile statista e di cattolico convinto.

Un cattolico, confermiamo, che aveva bene in mente l’ideale di vita comunitaria, proposto dagli Atti degli Apostoli per cui, oggi, è in corso per lui addirittura la causa di beatificazione.



La giornalista Silvia Cinzia Turrin, grazie ad una documentazione seria e rigorosa, ci consente , attraverso la sua scrittura di ripercorrere l’itinerario di vita di un “uomo” e di un politico che per l’Africa è stata davvero un’esistenza d’eccezione.

Un’eccezione in quanto, essendo Nyerere ancora in vita,unanimemente riconosciuta già da allora in tutto il mondo sia dagli umili che dai potenti della Terra.



a cura di Marianna Micheluzzi (Ukundimana)





martedì 26 marzo 2013

Bangui (Repubblica Centrafricana) /I ribelli del Seleka hanno il potere






Domenica scorsa Bangui, capitale della Repubblica Centrafricana, è caduta nelle mani dei ribelli del Seleka, una coalizione il cui intento era quello di destituire il presidente in carica François Bozizé, a sua volta impossessatosi del potere nel lontano 2003, grazie al solito e scontato golpe militare, e legittimatosi poi attraverso le elezioni presidenziali del 2005 e del 2011.

L’accusa contro Bozizé era e rimane quella di non aver rispettato in pieno, almeno secondo alcuni membri del Seleka, gli accordi di pace di Libreville (11 gennaio 2013), che avrebbero potuto semmai portare, se gli intenti umani fossero stati altri, ad una pacificazione della situazione interna del Paese.

I membri del Seleka, guidati politicamente da Nicolas Tiangaye, recentissimo primo ministro di un governo “fantasma”,e cioè quello penultimo di transizione, avvocato ed ex-uomo politico centrafricano, sono in effetti, però, una coalizione molto variegata(e non solo ideologicamente), al cui interno ci sono personalità d’ogni genere.

Ex- combattenti certo ma anche delinquenti comuni mimetizzati e mercenari provenienti dagli Stati confinanti come, ad esempio, il vicino Ciad, sempre disponibile a fornire uomini armati.

Quando la coalizione del Seleka si è resa conto sul campo di essere, comunque, più forte dell’esercito straccione di Bozizé, dopo avere già dato prova nei mesi scorsi di sapersi imporre nelle altre città del nord, distruggendo,saccheggiando e uccidendo, ha alzato il tiro e pensato bene di dare subdolamente il colpo di grazia anche a Bangui per scacciare definitivamente Bozizé ,ennesima marionetta africana dell’ arcinoto teatrino francese.

Ora il problema è che, sospesa la Costituzione e sciolto il Parlamento,ci si domanda con una certa preoccupazione quale potrà essere la sorte delle genti comuni. Quelle costrette alla fuga e stremate, com’è certo, da fame e malattie da eventi più grossi di loro.

La prospettiva indubbia è che Michel Djotodia, il capo militare dei ribelli del Seleka, sarà presidente (autoproclamatosi) del Centrafrica per ben tre anni, in quella che egli definisce ora la lunga transizione.

L’Onu ha condannato, senza mezzi termini, all’interno del Consiglio di Sicurezza, quanto accaduto e sta accadendo nel paese più povero e dimenticato dell’Africa.
E non è detto, in base ai prossimi sviluppi dei fatti, che la “cosa” si limiti a questo.
Le confessioni religiose fanno sentire, un po’ tutte, in qualche modo, la loro voce e sollecitano alla riconciliazione.

Quanto agli aiuti umanitari, “Medici senza frontiere”, la Croce Rossa Internazionale ed Emergency sono per fortuna lì sul posto, in questo difficilissimo momento, per aiutare chi ne ha o ne avesse in seguito bisogno. E non hanno intenzione di abbandonare il campo.

Bozizé intanto è riparato in Cameroun, accolto a braccia aperte dal suo omologo Paul Biya, e la famiglia, invece, ha già raggiunto Kinshasa, nella Repubblica democratica del Congo.

Concludendo, una pace autentica nella Repubblica Centrafricana è per il momento ancora realmente molto lontana e non resta, perciò, che seguire con attenzione lo sviluppo dei prossimi eventi.

Una cosa , tuttavia, è certa ed è che questi accadimenti in Africa pare che abbiano (e in più di un Paese purtroppo) un copione decisamente poco fantasioso. Anzi, direi, un copione unico.

       
              
                 a cura di Marianna Micheluzzi (Ukundimana)

Emozione è segno forte /Note di estetica








Che cos’è l’emozione?

Emozione è quella frazione di secondo in cui si genera, senza uno specifico preavviso, una consonanza perfetta tra te e un’altra persona, tra te e un determinato contesto (paesaggio), tra te e un oggetto molto “speciale” oppure tra te e una melodia particolare, che ti ritrovi, magari per caso, ad ascoltare.

E accade, in genere, come già detto, in un tempo dato e non previsto. Una fiammella ,che si alimenta e cresce su se stessa e si fa luce illuminante.

Ne hanno banalmente consapevolezza immediata , per essere chiari, gli innamorati con il classico "colpo di fulmine".

E l’arte, tutta l’arte,che nasce dall’emozione, è un sentire che le parole, per quanto ricercate o forbite esse siano, non sono quasi mai in grado di tradurre in completezza ( critica di mestiere).

E non è il critico, con i suoi giudizi , colui che rende l’opera d’arte tale.

Si sfata  un altro mito .Il critico al massimo può favorirne l’inserimento nella storia dell’arte. Ma non è neanche detto che sia così.

Le parole, infatti, la corteggiano, la fasciano o ci inciampano ma l’emozione, l’emozione artistica in questo caso, è un processo inafferrabile da chi ad essa, per forza di cose, è estraneo.

E’ un’alchimia che si genera nella magia dell’ attimo fugace di quello che poi è il rapporto straordinario tra demiurgo e creatura creata.

E questo anche quando è poesia e cioè parola parlata o parola scritta.

Non c’è testo scritto infatti, anche di uno stesso autore,se ci si presta attenzione, che sia mai uguale ad un altro.

Fermo restando,ma è scontato, la medesima e cosiddetta visione di vita, che è il deposito emozionale da cui emerge e scaturisce tutto il “suo” sentire e narrare.

Se partiamo da un paesaggio dipinto è la stessa cosa.

Un crepuscolo dorato nel silenzio della campagna o di una marina o nei tracciati di geometrie metafisiche è l’incanto che nasce dall’emozione e che coinvolge l’osservatore.

Ed è possibile perché il primo, assieme al suo sentire “speciale”, una specie di “terzo occhio” del sentimento, ha conoscenze e competenze, cioè esperienze del reale e tecniche di resa nella messa in opera.

Stessa cosa, forse anche di maggiore complessità, accade quando l’artista, nel caso il pittore, ma potrebbe trattarsi anche dello scultore, si dedica alla realizzazione della figura umana.

Figura umana è sempre sintesi ricca dell’esistere e, a qualunque età, essa ingloba di necessità passato, presente e proiezione nel futuro.
E tutto questo il”maestro”,se tale è, deve essere in grado di coglierlo ed esplicitarlo, perché altri possano, in seguito, essere messi poi in grado di “leggere” l’opera compiuta.

Non c’è soggetto d’arte, paesaggio o ritratto che non rimandi ad un’analisi del contesto di provenienza. Senza di necessità essere”fotografia” del reale.

Accade pure con l’arte astratta. Quell’arte, talora “incompresa” dai più, che “parla” solo attraverso il colore e il tratto, e che pur rinunciando al figurativo si mostra parimenti abile nel cogliere tutto il pregresso di una “storia”, se si è capaci  (a nostra volta) di leggerla.

Tutto a conferma, ancora una volta, che l’emozione in arte è quel passaggio naturale da intuizione a espressione. Identità tout court. Quella che io chiamo consonanza.
 Un’identità che chiama in causa in un secondo momento il fruitore intelligente, il quale legge e rilegge il prodotto artistico e non lo dissocia affatto da altre forme di spiritualità come può essere,di rimando, anche un discorso di natura filosofico-teologica.


               Marianna Micheluzzi

lunedì 25 marzo 2013

Una cartolina da Lilongwe (Malawi)








Ultimamente ,in relazione alla pesante crisi del debito estero del paese africano, abbiamo riferito più di una volta del Malawi e della  situazione economica attuale, che strangola pesantemente la quotidianità della gente comune.

E ne frena di conseguenza ogni possibile aspettativa e/o eventuale crescita e sviluppo.

Ma io penso( e mi è sorto questo dubbio proprio perché non parliamo di Kenya , di Senegal o di Sudafrica ) che la parola Malawi per molti (anche quelli che hanno la pazienza di leggermi ogni giorno) sia appena solo un nome.

Un nome, magari, che si dimentica anche piuttosto facilmente.

Ci soccorre allo scopo ,allora ,almeno per oggi, un articolo del corrispondente di Nigrizia, Angelo Turco che , nel numero di marzo, propone in apertura del suo “pezzo” la descrizione efficace, appunto, di Lilongwe e cioè della capitale del Malawi.

Lilongwe -scrive Turco – è una città evanescente. Niente a che fare con Blantyre, il polmone – finanziario del Malawi, o con Mzuzu o altre città dotate di un loro profilo urbanistico, più o meno compatto.

Lilongwe è una specie di metafora geografica del governo – egli continua. Si sa che c’è ma non si vede, annegata com’è nei verdi scintillanti del pianalto centrale.

Una capitale artificiale sviluppatasi a partire dal 1974 sul sito di un antico villaggio di pescatori per volere di Hastings Kamuzu Banda.

Prende il posto di Zomba, la vecchia capitale coloniale che aveva conservato il suo ruolo nel primo decennio d’indipendenza (6 luglio 1964, data dell’indipendenza raggiunta dalla Gran Bretagna).

Poche strade denominate, per lo più grandi arterie asfaltate.

Una divisione in aree numerate che denotano tipicamente gli insediamenti privi di spessore storico. E di personalità urbana.

Old Town sul vecchio abitato a ridosso del fiume da cui la città prende il nome e appare densa a tratti, grazie anche a un commercio cosmopolita animato da indiani, cinesi, nigeriani.

New Town, a sua volta, dà segni di vita per punti sparsi, in coincidenza dei centri commerciali il cui emblema è Shoprite, il tempio sudafricano dei consumi per la middle class malawiana e, ormai, dell’intera Africa australe.

Le ville milionarie per i funzionari internazionali, i ricchi commercianti asiatici, le classi agiate, sono mimetizzate dietro le loro recinzioni murate e coperte di vegetazione.

I quartieri popolari,dal canto loro, sono infrattati nelle vallecole e depressioni, dove il costo dei terreni è molto più abbordabile, le case alquanto approssimative, più aleatori i servizi urbani (fogne,acqua potabile,elettricità).Qui e là si staglia il profilo di qualche palazzo per uffici in vetrocemento. O di qualche edificio pubblico.

Come il nuovo parlamento, costruito con fondi di Pechino, che fonde architettonicamente i motivi squadrati e circolari che simbolizzano tradizionalmente la Terra e il Cielo nell’immaginario cinese.

A fianco del parlamento, dimesso ma dignitoso, si erge poi  il mausoleo dedicato al dr.Banda, il padre-padrone del Malawi tra il 1961 e il 1994. Pioniere del nazionalismo africano ma anche promotore dei diritti delle donne e della qualità del sistema scolastico. Artefice della modernizzazione delle infrastrutture del paese ma al tempo stesso emblema di un regime repressivo, tenuto a distanza dai suoi vicini per aver mantenuto buone relazioni, anche diplomatiche con il Sudafrica dell’apartheid.



Qui ,però, mi fermo io con l’articolo di Angelo Turco (ritengo sia bastante come saccheggio per una descrizione minuziosa),il quale prosegue, invece, affiancando, in un quadro ben articolato, come più volte abbiamo avuto modo di leggerlo, la figura dell’attuale presidentessa del Malawi ai dictat imperiosi del Fondo Monetario Internazionale.

E passo così, semmai, a chiarire il perché di questa odierna “cartolina”.

Avendo a disposizione internet che fornisce informazioni e immagini a iosa, cari amici di JAMBO AFRICA, ora tocca a voi, dopo l’input dell’articolo di Nigrizia, proseguire (se siete d’accordo e la cosa vi solletica) nella conoscenza e nell’approfondimento del Malawi.

Solitamente accade proprio così.

E da uno spunto casuale, da un piccolo particolare, che possono nascere parecchie volte degli interessi mirati.

Inoltre abbiamo in Italia l’EMI di Bologna, un’editrice missionaria,che non si rivolge più ormai ad un esclusivo pubblico di nicchia ( è rintracciabile persino in facebook) , che ha compiuto i suoi “quarant’anni” molto ben portati e che può facilmente guidarci nella scelta di una varietà di testi (romanzi,documenti o saggi), riguardanti questo genere di realtà solo apparentemente lontane.

Impariamo a servircene.

Come scrive nel dossier”40 anni EMI”, sempre in Nigrizia di marzo, Lorenzo Fazzini,direttore editoriale dell'EMI, il rapporto,in questo caso specifico, tra cultura, editoria e mondo missionario è qualcosa di molto significativo. E non va disconosciuto per partito preso.

E non riguarda necessariamente il mondo dei “credenti” tout court ( magari annusassimo odore d'incenso), in quanto si riconosce alle testimonianze e al buon giornalismo di certi missionari grande valore culturale a tutti gli effetti.

E ciò anche da parte , ad esempio, di antropologi professionisti. Come lo è stato in passato da parte di un Lévi-Strauss o da uno scrittore quale Emilio Salgari, che non perdeva mai occasione d’intervistare,ogni volta, i missionari di rientro per conto del proprio giornale.

Detto questo,l’invito schietto per tutti, in un mondo sempre più interdipendente, è quello di continuare ad informarsi. Africa in primis  nel mio e, forse, nel vostro caso.
Ma non solo.
Per essere poi , in definitiva, componente seriamente responsabile di una società civile, che supera ormai di necessità le frontiere. E che oggi ha pure tutti gli strumenti per poterlo fare anche rimanendo a casa.
Dal libro al computer ,agli altri media.
In attesa del "viaggio", dell'esperienza sul campo, che più avanti nel tempo, magari, arriverà.





a cura di Marianna Micheluzzi (Ukundimana)







domenica 24 marzo 2013

"Caino e Abele" di Max Gallo/ Ed.San Paolo 2012 /Il libro del week-end








Si tratta di un romanzo di grande suggestione,ultimo scritto in ordine di tempo da Max Gallo,che è giornalista, scrittore, storico, politico,nonché membro della prestigiosa Académie Française.

La proposta di lettura in sintesi è la ricerca del senso del male attraverso quello che si può definire un thriller teologico.

Si affrontano cioè, attraverso una “storia”abilmente narrata,i grandi temi della violenza insita nell’uomo e volta contro l’uomo stesso accanto a quella che resta comunque l’inesauribile ricerca di Dio.

Un professore universitario francese viene ritrovato ucciso presso la grotta dell’Apocalisse, sull’isola di Patmos, in cui l’apostolo Giovanni ebbe quelle visioni che lo indussero poi a scrivere il libro più inquietante del Nuovo Testamento.

Un commissario parigino, di origine italiana (Max Gallo è nato a Nizza), è incaricato delle indagini.

E la sua indefessa e puntigliosa ricerca porterà lui, e quindi il lettore, a scavare fino in fondo negli abissi del male e scoprire che, pur mutando i tempi storici,Abele è sempre vittima di Caino.



a cura di Marianna Micheluzzi (Ukundimana)

VERONICA chiamata "VERO"/Riflessione di p.Giuseppe Inverardi (IMC),missionario in Tanzania








Vero e’ una bambina di 11 anni, che ha appena cominciato a frequentare il catechismo per la prima comunione. Abita in un villaggio distante 25 km dalla chiesa parrocchiale, per cui non la conosco bene. All’improvviso si ammala di un virus non identificato, rimane paralizzata, spesso soffre dolori atroci. Ogni volta che mi reco al villaggio le faccio visita. E ogni volta sempre piu’ gente attorno a lei. Non solo le sue compagne e i suoi compagni di scuola, ma anche giovani e adulti. Sono decine e decine. Mi meraviglio e domando in che cosa consista la forza di attrazione di una bambina di 11 anni.



Le testimonianze sono semplici: “Vero e’ buona. Vero sorride sempre. Vero ha una parola per ciascuno. Vero prega per tutti. Accanto a Vero si sta bene. Vero ispira serenita’. Vero dice che ci vuole bene e ci incoraggia a volerci bene.” Mi avvolgo nel mio scetticismo. Io sono tra i ‘sapienti’ che trovano difficile credere nella sapienza evangelica dei piccoli, nella sapienza della grazia.



Vero insiste che desidera ricevere la prima comunione prima di morire. Mi schernisco. La rassicuro che continuera’ a vivere e che il catechista verra’ a insegnarle catechismo. Essendo diventato curioso, le faccio visita piu’ frequentemente. La gente aumenta attorno a lei. La sua insistenza per ricevere l’Eucaristia mi infastidisce. Non cede, e mi sfida: “Padre, fammi l’esame, poi deciderai.” Non posso sottrarmi alla sfida. La vincero’ io! Che cosa puo’ sapere Vero dell’Eucaristia?



Fisso il giorno dell’esame. Numerose domande a tranello. Le sue risposte sono semplici ma corrette. Mi diletto a tormentarla: perche’ dovrei cedere? Con mio disappunto mi devo arrendermi, ma ancora non fisso il giorno della prima comunione. Rifletto e medito. Mi convinco che la sofferenza insegna piu’ del catechismo. Mi convinco, come afferma Sant’Agostino, che c’e’ un Maestro interiore. E’ da lui che Vero e’ stata istruita!



Fisso il giorno. E’ il giorno del suo compleanno, festa di Sant’Agnese. A chi le propone di vestire un abito bianco Vero dice: “Ma gia’ il mio cuore e’ bianco.” A chi le parla di regali, Vero risponde: “A me basta Gesu’.” A chi la compatisce per essere nella sofferenza, Vero dice: “Non e’ ancora la croce di Gesu’.” E sorride, sorride!



Quando arrivo con l’Eucaristia, prima di riceverla, Vero chiede di poterla adorare un poco. Invita tutti a inginocchiarsi. Li fa pregare e cantare. Lei e’ tutta sorriso e gioia, raccoglimento e preghieraa. Riceve l’Eucaristia. Io la guardo, mi commuovo, piango. Mi ha vinto!



Passano pochi giorni e Vero compie la sua pasqua. Quando arrivo per il funerale non credo ai miei occhi. Mai vista una folla cosi’ a nessun funerale. Commentano: “Tutto, proprio tutto il villaggio e’ qui.” Che mistero questa ragazza di 11 anni! Con la sua parola, preghiera e sofferenza ha toccato e cambiato il cuore e la vita di tutti. Con la sua morte il villaggio e’ risuscitato. La solidarieta’ si e’ moltiplicata. L’impegno apostolico si e’ fatto piu’ intenso, e ogni domenica e’ veramente Pasqua per la partecipazione intensa e viva dei fedeli.



p. Giuseppe Inverardi (IMC)



P.S. Non ho mai scritto questa esperienza perche’ sa di incredibile. Ma perche’ tenere nascosta una perla, che per me me e’ sempre stata preziosa?

sabato 23 marzo 2013

CHINUA ACHEBE NON C' E' PIU' /RIMANE IL TESTIMONE DELLA "SUA" POESIA




               



Il suo cuore ha cessato di battere nella notte tra il 21 e il 22 di marzo.

E’ morto, in una clinica di Boston negli Stati Uniti,dove da parecchi anni ormai risiedeva, quello che potremmo definire, senza tema di smentita, un “gigante” della letteratura africana moderna e che difficilmente potremo dimenticare.

Mi riferisco al poeta, romanziere e saggista nigeriano, Chinua Achebe. Un autentico “mito”.

Lascio agli esperti della materia il commento al suo mai pago impegno di scrittore e di uomo affatto avulso dalle problematiche politiche e sociali del continente Africa (colonialismo-razzismo e quant’altro mai tanto nel vicino che nel lontano) e della sua gente (gli Igbo della Nigeria) e mi limito di proposito a ricordare solo il “poeta”.

Dopo “Il crollo”, un romanzo pubblicato nel lontano 1958, e tradotto in almeno 50 lingue,che lo fa conoscere a livello internazionale,tributandogli fama, e successivamente con “La freccia di Dio”, nel 1971 è presente nelle librerie la sua raccolta di poesie (inizialmente solo 23 ma destinata a crescere negli anni) dal titolo “Attento” (Soul brother), il libro che sarà un successo scontato, in concomitanza anche con gli eventi che faranno conoscere al mondo intero il dramma delle popolazioni del Biafra, neocolonizzate alla fine degli anni ’60, e forse prima, dalle multinazionali del petrolio.

Ecco, allora, per un omaggio al grande Chinua Achebe, alcuni limitati stralci di poesia tratti, appunto, da “Attento”(Soul brother), che è attualmente pubblicato in Italia dall’editore milanese Jaca Book.
L'intento è  specialmente di riuscire a suscitare curiosità in chi ancora non lo conoscesse.





Da “Natale in Biafra”: “No, nessuna vergine col bambino potrà mai eguagliare/ la scena della tenerezza di una madre/ verso quel figlio che presto dovrà dimenticare”.



Da “Primo sparo” : “Quell’unica fucilata anonima nel buio,/ che arriva rapida e tesa /in un sobborgo nervoso /all’irrompere della stagione dei tuoni /fermerà comunque il suo volo e andrà a conficcarsi/ più fermamente dei più grandi rumori /avanti, nella fronte della memoria”.



Da “Canto d’amore” : “ (….) Canterò soltanto nel silenzio/che attende il tuo potere di portare /sogni per me nei tuoi occhi/quieti, e avvolgere la polvere dei nostri piedi piagati/in cavigliere d’oro pronte”.


                  a cura di  Marianna Micheluzzi ((Ukundimana)

venerdì 22 marzo 2013

"Consonanza del cuore" /Spazio Poesia












Quel mare bianco di spuma

piroettante e mai domo

non ha solo incanto.

Imprigiona luce e suoni

e con agevoli balzi, disinvolto,

trapassa monti e valli.

E’ la luce del tuo sentire

che il buio della notte lusitana

protegge dagli strazi del mondo

e dalle ombre del passato

come la coperta calda che

coccola il bimbo in cuna.



       di Marianna Micheluzzi



Pianeta Mondo /Stampa Libera /2012 Segno negativo








Nell’anno 2012 il numero di giornalisti imprigionati in tutto il mondo ha toccato una cifra record.

E’ cioè la bellezza  di 232 persone.

Il dato ci viene fornito dalla ong “Comitato per la protezione dei giornalisti(Cpj), che ha pubblicato un rapporto in merito.

Il rapporto si sofferma in maniera dettagliata sull’aumento progressivo dei giornalisti imprigionati e/o uccisi nel corso del 2012. L’incremento è stato addirittura del 53% rispetto al 2011.

E questo fa pensare parecchio. Anche perché si tratta del dato più alto da quando l’organizzazione ha iniziato a rilevare i dati. Parliamo dell’anno 1990.

In parole semplici si tratta di un’autentica escalation.

Inoltre,ben osservando i numeri degli ultimi due decenni, è stato ucciso un giornalista mentre compiva il proprio lavoro almeno ogni otto giorni.

Tutto questo in parecchie aree “calde”del pianeta.

E in particolare, in merito, Africa docet.



a cura di Marianna Micheluzzi (Ukundimana)

Johannesburg (Sudafrica) /Studiare la malaria a Witwatersrand






E’ una bella notizia questa ,da pochi giorni a questa parte,della nascita di un istituto specializzato nella ricerca della malaria presso l’università sudafricana di Witwatersrand.

La malaria, infatti, in parecchie aree del Sud del mondo non è stata ancora debellate e, in Africa, arriva a colpire più di 200 mila persone ogni anno.

Soprattutto nei Paesi situati a sud del Sahara.

L’istituto è nato dall’unione collaborativa di tre gruppi di ricerca rispettivamente focalizzando ciascuno di essi rispettivamente i vettori della malaria, i parassiti e la farmacologia rispondente.

Il Wits Research Institute for Malaria punta in questo modo a divenire un’eccellenza in Africa e a livello mondiale per lo studio, la prevenzione e la cura della malattia.

E’,quindi, intento ben preciso quello di produrre ricerche mirate.

Secondo l’Oms, e cioè l’Organizzazione mondiale della Sanità, la malaria uccide annualmente almeno più di 600 mila persone tra cui, in particolare, i bambini africani con meno di cinque anni di età.

Negli ultimi tempi c’è stata una ,pare di un terzo, dei decessi grazie all’impegno del Fondo globale per la lotta all’aids,alla tubercolosi e alla malaria.



a cura di Marianna Micheluzzi (Ukundimana)

giovedì 21 marzo 2013

"L'industria della carità" di Valentina Furlanetto-ed.Chiarelettere 2013/ Reading




"Abbiamo il diritto di chiedere dove vanno a finire le donazioni e il dovere di farlo nei confronti di chi vogliamo aiutare. Nessuno si lascerebbe operare da un medico senza essere certo della sua competenza e senza sapere se le operazioni che ha portato a termine sono andate a buon fine (...) Lo stesso si dovrebbe chiedere a un operatore umanitario.Invece nel nostro Paese si dona senza chiedere conto di nulla(p.9)."


           a cura di Marianna Micheluzzi (Ukundimana)

"Urlo dell'anima"/Ossia l'assurdo della sofferenza umana /Lettura di un'opera di Salvatore Malvasi








L’arte contemporanea è quella lente particolare che consente, a chi la sa utilizzare, la lettura del “contesto-mondo” per comprenderne da una parte, come in una successione, i cambiamenti in atto nel tempo storico e riuscire a compararli ; dall’altra di estrapolarne, fino a dove è possibile, quelle contraddizioni che in seguito meriteranno di certo più analisi e un maggiore approfondimento da parte degli studiosi.

E l’arte diviene in tal modo un “oggetto- segno”, un qualcosa di tangibile di una storia, personale o collettiva che  sia, che è poi l’esistere stesso dell’umanità.

Manifestazione di un mutamento continuo, proprio come insegnava il greco Eraclito, per cui però il bianco di oggi può divenire, all’improvviso, il nero di domani o, magari, sfumare addirittura in un grigio indefinito (sopportazione e sospensione di giudizio a tempo indeterminato).

E l’ alfabeto dell’arte ecco che sono i suoi colori, il tratto , l’abilità prospettica, il chiaro-scuro, le luci e le ombre , dietro i quali si cela, insostituibile, la manipolazione creativa dell’artista.

Ed è ciò che personalmente mi porta a pensare l’osservazione della figura “rabbiosa”(una sana rabbia ) dell’opera artistica di Salvatore Malvasi.

Un’opera,che nasce da un contesto, quello potentino, senza dubbio socialmente e politicamente difficile e che io accosterei, “mutata mutandis”,alla condizione di quel silenzio dell’ “innocente”,che è il personaggio di Giobbe, mitica figura biblica.

La sofferenza di Giobbe che spaventa e fa tremare alla sola idea. Sofferenza reale intrisa anche di derisione.

Derisione mista ad indifferenza che i potenti della Terra oggi,dopo aver saccheggiato e distrutto tutto quanto il possibile, praticano con i loro peccati di omissione nei confronti delle generazioni sia presenti che future.

Ma Giobbe, quello biblico, non si arrende. Urla. Non tiene chiusa la bocca. Non è domo dinanzi al suo Signore. S’interroga su di un “perché” senza risposta. Ma non intende ugualmente perdere la sua “partita” cioè la sua fiducia.

E così fa anche il “Giobbe” di Malvasi.

Per lui e chiaro che non c’è nessuno sconto al momento ma,contestando, egli prosegue lo stesso.

La resa sarebbe viltà e morte dell’intelligenza. E l’anima è l’ intelligenza.

Intelligenza creativa (tranne  che nel patologico) per tutti,e in ogni circostanza ,dell’essere al mondo, nel mondo e per il mondo.

                      di Marianna Micheluzzi






mercoledì 20 marzo 2013

TANZANIA /ON THE ROAD / DESTINAZIONE IKONDA








Come è nostro solito partiamo, anche questa volta, alle prime luci del giorno da Bunju, cittadina periferica della popolosa e frenetica capitale economica del Tanzania, Dar es Salaam, per guadagnare un po’ di tempo.

Ci attende parecchia strada da macinare e la pioggia (così ci hanno preannunciato),quando saremo nel territorio di Ukinga,ci farà di sicuro compagnia per parecchie ore e con tutti i consueti inconvenienti del caso.
Cominciando dalle strade fangose.

Ma andare ci stimola e scaccia subito ogni eventuale e preoccupante esitazione.

Siamo un gruppo di quattro persone sull’ormai più che rodato fuoristrada della missione.

Noi tre e l’autista- giornalista-fotoreporter- interprete, che poi altri non è che il nostro “baba” Francesco. Missionario inossidabile.

E sappiamo che ci faremo buona compagnia e scacceremo la noia, allietando il tempo del lungo tragitto con canzoni, barzellette e battutacce.

E magari, quando è il momento giusto, tenteremo anche di fare qualche furtivo scatto fotografico rubato dal finestrino dell’auto in corsa.

Fermarsi e sostare sarà quasi impossibile.

Ecco,allora, che previdenti, e su suggerimento del “baba”, abbiamo portato con noi tutto quanto possa occorrere.

Ingranata la marcia giusta, dato il classico colpo d’acceleratore , come sempre un po’ maldestro per via del terreno scosceso, ci siamo.
E’ partenza sicura.

Man mano che ci allontaniamo dalle spiagge e dall’oceano, con le onde di continuo increspate dal vento e i suoi colori cangianti, ci rendiamo conto, mettendo a tratti il naso fuori dal finestrino, che la temperatura comincia a cambiare.

Si inizia, infatti, a salire per raggiungere gradualmente i circa 2000 metri e più della nostra destinazione finale.

La carreggiata è buona se non fosse per il diluvio, che ci investe e non ci dà tregua.
Impietoso.

Il paesaggio alterna aspetti di un brullo angosciante nella fase iniziale, per poi sorprenderci, una volta arrivati sul posto, con immagini che potresti definire ti piche di un paesaggio alpino.

La zona del territorio di Ukinga (Ikonda rientra nel distretto di Nakete e nella provincia diNjombe)

è decisamente povera e molto del positivo, di cui gode oggi, lo deve alla nascita del Consolata Ikonda Hospital che, a partire dai lontani anni ’60, ha fatto da traino, perché Ikonda crescesse di numero e si popolasse, raccogliendo gli abitanti dei vicini villaggi rurali.

Il Consolata Ikonda Hospital è un altro di quei miracoli della lungimiranza e della fede nella provvidenza degli uomini e delle donne di Giuseppe Allamano.

E mi riferisco tanto ai padri e alle suore missionarie della Consolata quanto e sopratutto a un discreto numero di laici,ad essi molto vicini , impegnati nella realizzazione e, poi, conduzione del progetto di un luogo di cure.

E impegno in questo caso significa essenzialmente condivisione di valori umani e disponibilità di competenze professionali (dalla muratura all’idraulica, alle professioni sanitarie) nonché di aiuti economici generosi che sono giunti spontanei e spesso inattesi.

Il che ha consentito di creare nella zona un autentico approdo sicuro per tante persone affette da malanni.
 Malanni banali (morbillo, infezioni intestinali,malaria) ma che, in Africa, non sono mai tali e per le mille note ragioni; e malanni purtroppo gravi come la tubercolosi e l’aids.

L’accoglienza all’arrivo è davvero straordinaria.

Stanchi ma sereni ci introduciamo in un ospedale che ha tutte le caratteristiche di uno modernissimo. Proprio come quelli che possiamo incontrare in una qualsiasi delle nostre città europee.

Non manca di nulla.
Quasi certamente è il più moderno quanto a edificio e attrezzature del Tanzania.

Quello che occorre con urgenza sono, semmai, più specialità mediche in quanto i medici,che vi fanno volontariato per un limitato periodo di tempo, non bastano per sopperire alle continue e pressanti esigenze dei malati.
E questo perché la loro turnazione è continuata.

Il personale in pianta stabile, sia medico che infermieristico e tecnico, è invece quasi tutto africano. Tanzaniano.

Fanno, appunto, eccezione i medici volontari,in genere degli specialisti,che provengono dall’Italia ma non solo.

L’ospedale, nato nel 1963, è stato completamente ristrutturato nel 2002, grazie in particolare agli aiuti degli Amici del Consolata Ikonda Hospital e alla dedizione tenace di padre Nava, missionario della Consolata e oggi responsabile in toto della struttura, che ha sempre creduto nell’importanza della realizzazione di questo progetto e che per esso continua a spendersi senza risparmio di tempo e di energie.

Gli abitanti che usufruiscono del servizio ospedaliero sono in tutto circa 200 mila e ogni anno, a Ikonda, nascono in media almeno1500 bambini.

Un trattamento speciale è riservato alle madri partorienti in quanto si tiene conto dei disagi di percorribilità delle strade per raggiungere la struttura ospedaliera.

Esse sono accolte prima del parto e possono trattenersi alcuni giorni dopo, almeno fino a quando non sono in grado di fare ritorno alla propria abitazione con il neonato.


Esiste, inoltre, un reparto specifico,pensato  per i malati di aids.Il loro numero sul totale della popolazione è del 15%. Un numero ancora troppo alto.

L’ospedale è circondato dal verde di un ampio e curato terreno nel mezzo del quale è posta la statua del beato Giuseppe Allamano, che sorride e saluta come potrebbe fare un amico di vecchia data.

E la cosa per noi è motivo di profonda e sincera commozione al pensiero e alla constatazione “de visu” di quanto il “bene fatto bene” possa essere capace di andare lontano e di donare sollievo e consolazione a chi ne ha bisogno.

Nella strada di ritorno, dopo aver ascoltato le testimonianze di chi laggiù si spende con spontanea generosità per amore di fratelli e di sorelle meno fortunati, non possiamo fare a meno di analizzare e confrontare con esse le nostre scelte di vita.

Infatti il percorso del viaggio di rientro a Bunju è molto differente rispetto a quello dell’andata.

Probabilmente, anzi quasi certamente,saremo tutti un po’ più stanchi ed è naturale ma la verità vera è un’altra.

Saremmo capaci,è quello che ciascuno domanda a se stesso, anche noi di praticare quel genere di carità autentica di cui abbiamo avuto prova e dimostrazione soltanto poche ore prima?

Ognuno risponderà a suo modo.

Mi tornano in mente le parole di un caro amico che, un giorno , mi disse senza troppi indugi che spesso quelle che sono le nostre pigrizie e, peggio ancora, le nostre indifferenze sono solo alibi,che ci confezioniamo su misura, per eludere l’assunto fondamentale che è il nostro impegno di cristiani, capaci di saper coniugare insieme giustizia e carità.

E non sbagliava.

             
                          Marianna  Micheluzzi (Ukundimana)

martedì 19 marzo 2013

SORGI,AFRICA / SPAZIO POESIA








Sorgi dal sonno

che ti rende debole e senza voce,

canta la tua canzone,

recita i versi che aspettano

sulle tue labbra.

Mostra la nuova saggezza che sale

dalle tue radici profonde

verso il frutto maturo del tuo cuore temprato.



Prendi il volo Africa, con le tue stesse ali.

Dispiega la tua enorme forza

da secoli trattenuta nelle tue calde mani

ora libere per l’abbraccio.

Oggi il tuo volo è divenuto imperativo,

è fondamentale raggiungere insieme

per la prima volta lo stesso traguardo,

la riva che ancora ci è negata.



Liberati dalle catene degli usurai e degli avari

e traccia il percorso che desideri percorrere,

il momento dell’incontro,

della memoria e dell’oblio.

La tua diversità, che è la tua ricchezza

deve congiungersi solo

con la luce dell’alba

come aiuto per guidarti verso

l’orizzonte luminoso che desideriamo.



Africa, svegliati!

E rivela l’immensità

Della tua anima

Sognatrice.



(Federico Mayor -Direttore Unesco- Periodismo humano)


      a cura di Marianna Micheluzzi (Ukundimana)

lunedì 18 marzo 2013

UNA CHIESA CON LA GENTE PER CUSTODIRE E ACCRESCERE L'APPORTO DEL VATICANO II



Le dimissioni di Benedetto XVI hanno fatto centro pure in Tanzania.


Rappresentano certamente una sfida. Una provocazione salutare.

È risaputa l’importanza dell’“inculturazione” in Africa, cioè del sapersi calare nel contesto socio-religioso di un popolo, per parlare, ragionare e agire secondo le categorie mentali locali.

Tuttavia, talora, la cultura locale (usi, costumi, atteggiamenti, scelte) necessita di una ventata fresca di rinnovamento, per non dire rivoluzione. Perché sovente cultura e inculturazione fanno il gioco dei padroni, ossia dei capi in autorità.

In Africa circolano due detti che legittimano l’intangibilità di quanti gestiscono il potere.

1.“Il capo non chiede il permesso”. Quindi il boss ha mano libera su tutto e tutti.

Ad esempio: il 4 marzo scorso, in Kenya, il 50,07 per cento del popolo ha votato ed eletto presidente Uhuru Kenyatta. Costui, però, è accusato dalla Corte internazionale dei diritti umani di crimini contro l’umanità, avendo istigato la violenza che, nelle elezione del 2007, provocò danni ingenti e circa 1.200 vittime. Tuttavia l’imputato si è autoassolto, perché scelto dal popolo, specialmente dalla tribù dei Kikuyu, in un paese dove il tribalismo pesa. E poi: il capoccia chiede forse il permesso?

2. Il secondo detto recita: “Il capo, se sbaglia, non sbaglia. Soltanto dimentica...”.

È un modo spudorato per avallare tutte le malefatte dei prepotenti.

Riconoscere i propri errori e dimettersi? Neanche per sogno.



Nella storia dell’Africa del post-indipendenza solo due presidenti hanno rinunciato spontaneamente al potere, senza essere stati scalzati dagli eventi: Léopold S. Senghor (Senegal) e Julius K. Nyerere (Tanzania), che liberamente passarono la mano rispettivamente nel 1980 e nel 1985.

Ebbene, nel contesto africano (ma non solo), le dimissioni di Benedetto XVI sono un pugno nello stomaco per i tantissimi ancora tenacemente e morbosamente ancorati al potere.

Sono capi che non chiedono il permesso a nessuno.

Nel mio paese natale Falzè di Trevignano (TV), negli anni 50 del 1900, sul muro esterno di una casa si leggeva: il duce ha sempre ragione. Troppi ci credono ancora.

Le ultime elezioni italiane lo confermano.



Alle dimissioni di Benedetto XVI la rivista swahili “Enendeni” (dei missionari della Consolata in Tanzania) ha dedicato l’editoriale di marzo-aprile 2013. La decisione di papa Ratzinger - vi si legge - è un esempio da imitare anche da parte dei leaders religiosi, per non parlare di quelli politici. Sono ancora molti i capi che succhiano il sangue della gente, affamati e assettati di prestigio, potere e denaro. “Enendeni” scrive ancora: “Papa Benedetto ha aperto il solco di una nuova cultura: la cultura delle libere dimissioni”.

E papa Francesco? Pure lui ha scompigliato le carte del gioco, infrangendo alcune regole stantie. Un vescovo del Tanzania, preoccupato, ha affermato: sarà meglio che questo nuovo papa, prima di presentarsi in pubblico, si rilegga il manuale delle cerimonie.

Ma la gente ride beata e si diverte. L’africano anela al divertimento, alla risata, alla “furaha” (gioia).

Nel presente “anno della fede”, ad esempio, colpisce come il popolo cristiano accolga gioiosamente la croce, pellegrina da una comunità all’altra, simbolo della sofferenza: trasforma l’evento in una fede che danza.

Perché quel povero Cristo in croce è rimasto solo poche ore.

Ed esplode la Pasqua tra un concerto di campane.



Francesco Bernardi (IMC)

direttore di “Enendeni”





Nella foto: la copertina della rivista “Enendeni”, Marzo-Aprile 2013.

Un gruppo di cattolici di Ubungo (Dar Es Salaam) portano esultanti la croce.


       a cura di Marianna Micheluzzi (Ukundimana)

"69 Tappi Rossi" di Valerio Pisano/ Leggere Arte







Opera- oggetto di culto e per un duplice motivo. E cioè vita e arte in congiunzione.

Questa è la simbologia cui rimanda il “lavoro” di Valerio Pisano.

Da una parte abbiamo la mitica penna “bic”,comparsa nei tardi anni ’50, possedere la quale era allora un’autentica goduria a paragone dell’inchiostro e dei classici pennino e calamaio.

E immaginiamo, allora,anche un giovane imberbe che scrive le sue prime lettere d’amore ad un’adolescente coetanea, che lo attrae e lo fa sognare.

E che lo fa servendosi, appunto,della “bic rossa”.

Il giovincello ne scrive tante di queste lettere-fiume (scrive e riscrive ancora) fino ad arrivare ad un certo numero (il numero qui ha una “forte” valenza simbolica).

E non succede nulla.

Mutato scenario e contesto, un bel giorno ,il nostro, deluso per i mancati approcci agognati, abbandona i tappi della “bic” rossa in un cassetto.

Passato del tempo, uomo maturo e ora artista, ritrova poi inaspettatamente i suoi “trofei” .

E , per richiamare indietro un tempo ormai andato, li riordina e li assembla disponendoli su cartoncino trattato, che applica su legno e incornicia.

Una simpatica storia d’amore. Certo. Una delle tante forse possibili storie, che hanno dato lo spunto a Valerio Pisano per la realizzazione della sua opera.

L’ amore cioè che si fa arte nella rivisitazione adulta.
Un amore pulito come può essere quello di giovani alle prese con le prime goffe autistiche manovre amorose, che non consentono di bruciare le tappe ma che si limitano a esternare l’eros attraverso la “parola”.


      a cura di Marianna Micheluzzi

LVIA / ONG DI VOLONTARIATO E COOPERAZIONE INTERNAZIONALE / TORINO-CUNEO








La Campagna Acqua è Vita della LVIA compie 10 anni!

LVIA con Erri De Luca rilancia la Campagna in occasione

della Giornata Mondiale dell’Acqua 2013



Dal 16 al 26 marzo, l’associazione di solidarietà e cooperazione internazionale LVIA organizza eventi dedicati al diritto all’acqua in diverse città d’Italia (visibili sul sito www.lvia.it). Tali eventi si inseriscono nel decennale della Campagna Acqua è Vita. Grazie all’impegno della società civile, delle istituzioni e delle aziende che hanno sostenuto la Campagna e contribuito ai progetti idrici promossi dalla LVIA in Africa, è stato possibile garantire l’accesso permanente all’acqua potabile e a servizi igienici per 1 milione di persone in 10 paesi africani.



Lo scrittore e poeta Erri De Luca sostiene la Campagna Acqua è Vita e dichiara: «Sono stato testimone, in Tanzania, del lavoro della LVIA per procurare acqua pulita nei villaggi. Un’immensa quantità di famiglie ne è priva e se la deve procurare lontano, caricandola sul collo, la schiena, i piedi delle donne. Mi dichiaro un “Portatore d’acqua” e sostengo la Campagna Acqua è Vita della LVIA».

La LVIA celebra i 10 anni della Campagna Acqua è vita. Alessandro Bobba, presidente della LVIA, spiega: «La Campagna è l’espressione dell’impegno della LVIA per il diritto all’acqua, ambito in cui opera in Africa da quasi 50 anni. Con la Campagna Acqua è Vita abbiamo raggiunto risultati importanti».

In Italia, infatti, migliaia di persone, aziende, associazioni, istituzioni hanno sostenuto la Campagna permettendo in 10 anni di portare acqua a 1 milione di persone in 10 paesi africani: la LVIA con i suoi partner locali ha realizzato centinaia di pozzi, acquedotti, sistemi di raccolta dell’acqua piovana e servizi sanitari per famiglie, comunità, scuole e ospedali e sono state rafforzate le competenze locali per pianificare, realizzare e gestire l’accesso all’acqua e ai servizi igienici.

«Vorremmo dare un ritorno al territorio – continua il presidente LVIA – coinvolgere più fortemente la società civile e rilanciare le attività perché, se dei progressi sono stati fatti, c’è ancora molto da fare. Ancora oggi quasi 800 milioni di persone, di cui il 40% in Africa, soffrono la mancanza di acqua pulita; 2miliardi e 500mila persone non hanno a disposizione servizi igienico-sanitari e, ogni anno, 1milione e 400mila bambini muoiono per malattie legate all’acqua».

Tra i vari eventi organizzati nel corso della settimana sul territorio italiano (Asti, Torino, Cuneo e provincia, Palermo, Crotone), venerdì 22 marzo, in occasione della Giornata Mondiale dell’Acqua, la LVIA in collaborazione con il settimanale della provincia Granda La Guida, organizza il workshop “La Campagna Acqua è Vita della LVIA dall’Africa al Piemonte”, con testimonianze-video dai progetti in Africa, la partecipazione di operatori africani e italiani impegnati con la LVIA in Burkina Faso, Senegal, Tanzania, Etiopia e istituzioni e aziende della Granda che sostengono la Campagna.

Saranno inoltre realizzati dei lavori di gruppo finalizzati a condividere proposte di impegno e azioni congiunte nel territorio per migliorare concretamente l’accesso universale all’acqua, soprattutto in Africa Subsahariana, e sostenere il diritto all’acqua come bene comune.

“La Campagna Acqua è Vita – conclude Bobba - è un impegno di cittadinanza attiva. Un richiamo ad un impegno individuale e collettivo a sostenere le attività della LVIA per garantire il diritto all’acqua alle comunità che ancora ne sono prive e ad adottare stili di vita responsabili nell’uso dell’acqua



È possibile sostenere la Campagna Acqua è Vita della LVIA con una donazione sul c.c postale 14343123 o sul Conto Banca Alpi Marittime - IBAN IT 61 E 08450 10200 0001 7010 3178

                 


             a cura di Marianna Micheluzzi (Ukundimana)














ZIMBABWE /GIUDIZIO POSITIVO SUL REFERENDUM MA CON I DIRITTI CIVILI NON CI SIAMO








Libero e corretto è stato il voto del referendum per il progetto di Costituzione che Mugabe e i “suoi” uomini di partito intendono dare prossimamente al Paese.

Così almeno hanno riferito e riferiscono gli osservatori presenti (Sadc inclusi), i quali esprimono un giudizio decisamente positivo, sebbene a votare in realtà siano stati appena un terzo degli aventi diritto al voto.

E cioè circa due milioni di persone.

E l’approvazione per la condotta delle operazioni, di cui avremo notizie quasi certamente entro il prossimo giovedì, c’è stata anche da parte degli Stati Uniti e dell’Europa, che tuttavia mantengono prudenzialmente le sanzioni nei confronti dello Zimbabwe.

Indipendentemente da quest’ottimismo di facciata, che consente agli uomini del partito-regime, soprattutto, di parlare con troppa enfasi di “passo storico in direzione della democrazia e dello stato di diritto”, c’è la segnalazione di un fattaccio.

Un fattaccio che non può non generare le consuete riserve mentali in merito a quello che accade, e potrà continuare ad accadere anche dopo, nel paese-feudo del padre-padrone Mugabe.

E cioè, nelle ultime ore, si è verificato ,da parte delle forze di polizia, l’arresto immotivato di Beatrice Mtetwa, una donna avvocato, molto nota nello Zimbabwe per essere, da sempre, impegnata nella lotta per il rispetto dei diritti umani e civili.

Beatrice Mtetwa è accusata attualmente d’intralcio alla giustizia in quanto aveva provato ad impedire la carcerazione di alcuni esponenti del partito del primo ministro Morgan Tsvangirai, il Movimento per il cambiamento democratico (Mdc-T).

I metodi per avere campo libero nel governare indisturbati in Zimbabwe sono sempre e solo quelli di fare sparire gli incomodi.

Se queste sono le premesse, consultazioni referendarie a parte, la musica non cambia e non cambierà. Così come anche la direzione d’orchestra.

E c’è da temere di sicuro scontri di piazza in prossimità e durante le prossime elezioni presidenziali e legislative, che avranno luogo tra qualche mese.


   a cura  di Marianna Micheluzzi (Ukundimana)

domenica 17 marzo 2013

L'ORA FATALE / SPAZIO POESIA









Strada

deserta

palazzoni

anonimi

sera

silenzio

surreale

e a un tratto

spunta fuori

il cecchino.



Autostrada

del web.

Pagina

bianca e

prova

d’autore

malriuscita.



Dissezionare

l’animo.



di Marianna Micheluzzi



Chiesa segno e strumento di salvezza (Redemptoris Missio) /Come testimonia Papa Francesco








La Chiesa è necessaria per la sua origine e per la sua continuità, per rispondere alle domande dei fini ultimi degli uomini e alle richieste di un mondo che cambia.

In Cristo, autorivelazione di Dio,la Chiesa fonda la sua missionari età (RMs4-5).

Questo significa che la Missione Universale della Chiesa deriva dalla fede in Gesù Cristo ed è solo in questa fede che possiamo capire la missione della Chiesa.

Prima beneficiaria della morte e risurrezione di Cristo è la Chiesa. Cristo l’ha fatta sua collaboratrice nell’opera di salvezza universale.

Pertanto si coniugano insieme la reale possibilità di salvezza di tutti gli uomini in Cristo e la necessità della Chiesa in ordine a tale salvezza.

Il Regno di Dio è la persona di Cristo e la Chiesa non si può disgiungere dal Regno quindi da Gesù.

Cristo ha dotato la Chiesa, suo corpo, della pienezza dei beni e dei mezzi di salvezza:ruolo specifico e necessario.

Nel Vangelo di Giovanni ed in particolare nella preghiera sacerdotale Gesù esorta i suoi discepoli ad essere Una Cosa Sola, come lo sono Lui e il Padre,<>(Gv17’21).

E’ evidente l’intima connessione tra la missione di Cristo e la missione della Chiesa. Lo Spirito Santo che semina e sviluppa i suoi doni in tutti gli uomini e popoli, guida la Chiesa a scoprirli, promuoverli e recepirli mediante il dialogo.

Il discernimento spetta alla Chiesa, alla quale Cristo ha dato il suo Spirito per guidarla alla verità tutta intera(Gv-16,13).

La Chiesa deve rendere questo servizio di sua competenza.

Attualmente Dio,grazie al progresso della Storia, apre alla Chiesa orizzonti di un’umanità più preparata alla semina evangelica.

Con l’aumento del benessere però non c’è spesso una migliore crescita spirituale.

Così la Chiesa ha necessità di predicare a tutti, ricchi e poveri, che la grandezza dell’uomo deriva dal fatto che è stato creato ad immagine e somiglianza di Dio.

Pertanto la Chiesa deve impegnarsi per lo sviluppo di tutto l’uomo e per tutti gli uomini.Il Cristianesimo non è un messaggio di Salvezza Immediata ma di una crescita progressiva nella pienezza di Cristo.

Difficoltoso in Occidente quanto nel Sud del mondo.

Per questo occorre e occorrerà una sfida missionaria a 360 gradi da parte di tutti gli uomini e le donne di buona volontà.

Riferimenti biblici

Chiesa: At20,28; Ef 5,23b-32; 1Cor 3,9

Mandato apostolico: Mc3,13-19; Gv17,18;20,21

Attenta al mondo: Lc10,29-27; At3,4-7;10,37-43; Fil 4,8

   
     a cura di Marianna Micheluzzi (Ukundimana)

sabato 16 marzo 2013

JOS (NIGERIA) /E' NATO UN CENTRO DI DIALOGO CRISTIANI- MUSULMANI






Mentre la follia distruttrice di Boko Haram e di altre formazioni terroristiche,legate ad al Qaeda, prosegue senza freni, seminando morte nel nord della Nigeria, nella città di Jos si cerca di correre ai ripari e di arginare il fenomeno mediante un piccolo segnale positivo.

Mi riferisco all’apertura recente di un Centro per il dialogo e la riconciliazione tra cristiani e musulmani.

La Chiesa cattolica locale lo ha voluto e aperto infatti, a metà dello scorso febbraio, con l’intento meritorio, in un contesto difficilissimo, di creare la possibilità per i due mondi, all’ apparenza oggi estranei l’uno all’altro,di apprendere invece a conoscersi e a comprendersi.

E questo indipendentemente dalle influenze politiche veicolate da chi agisce semmai con scopi interessati alla destabilizzazione del Paese.

E l’impegno reciproco delle due comunità sarà, appunto, quello d’imparare a vivere insieme.

Senza tenere conto assolutamente delle differenze sia religiose che etniche.

Riconoscendo proprio nelle differenze un patrimonio valoriale reciprocamente arricchente.

         a cura di Marianna Micheluzzi (Ukundimana)

Fatbardha Sulay /Novembre rosso /La donna senza sguardo








Tratto incisivo e colore inequivocabile. Entrambi capaci di riassumere mediante un’immagine femminile quella che è stata la storia di una violenza allargata ad un popolo intero.

Le dittature , si sa, non hanno un preciso colore e, quasi certamente, saranno o potranno essere ancora specie quando la “ragione”, in quel gioco di perversione che si chiama delirio di onnipotenza, s’avvita su stessa e inizia a generare le note mostruosità.

Naturalmente sotto ogni cielo.

Ecco, allora, che questo corpo di donna giovane di FatbardhaSulay, dalla sensualità piuttosto promettente, che grida assieme sdegno, giustizia ma anche voglia di vivere,e nasconde gli occhi (?), altro non è che il corpo-archivio o, forse meglio, il corpo-sacrario di una “Storia”.

Storia fatta di sangue di cui grondano, riconoscibili, con ciò che rimane marginalmente dello spazio bianco (pace?),enigmaticamente anche le mani di lei.

Quando,come ci dicono, la parola “pietà nel contesto non è più neanche opzionale.



Marianna Micheluzzi

venerdì 15 marzo 2013

RICORDI DI UN CLOWN / OMAGGIO A PABLO








Udiva ancora risuonare

i passi minacciosi

dei calzari di quegli

uomini sull’asfalto.

E l’angoscia incontrollabile

rimontava dentro di lui.

Il cielo il giorno

era carico di pioggia

e l’umido gli incartava

le gracili membra.

Jorge raggomitolato

si sedette esausto

sul terzo gradino

e sistemò la ciotola

innanzi a sé.

E con un filo di voce

iniziò a cantare.

Nessuno gli badava.

La gente era in fretta.

Una moneta cadde

rimbalzando con suono

metallico e lui

la sospinse da parte.

Ma un attimo dopo

la rimise al suo posto

e riprese il canto.

Nunca mas.



Marianna Micheluzzi



IL "MIO" BUONGIORNO !



Carissimi Tuttti,stamane il computer o, più probabilmente la Rete, ha deciso di fare i capricci.
Allora,in attesa che qualcosa cambi, auguro a tutti il "BUONGIORNO"con un sorriso.
                            Buon lavoro e buon caffé!
   
                                 Marianna

giovedì 14 marzo 2013

LA LEGGEREZZA CHE SI FA PRODOTTO ARTISTICO E RACCONTA "NOI" / MARIA VUELTA








Leggerezza di tratto non è mai superficialità. E’guizzo di pensiero inconsapevole oppure “cifra” distintiva,cercata e voluta di proposito (radici culturali implicite), per esaltare quella sensazione di benessere psicofisico che ti può comunicare un determinato contesto, un certo oggetto o un particolare rapporto interpersonale.

Ed è una verità difficilmente confutabile.

Leggerezza io direi che è amore. Magia che ti coccola anche per un solo istante.

Ed questo, appunto, è lo stato d’animo che riescono a comunicare un po’ tutti i quadri di Maria Vuelta.

L’artista gioca quasi sempre con la brillantezza di colori solari,che sposano agevolmente il bianco della tela o d’altro materiale come può essere, ad esempio, la carta, quando si tratta d’acquerello, con l’intento di gettare “ponti”.

E i “ponti” di Maria sono i “suoi” alati “velieri”,quelli che navigano attraversano le acque impetuose del fiume dell’esistenza per ricordarci che c’è per tutti una peculiarità delle differenti stagioni della vita con gioie e drammi, albe e tramonti, inizio e fine.

Nello specifico di “Proserpina”, il lavoro in mostra, c’è la fusione perfetta,con riferimento al mito greco, di quell’inghippo complesso che è l’essere nel mondo e per il mondo. Ma non solo del mondo.

Un mix di amori drammaticamente differenti per la persona (etimologicamente “dramma” è azione), che ogni tonalità di colore impiegata dalla Vuelta esalta, estrapolandola, in quanto desiderio oltre il confine di tempo e di spazio. Cioè destino d’essere ontologicamente e metafisicamente insieme.


                           a cura di  Marianna Micheluzzi



mercoledì 13 marzo 2013

FRAMMENTI DI CAOS / SPAZIO POESIA








C’era una volta l’EGO

Poi Filibusta

Rosso sangue dappertutto

Metastasi diffusa

Sabbia- cenere

Il Finito

Nell’Infinito

Terra bruciata

L’Oblio

Voci e Volti

Mondi altri

Silenzio



di Marianna Micheluzzi

  
        Omaggio all'Arte di Cristophe Dutriaux (Strasburgo)

domenica 10 marzo 2013

"MUSEO" /UMBERTO FIORI /LA POESIA DEGLI ALTRI



Guarda come riposa
come regna il coltello
nella vetrina
senza la mano del soldato.

Come rimane uguale la statua.
Dalla fronte bombata, dalle ombre
di questa guancia di legno,
senti com'è lontano
il modello.

Come vorrei anch'io
spegnermi nella luce
della cosa che resta,essere stato.
                  
            Umberto Fiori ( da  "La bella vista"-Marcos y Marcos editore,2002 )

MAURIZIO BARRACO / IL FIGURATIVO-ASTRATTO CHE ROMPE CON GLI SCHEMI CLASSICI E RINASCIMENTALI

   




Può apparire un bisticcio di parole o un caso d’incompetenza definire un’opera d’arte con due aggettivi che di solito per il profano sono escludenti l’uno dell’altro. Ma non è così.

L’opera in questione, che tra l’altro, a maggio, parteciperà ad una importante selezione artistica, contempla entrambe le caratteristiche.

Figurazione-astrazione sono, infatti, due termini (per chi non lo sapesse) che l’”Arte” ha preso in prestito a suo tempo dalla filosofia.

 E quella platonica e quella aristotelica.

E, per essere molto chiari, il principio aristotelico di mimesi è appunto quello che può essere messo all’origine di ogni arte della rappresentazione e/o della narrazione. E cioè di quello che è il figurativo.

L’altro invece, l’astrattismo, che fa riferimento al platonismo, semmai con l’assenza di ogni qualsivoglia immagine, e giocando in esclusiva con il tratto e il colore, offre all’osservatore attento, tramite il visibile, ciò che è invisibile nell’immediato.

Nel caso dell’opera di Maurizio Barraco, e di quest’opera in particolare e della sua lettura da parte nostra, parlare di figurazione-astrazione è proprio il classico caso di falso dilemma, di chi dimentica il senso cui rimanda qualunque immagine.

Persino di quella che è capace di privilegiare il colore in assoluto.

E questo è ciò che è , nello specifico di Barraco ,in quanto le due dimensioni artistico-culturali s’intersecano e s’incontrano per poi fondersi a proprio agio.

E’ come assistere ad una danza di elementi della creazione allo stato puro, capaci di raccontare nei loro insiti passaggi una “storia”.

Le due figure, “l’uomo e la donna”, non hanno un volto definito. E non occorre che lo abbiano. Sono l’uomo e la donna di ogni tempo e di ogni luogo.

La sinuosità delle forme tratteggiate ci parla, senza dubbio, di un momento sensuale forte,confermato dall’utilizzo del colore e cioè il “rosso”.

Rosso fuoco, bellissimo, brillante .Un colore che congiunge una carnalità , quella che tu fruitore puoi cogliere solo attraverso l’immaginazione e tradurre in sensazione e fatto culturale, in seguito, mediante il pensiero.

Comprendi allora che,dietro il tratto e il colore dell’artista, prima della tua personale lettura, che può spaziare, con tutta legittimità, in mille e più differenti direzioni, c’è e prevale quel preziosissimo “mistero” della vita di ogni persona che , Barraco, ha inteso rappresentare e che dà un senso al Tutto.

E che significa “umanità che si perpetua” attraverso la congiunzione carnale (che poi non è mai solo tale) e l’atto del generare. Infinito nei secoli.

Infinito, dimensione temporale resa dal grigio-nero-bianco dello sfondo,da cui si stagliano, e avanzano in cammino, i due attori- protagonisti dell'opera.



                    di Marianna Micheluzzi