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domenica 30 giugno 2013

Cottolengo Hospital di Chaaria (Kenya) /Un libro -testimonianza di un piccolo grande miracolo








Con la prefazione della giornalista e scrittrice Mariapia Bonanate, vicedirettore del settimanale “Il nostro tempo” di Torino è nelle librerie, per conto della San Paolo editrice,in questi giorni, il diario africano di fratel Beppe Gaido, medico a tempo pieno ,da parecchi anni ormai, nell’ospedale (un tempo dispensario) di Chaaria, in Kenya.

Fratel Beppe Gaido, il cui impegno umanitario per i meno fortunati noi seguiamo da anni attraverso le colonne del periodico torinese, nasce come medico “impegnato” da quello che è il volontariato di matrice cattolica del Cottolengo di Torino.

E, poiché nulla accade per caso, la storia di Beppe (a raccontarla è la Bonanate nella ricca e ben articolata prefazione di “Ad un passo dal cuore”) ha radici lontane e cioè parte, ce lo ricorda la stessa giornalista, da quando, giovane studente liceale, il nostro si trova ad incontrare, per la prima volta nella sua vita, un’umanità sofferente.

 E questo mentre assiste, giorno e notte, suo padre, malato, e degente per un periodo in ospedale.

Da quell’esperienza matura in lui, inaspettatamente all’apparenza, la decisione di consacrare tutta la propria esistenza al servizio di chi è malato e sofferente.

Quella che si chiama, con un termine un po’ demodé, “vocazione”

Ci sarà, infatti, prima una specializzazione in scienze infermieristiche e poi una laurea in medicina e chirurgia.

E, finalmente, nell’ambito del volontariato cottolenghino, la partenza per l’Africa con destinazione Kenya.

Chaaria inizialmente avrebbe indotto allo sconforto chiunque, non fosse altro per l’enorme lavoro da fare accanto alla modestissima disponibilità di strumentazioni mediche, sussidi di prima necessità e mezzi economici a disposizione.

Questo, però, non accade a Beppe. E ,con un impegno serio e costante, va avanti (lui e i suoi pochi collaboratori) senza mai perdere la speranza che i piccoli passi, senza presumere nulla, ma con fede autentica e la preghiera, messi assieme, possano nel tempo essere vincenti e cambiare le “cose”.

Leggere “Ad un passo dal cuore”,allora, porta il lettore, grazie alle numerose esperienze raccontate con stile piano e accattivante, spesso dolorosissime se non addirittura di morte, e nonostante tutta la buona volontà di Beppe e dei suoi collaboratori, a capire in semplicità che l’unica nostra risposta possibile e praticabile, oggi, al male nel mondo (leggi disparità sociali che potrebbero non essere, ingiustizie di ogni sorta, nuove moderne schiavitù, corruzione, sete di potere) è il servizio dato a chi ne ha strettamente bisogno e ce lo domanda con dignità.

E non mi riferisco al solo campo sanitario. Penso anche all’istruzione che, nei Paesi in via di sviluppo, per la gioventù attualmente è fondamentale.

Come lo è in eguale misura l’opportunità di avere un lavoro, di farsi una famiglia e di non essere costretti a lasciare, per stretta necessità, il proprio Paese, rischiando tutto.

E da parte nostra il farlo,il dare una mano alla realizzazione, se è possibile, nel silenzio. Senza i clamori della piazza.

E, se proprio i clamori ci devono essere, che la risultante sia l’opportunità di migliorare, poco per quanto sia, appunto, i destini in difficoltà dei tanti.

Concludendo e lasciando agli amici il piacere della scoperta della personalità “forte" dell’autore e tutta l’amorevolezza e la disponibilità di chi lo collabora, senza mai guardare l’orologio, e i tanti protagonisti ( i malati) di storie, qualche volta per fortuna anche a lieto fine, ricordo che i proventi della vendita del libro saranno in parte devoluti al Cottolengo Hospital di Chaaria.

Pertanto, buona lettura e…buone opere.

                a cura di Marianna Micheluzzi (Ukundimana)

sabato 29 giugno 2013

Fede e Scienza / Dio e l'Universo creato /Reading da "Il mio Infinito" di Margherita Hack


       



Per Margherita Hack credente e non credente non possono dimostrare scientificamente l’esistenza o la non esistenza di Dio. Sono, entrambe le due posizioni, per la scienziata, risposte a bisogni personali differenti.

E possono benissimo convivere.

Lo scienziato credente -sostiene la Hack - adotterà il metodo scientifico per le sue ricerche e attribuirà la capacità del cervello umano di decifrare l’universo a questa misteriosa entità chiamata Dio, ispiratore della ragione e anche causa ultima del mondo.

Il non credente prenderà atto del fatto che la materia nelle sue forme più elementari abbia la capacità di aggregarsi a formare atomi e molecole, stelle e pianeti, ed esseri viventi.

L’uno crede nella materia e nelle sue forze intrinseche, l’altro crede che quelle forze intrinseche della materia obbediscano a una volontà e a un Bene superiore.

Le due ipotesi sono perfettamente equivalenti anche se diametralmente opposte.

Ateo e credente possono anche dialogare a patto che ambedue siano “laici” nel senso che rispettano le credenze o le fedi dell’altro senza volere imporre le proprie.

Per razionalizzare un po’ la questione le domande cui non possiamo dare risposte si possono dividere in due categorie : quelle che resteranno senza risposta e quelle che non si può escludere che,un giorno, superati certi ostacoli fisici, l’abbiano.

Non si possono mettere degli argini alla corrente del pensiero indagatore, un mare di tante menti di diversi Paesi, culture e religioni,che dilaga lì, in ogni ansa ,dove c’è qualcosa da scoprire.

I ricercatori sono convinti che un giorno sarà possibile costruire altri organi, con cui sostituire quelli malati.

Ben venga - diceva la scienziata.

E la “nostra” Margherita Hack, se interrogata in merito, rispondeva all'interlocutore con un’osservazione provocatoria, come   nel suo stile.

“Dio- precisava  molto seria - dovrebbe essere contento che i suoi figli, fatti a sua immagine e somiglianza, si avvicinino sempre di  più ai segreti della sua Creazione.

Ora la scienziata, fiorentina di nascita ma triestina d’adozione da moltissimi anni, il quesito potrà porlo direttamente al Padre, nella cui casa ha fatto anch’Ella ritorno come, un giorno, sarà per tutti noi.

Ti sia lieve la terra, Margherita cara.

Ti abbiamo stimato e amato. E non ti dimenticheremo.Siine pure certa.


 
      a cura di Marianna Micheluzzi




     









venerdì 28 giugno 2013

L'antilope,la mangusta e il ghepardo / L'angolo del Griot







C’era una volta,sempre alle latitudini del continente “nero”, che ormai abbiamo imparato a conoscere bene, un’antilope molto simpatica e girellona, oltre che vanitosetta, che aveva, però, il difetto di non ascoltare quasi mai i consigli degli amici veri.

Un giorno, la “nostra” amica è particolarmente felice perché, nientedimeno, il ghepardo e sua moglie, che godono di particolare reverenza da parte di tutti gli animali dei dintorni, l’hanno addirittura invitata, a cena, da loro.

Infatti, sul fare della sera, in tutta fretta, l’antilope comincia i preparativi per rendere più gradevole il suo aspetto ed essere all’altezza della dignità degli ospiti.

Una mangusta, sua vicina di tana, che si accorge della particolare euforia e,maliziosa com’è, non la beve, le si avvicina e, parlandole schiettamente,cerca di metterla in guardia.

In sostanza la mangusta precisa all’antilope : “Cara amica, ma sei proprio certa che quest’invito non sia solo una trappola ben congegnata?”.

L’altra, di rimando : “Cosa vai mai a pensare!!!”.

“Perché dovrebbe essere così?”

“Tanto il ghepardo che sua moglie si mostrano sempre gentili con me .E questo avviene tutte le volte che m’incontrano per via”.

Terminata la conversazione, in tutta fretta (è già buio) e un po’ impaziente, l’antilope s’incammina,appunto, lì dove è stata invitata.

A tavola la conversazione è brillante ma il cibo, stranamente, è di scarsa qualità.

Infatti, l’antilope fa una grande fatica a mangiare del mais durissimo, che le viene propinato in abbondanza, innaffiato da vino di palma.

Tuttavia, amante delle buone maniere, abbozza e prosegue, fingendosi soddisfatta, fino al momento del commiato, caloroso, e che non veicola, apparentemente, alcun sospetto.

Ma, fatti alcuni passi sulla via del ritorno, all’improvviso ecco che la“nostra”antilope si ritrova la strada sbarrata dal ghepardo, che aveva percorso una scorciatoia nota solo a lui e, senza troppi complimenti, l’afferra e comincia ,lentamente, a sbranarla.

Ferita e gocciolante sangue, l’antilope, a quel punto, ha ben poco da recriminare.

Ha da prendersela con la propria superficialità mista a una certa dose di vanità.

E deve arrendersi.

Era stata avvertita e non aveva ascoltato.

L'indomani alla mangusta non rimane che compiangere la sorte dell'amica.

Una sorte (diciamolo pure) che si era comunque, andata a cercare volontariamente, sorda com'era stata alle raccomandazioni premonitrici.

             a cura di Marianna Micheluzzi (Ukundimana)

"Sogno"di Giuseppe Ungaretti / La Poesia degli Altri








Rotto l’indugio sotto l’onda

Torna a rapirsi aurora.



Con un volare argenteo

Ad ogni fumo insinua guance in fiamme.



Ai pagliai toccano clamori.



Ma intorno al lago già l’ontano

Mostra la scorza, è giorno.



Da sonno a veglia fu

Il sogno in un baleno.





Giuseppe Ungaretti (da Sentimento del tempo - 1927)

Madagascar / Proverbi malgasci / Dono di un popolo semplice a noi






Il Madagascar è quella grande isola dell’Oceano Indiano, che fiancheggia il continente africano, che noi adulti abbiamo conosciuto inizialmente sull’atlante geografico, quando sedevamo nei banchi di scuola, ma che i bambini d’oggi ,alla sola pronuncia del nome, identificano all’istante con il cartone animato di successo, che hanno visto al cinema o in tv in compagnia dei propri genitori e amichetti e che tanto hanno amato.

Negli ultimi tempi l’isola-continente è particolare meta turistica degli occidentali in quanto parecchio gettonata proprio per le bellezze incomparabili e un sistema di vita che libera, per poco o per molto , a seconda dei casi, dai lacciuoli della nostra frenetica e assillante quotidianità.

Ma l’esistenza dei malgasci, quella autentica, di carne e di sangue, fatta di fatica e di sudore, specie quando poi il vento delle opportunità non soffia nella giusta direzione, non è affatto l’ ”Eden” che possiamo immaginare.

Nè politicamente. Né socialmente .

Come in tutti i PVS (Paesi in via di sviluppo) il divario tra ricchi e poveri è notevole e manca, soprattutto (ed è cosa molto grave), la libertà di potersi esprimere in maniera critica(tv-radio-giornali) nei confronti del potere costituito.

Censura e carcere sono all’ordine del giorno per chi non è obbediente e non lo ossequia.

Grande per estensione territoriale quanto la Francia e il Belgio messi insieme, conta circa 20 milioni di abitanti.

In prevalenza sono giovani e bambini. Uomini e donne che, oltre ai tratti somatici che spesso ricordano l’Asia degli antichi progenitori, primi a popolarla unitamente agli autoctoni, parlano una lingua che è, appunto, un impasto ma molto ben riuscito di tradizioni culturali africane e asiatiche.

Quella cultura spicciola, fatta di provata sapienza popolare,che possiamo portare con noi dopo un “incontro”, la ritroviamo nei loro proverbi.

Ecco perché meritano un po’ della nostra attenzione.

Leggiamone qualcuno.

“Non c’è niente di così duro che possa resistere alla forza dello zelo”.(Tenacia)

E, ancora, “La dolcezza è avvolta nell’amarezza”.(Realismo)

E poi, “ Non pensare che la valle sia così solitaria, Dio è sulla testa di tutti”.(Fiducia)

Quello che maggiormente colpisce, riflettendoci su, non è tanto una certa “religiosità” dell’essere nel mondo, insita nelle affermazioni di cui sopra (si può essere anche non credenti e sapere apprezzare) quanto, semmai, la “comunanza” del sentire dinanzi alla ricerca di quell’Unico, che regola da sempre l’esistenza di tutti.

Quale che sia la latitudine.

Ed è molto bello  scoprirlo e  riconoscerlo.

E’ un incontrarsi, per davvero, perché c’è scambio.

 Non "pappa" di cuore.              


 


   
        a cura di Marianna Micheluzzi (Ukundimana)

giovedì 27 giugno 2013

In Repubblica Centrafricana la fame è diventata carestia




      



Nel silenzio generale dell’opinione pubblica internazionale, in Repubblica Centrafricana, porzione d’umanità isolata e sempre più allo sbando, dopo gli ultimi drammatici eventi interni, la gente soffre la fame.

E pochi da noi, occorre che ce lo diciamo, possono comprendere, specie oggi, cosa significhi restare, per giornate interminabili, senza cibo.

Sani o malati, giovani o vecchi che si sia, le condizioni di uomini e donne, a Bangui, nelle altre cittadine e nei villaggi, sono appunto tali.

La parola giusta è carestia.

Come se non fossero bastati o bastassero gli scaffali semi- vuoti dei pochi negozi ancora aperti nelle città spettrali, la situazione si è ulteriormente aggravata da momento in cui il vicino Camerun ha deciso di non rifornire più di merce il Paese.

E il tutto ha avuto inizio in seguito ad un incidente capitato ad un trasportatore camerunense, che ha perso la vita durante l’esercizio del proprio lavoro.

Da quel momento in avanti c’è stato il rifiuto da parte camerunense di proseguire il servizio e il “no” deciso dei camionisti e dei rappresentanti stessi della categoria.

Le spiegazioni fornite sulle prime, attraverso i “media” locali, tanto da una parte che dall’altra, sono state quelle delle condizioni di pericolosità delle strade, intendendo per pericolosità il danneggiamento della carreggiata, che può favorire il ripetersi d’incidenti stradali.

Pretestuosa bugia in considerazione del fatto che in pessimo stato sono un po’ tutte le strade del continente e che gli autisti lo sanno molto bene.

Poi però si è anche detto, in aggiunta e chiaramente, della paura per la presenza lungo il tragitto degli uomini del Seleka.

Quest’ultimi , ribelli armati di differenti etnie e/o provenienze geografiche, islamici fondamentalisti, che hanno costretto alla fuga Bozizé e dichiarata conclusa una fase politica della Repubblica Centrafricana,destabilizzandola e senza lasciare, al momento, intravedere un possibile futuro,sono spietati.

Non esitano ad uccidere oltre che a impossessarsi di quanto incontrano sul proprio cammino.

E, per giunta, lo fanno servendosi dei cosiddetti soldati-bambini, cui hanno sottratto, plagiandoli, ogni personale capacità d’intendere.

Così, quasi certamente, il camionista camerunense è stata una loro vittima.

L’unico allarme in merito a questo dramma collettivo e individuale, che non lascia intravedere presto alcuna conclusione, viene dai vescovi della Chiesa cattolica locale, molto preoccupati.

Da Emergency di Gino Strada, che è rimasta sul posto in quanto non esiste sanità, e da sparute Ong locali, che fanno il pochissimo che possono con i mezzi risicati ,che hanno disponibili.



          a cura di Marianna Micheluzzi  (Ukundimana)

mercoledì 26 giugno 2013

Nigeria /Fondati sospetti d'intesa tra Shell e militari








Tutte le volte che abbiamo riferito della Nigeria, persino quando l’ oggetto erano i fatti di sangue, quelli provocati nel Paese dai fondamentalisti islamici di Boko Haram, abbiamo sempre avanzato il sospetto di una reale connivenza tra l’ esercito della Confederazione nigeriana e la presenza sul territorio delle multinazionali,che sono abili a pagare bene la corruzione.

In primis, la nota Shell.

Ma ce n’è, quanto a poca trasparenza, anche per le “nostre” sigle.

Così , adesso, abbiamo la conferma , dopo l’ennesimo incidente nella zona del Delta del Niger (area sud del grande e popoloso Paese africano ).

Conferma, che è avvalorata da quanto riferito dal direttore della National Coalition of Gas-Flaring and Oil Spill in the Niger Delta (Nacgond).

Questa organizzazione ambientalista nigeriana era accorsa , infatti, giorni addietro, sul luogo dell’incidente per fotografare e riprendere i danni dell’accaduto tragico agli impianti e all’area interessata della Royal Dutch Shell. E, magari, intervistare la popolazione.

Purtroppo ha trovato ad accoglierla, invece, una nutrita pattuglia di militari, ben armati, che li ha malmenato brutalmente e ha sottratto loro macchine fotografiche e telecamere.

Strumenti di lavoro professionali, che non sono stati più restituiti neanche dopo il rilascio delle persone.

Non occorre dire cosa sia per la gente del Delta l’inferno d’inquinamento a cielo aperto, in cui sono costretti a vivere da anni e anni.
E’ cosa nota.

E niente cambia in quanto, qui, in questo posto in particolare, i profitti valgono certamente più della salute delle persone e, quindi, della stessa vita umana.

Siamo noi che stentiamo a convincerci che lo”sterco” del diavolo per alcuni è profumatissimo.

E poi, accanto a miseria e malattie, cui certi nigeriani poveri hanno ormai fatto il callo, la beffa più vistosa è che i pescatori, che abitano nei paraggi degli impianti (obsoleti e senza manutenzione) non possono più pescare ( e dunque praticare un’economia di almeno “appena sussistenza”) per la continua fuoriuscita di greggio inquinante nelle acque del fiume.

Come, ci riferiscono, accade a Bodo (35 villaggi ) dove si può dire, senza tema di smentita, che è in corso un autentico “ecocidio”.

Dall’aria, all’acqua, alla vegetazione (splendidi alberi di mangrovie che  non ci sono più!).

Quanto ai militari è chiaro che essi si stanno prestando a un progetto di graduale destabilizzazione del potere attuale (e intanto incassano sotto banco dalle multinazionali o da chiunque paghi meglio e di più) per cambiare, se possibile, la guida della Confederazione alle prossime elezioni.





     a cura di Marianna Micheluzzi (Ukundimana)

martedì 25 giugno 2013

Reading da "Il cimitero di Praga" di U.Eco /Il futuro / Spazio riflessione






In quegli anni gli sciocchi si sentivano attorniati dal futuro (…)Tutti si compiacevano perché la vita stava diventando più facile, si stavano studiando delle macchine per parlarsi a distanza, altre per scrivere meccanicamente senza la penna.

Ci sarebbero ancora stati degli originali da falsificare?

La gente si deliziava delle vetrine dei profumieri (…), tutti ritrovati per rendere attraenti le femmine più lascive, ma ormai anche a disposizione delle sartine, pronte a diventare mantenute, perché in molte sartorie si stava introducendo una macchina che cuciva al loro posto.

         a cura di Marianna Micheluzzi

L'immigrato non è il"problema" /Il problema siamo noi





Urge integrazione per l’immigrato. Basta, infatti, con i vuoti e assurdi giri di parole con cui ci assolviamo di continuo.

E, peggio che mai, con i triti pregiudizi razziali .

Esternati ,persino ,negli stadi.

Pena l’aggravarsi inevitabile di una situazione già, socialmente, parecchio difficile per tutta una serie di concause che, sommate, potrebbero portare anche alla deflagrazione del Sistema”.

In quanto è provato, e da studi non di oggi, che colui o colei (immigrati), che nel fatidico “click day” non è riuscito, a suo tempo, a regolarizzare la propria posizione per ottenere il permesso di soggiorno nel nostro paese, possa commettere più facilmente di altri delle azioni illegali.

Dati alla mano, al 10% degli immigrati illegali nel pianeta è attribuibile, secondo ricerche serie, il 70% di quelli che sono i reati compiuti, nello specifico, appunto, dagli immigrati.

Quegli immigrati, di cui, a casa nostra, lamentiamo, ma senza mai individuare un minimo di soluzioni, che sono piene le carceri.

Puntare sulla regolarizzazione certo che non è la panacea .Ma un buon passo in avanti lo è.

Tenderebbero a scomparire, per esempio, ricatti come quelli del lavoro in nero e dell’affitto dell’alloggio a cifre da strozzinaggio.

E sappiamo tutti cosa è anche se, per miope egoismo o semplice superficialità, facciamo finta poi di non sapere.

E il vantaggio del paese ospitante, con l’auspicata regolarizzazione (e cioè “non ci sono più stranieri) , sarebbe, semmai, subito quello delle maggiori entrate fiscali.

Che non è poco,vista la situazione in cui versa l’Italia ,con le casse dello Stato un tantino “anemiche” o in costante dieta dimagrante.

Occorrono politiche, insomma, improntante alla razionalità. Questo se si vuole uscire dall’impasse.

E sono tutte cose che,da vent’anni a questa parte, si dicevano già negli ambienti delle organizzazioni non governative(ong), delle varie “caritas” o comunque associazioni umanitarie.

E lo si diceva,se si vuole, anche con una sottile vena di egoismo, pensando allora a quel futuro che è l’oggi ,che sarebbe venuto e che noi stiamo vivendo nient’affatto bene.

E, per di più, il cammino d’integrazione dello “straniero”, del migrante, andrebbe vissuto(grande merito a chi lo ha già messo in pratica) in tutte le nostre città ,e nei nostri ambienti , con quel supplemento di umanità, tanto a livello individuale che comunitario, che è indispensabile per vincere legittime paure, le forti solitudini e l’ atrofizzazione dei rapporti umani.

Come, spesso, é.

Questo, però, significa sapersi confrontare con culture e religioni differenti (istruzione e formazione), mettendo in gioco tutte le proprie competenze e la propria esperienza di persona.

E bisogna farlo .

Tramandare, semmai, è il “non senso”.


           a cura di Marianna Micheluzzi (Ukundimana)

lunedì 24 giugno 2013

Parallelismi divergenti /Le regole del medesimo gioco / I "manichini" di Nani








Una “ greffa” di feriti a morte attraversa la città / Il “bello” acerbo che inquieta / Finta ingenuità / Distruzione pre- meditata / Castello di “carte” diruto / La casa che brucia fino alle fondamenta / Gioco-Travestimento / Nessuna fierezza /Vociare afono che seduce gli sciocchi/ E un “futuro” che non c’è più .
                                                                                                                             (m.m.)

Umano tra passato e futuro recente/I "manichini" di Nani








Corpi giovani e amare memorie /Tempo che scorre / Dolore che muta / Eros appreso con forza alle carni / Emozione serbata /Sogno dolente /Non c’è debolezza, né paura/ Ignari di cautele e disinibiti con disincanto  avanzano.
             (m.m.)

Pirateria nel Golfo di Guinea / Urge combattere la "piovra"








I Paesi dell’Africa occidentale e centrale si sono incontrati oggi, per la prima volta, a Yaoundé, capitale Camerun.

Il summit riguarda il fastidiosissimo problema della pirateria marittima che,oltre a serpeggiare,come ben sappiamo da anni, lungo le coste somale, ha preso a imperversare, ultimamente, anche nell’area del Golfo di Guinea.

L’appuntamento di Yaoundé,che si protrarrà per alcuni giorni, dovrebbe poter contare sulla partecipazione di una decina tra capi di Stato e di Governo oltre ad alcune rappresentanze della Ceeac e della Cedeao.

Ossia della Comunità economica degli Stati dell’Africa centrale e della Comunità economica dell’Africa occidentale assieme a coloro che costituiscono la Commissione del Golfo di Guinea.

Il danno economico e d’immagine che la pirateria sta arrecando all’Africa è, senza dubbio, notevole.

Specie per i Paesi costieri, che vedono in essa una minaccia molto seria a quello che potrebbe essere il proprio sviluppo.

Urge, pertanto, da parte dei politici prendere delle adeguate misure e metterle in atto, possibilmente, in tempi brevissimi.

Per esemplificare la gravità della situazione basti pensare che lo scorso anno (la fonte è l’Ufficio marittimo internazionale) gli attacchi nel Golfo di Guinea sono stati ben 996.

Le coste somale, invece, ne hanno fatto registrare 851.

Entrambi i numeri, comunque, risultano essere elevati e non possono non mettere in allarme.

Nelle acque del Golfo di Guinea fanno gola ai pirati,in particolare, le petroliere nigeriane con il loro “prezioso” carico che, rivendute sotto banco al migliore offerente (qualcuno disponibile si trova sempre), rappresentano un affare molto redditizio.

Si aggiunga all’accaparramento del bottino anche le pratiche di violenza disumane,che si attuano al momento del sequestro stesso dell’imbarcazione. Non importa quale che essa sia.

L’incontro di Yaoundé , occorre precisare,sarà proficuo solo se si raggiungerà tra i differenti Paesi un’intesa regionale riguardante i controlli costieri e la promulgazione di leggi identiche cui, seguano poi relative misure di pena . Senza trascurare, supporto fondamentale grazie alla telefonia mobile e ad internet, la circolazione di informazioni dall’uno all’altro Stato.

                a cura di  Marianna Micheluzzi (Ukundimana)

In cucina con "mama" Africa / Banane allo zenzero








E’ la stagione giusta per rallegrare la tavola e gli ospiti con una “delizia” tutta africana.

Ed io, quest’oggi, ci provo.

E’ d’obbligo non dimenticare di completare il nostro dessert, comunque, con un buon gelato artigianale di fattura nostrana.

Ecco, allora, che mi procuro un 25 grammi di uvetta e quattro belle banane non troppo mature.

Meglio se, nei negozi specializzati, trovo da comperare quelle africane .Piccole. E poi dello zenzero da tagliare a pezzetti.

Il succo d’arancia non deve mancare così come del rhum da spruzzare prima della cottura e, magari, durante.

E per le arance, oltre al succo che mi occorre (2 cucchiai), provvedo a tagliarne alcune fettine (12-15) per decoro.

L’operazione ha inizio immergendo nel burro fuso, per almeno cinque minuti, le banane tagliate a rondelle, l’uvetta e lo zenzero.

L’insieme,ben amalgamato,lo si completa con delle fettine di arancia ( non tutte, perché le restanti decoreranno il piatto di portata) e gli spruzzi di rhum e succo d’arancia.

Infine il tutto lo depongo nel forno ben riscaldato per almeno una quindici di minuti.

Un autentico gioco da ragazzi anche per una cuoca inesperta come me.

Servito caldo e accompagnato dal gelato (magari alla vaniglia) è assolutamente di un gusto impareggiabile.

In questo modo mi porto sì  un po’ di Tanzania in tavola (nostalgia) ma la condivido, in allegria, anche con gli amici.


             a cura di Marianna Micheluzzi (Ukundimana)

domenica 23 giugno 2013

"Il monello punito" / L'angolo del Griot






C’era una volta, nel nostro solito villaggio africano, ai margini della foresta,un bimbo un po’ birichino che, ascoltando i racconti degli adulti, era venuto a sapere dell’esistenza di un piccolo genio, il quale da sempre dimorava nascosto, e quindi ben acquattato e protetto tra le erbe alte, nella folta vegetazione del bush.

E viene a conoscenza anche che non è affatto facile sorprenderlo e ,dunque, il poterlo vedere.

Si tratterebbe, per chi volesse osare,assolutamente di un’autentica sfida.

Così, un giorno, senza che i familiari di lui si accorgessero di nulla, il “nostro” monello decide di andare nel bush.

Passo dopo passo, sotto un sole molto poco generoso, giunge in quello che sapeva essere il punto d’avvistamento e,in effetti, riesce nell’intento.

Il “genietto” è proprio lì.

E allora, in meno che si dica il “nostro” monello, tronfio come un eroe adulto, si avventa sul genietto con un grosso bastone, che aveva recato con sé, e lo tramortisce con ripetuti e ravvicinati colpi.

Quando è certo che è di sicuro morto, pensa bene nell’immediato di arrostirlo, con un fuoco improvvisato, e mangiarselo tutto.

Ma non l’avesse mai fatto…!!!!

Finita la scorpacciata, il genietto, dalle budella del bimbo, si manifesta all’improvviso.

E, meraviglia delle meraviglie, è più vivo che mai.

Comincia così a percuotere dall’interno il corpo mingherlino del bimbo, che inizia ad avere dei terribili mal di pancia.

Il bimbo piange e si dimena senza sosta.

Intanto lui, il”genietto”, con un balzo acrobatico, è fuoriuscito lesto dalla bocca del bambino e se ne è ritornato sicuro nel suo nascondiglio.

Col passare delle ore il male, però, progredisce e per il bimbo birichino non c’è proprio nulla da fare.

La disobbedienza agli adulti, mista a incauta curiosità, gli è costata la vita tanto che, al villaggio, neanche il guaritore di fiducia,per quanto s’impegni, può fare niente per salvarlo.

Da quella volta in avanti, nessun bambino più del villaggio ha mai osato ripetere la stessa esperienza.

E sono trascorsi parecchi anni.

Se ne stanno tutti tranquilli a fare i loro giochi, ciascuno in quello che è il perimetro del proprio villaggio e, naturalmente, sotto gli occhi amorevoli e vigili della mamma o del nonno.

               a cura di  Marianna Micheluzzi (Ukundimana)

sabato 22 giugno 2013

Niamey (Niger) /Disagi per i continui black out d'energia elettrica







Che l’erogazione di elettricità in quasi tutta l’Africa subisca ripetute interruzioni e nelle ore e nei momenti più impensati non è una novità.

Il problema, naturalmente, investe ospedali, scuole, uffici e danneggia persino le famiglie comuni,che spesso vedono andare a male le loro modeste provviste ,quelle che conservano nei frigoriferi e nei congelatori.

E questo quando esse sono così fortunate da possederne uno.

Certamente i più ricchi possono permettersi il gruppo elettrogeno (e la situazione è un po’ differente). Mi riferisco agli uffici e ai servizi in genere ma non è raro che negli stessi ospedali si debba, al’improvviso, affrontare un parto difficile o un intervento di chirurgia al lume di una torcia elettrica e con tutti i rischi seri ,che la cosa può comportare.

In questi giorni, i danni per l’inclemenza del tempo alla diga di Kainji, nel Niger, stanno mettendo in notevoli difficoltà non solo gli abitanti della capitale,Niamey, ma anche quelli delle province di Dollo e Tillaberi.

E la società nigerina erogatrice d’elettricità, la Nigelec, non può fare altro che tramandare di giorno in giorno, al momento, la soluzione del problema nonostante le continue sollecitazioni che riceve .

La gente ,infatti, ha paura, specie di notte, ad uscire in strada o addirittura teme di essere aggredita e rapinata nelle proprie abitazioni.

E non è un’ipotesi peregrina. Quando tra i disagi reali c’è povertà endemica, che non sempre s’accompagna all’onestà e le mille e una tentazioni spuntano, nelle “testoline” senza freni, peggio dei funghi in bosco autunnale dopo le piogge.

         
             a cura di Marianna Micheluzzi (Ukundimana)

venerdì 21 giugno 2013

"Né menti né corpi docili" / Popsophia / Istruzioni per l'uso








Consapevoli fin nelle midolla d’aver chiuso per sempre con il blà blà del post moderno e con tutta la chincaglieria d’antan dei suoi “tromboni”, la filosofia, fuori dalle aule scolastiche e dagli atenei, può conservare, oggi, un certo potere d’attrazione sulle ultime generazioni solo se, dinanzi all’emergenza data dalla presenza crescente, nelle nostre città e nei nostri paesi, di quella moltitudine indistinta,il cui potenziale umano è costituito molto spesso anche da individui consapevoli e dalle buone potenzialità, deve finalizzare il proprio impegno a :



1) Combattere l’oligarchia economica che detiene bulimicamente il potere e il sapere

2) Impedire il lievitare di una classe di consumatori necessari esclusivamente al “sistema”

3) Tendere a cancellare gradualmente ogni forma d’esclusione



In che modo ?



a) Nel creare con tutti gli input possibili e immaginabili (“fantasia al potere”) coscienza dell’importanza di una politica partecipativa dal basso



b) Nel privilegiare istruzione e, soprattutto, formazione a 360° ( cioè crescere prima come uomini e donne autentici e, poi, come cittadini responsabili)



c) Nel fare in modo che i “consumi”,nel rispetto di una corretta politica ambientale, abbiano sopratutto carattere di essenzialità (“piccolo è bello)



d) Nel saper riconoscere i ghetti degli “esclusi” e lavorare perché essi non siano più.



Con quali strumenti ?



Arti  figurative /Musica / Balletto/ Letteratura / Filosofia/ Sociologia /Cinema /Teatro /Opera ( e con scelte non necessariamente nella gamma di quelle rispondenti al “canone” ) .


Concludendo :

NB.

Ricordarsi ,comunque, di non gettare mai con l’acqua sporca anche il bambino.

I danni, attenzione, potrebbero rivelarsi, volesse il caso, maggiori dei vantaggi.


               Marianna Micheluzzi


       
  
          




"Tempo sospeso" /Spazio Poesia








Un caftano turchese

avvolge un giovane

corpo di donna

che cammina spedita.

Il sole a quell’ora

è impietoso.

Un forte profumo

di spezie

si spande nel

dedalo intricato

di viuzze cittadine.

Il gabbiano ha

trovato compagnia.



     Marianna Micheluzzi



Botswana / Pericolo scampato per i Boscimani ma...fino a quando?






Dei boscimani,e della quasi certezza per loro d’essere scacciati dalle terre in cui hanno vissuto da sempre, ne ha parlato ampiamente,e per mesi,”Survival”,l’associazione internazionale impegnata nella difesa dei popoli indigeni, e ci ha documentato, passo dopo passo, su difficoltà e superamento dell’impasse.

Nel corso della settimana, i giudici del tribunale del Botswana, piccolo ma interessante stato-nazione, limitrofo del Sudafrica, hanno finalmente garantito ai 600 membri della comunità dei boscimani dell’area di Ranyane (deserto del Kalahari) di poter restare lì, dove essi sono sempre stati da generazioni e generazioni.

Cessa, cioè, la martellante e capillare campagna da parte dello Stato del Botswana per allontanarli e spingerli in territori inospitali. Una campagna sfacciatamente finalizzata al profitto, grazie all’occupazione di nuove terre. Terre, che sono oasi faunistiche ( babbuini neri/ antilopi/facoceri), idonee a safari fotografici di lusso per ricchi turisti di passaggio.

Alla “buona” notizia dello scampato pericolo si affianca, però,secondo quanto riferisce Khwedom Council, una ong locale che ha preso le difese dei boscimani, la richiesta perentoria da parte di questi ultimi di poter avere anch’essi, come tutti, una scuola per la propria gente e un centro di salute per controlli e assistenza sanitaria.

In fondo la legittimità della richiesta sta nel fatto che si tratta, comunque, di servizi essenziali alla persona.



            a cura di Marianna Micheluzzi (Ukundimana)

giovedì 20 giugno 2013

Cameroun / Parliamo dei Kirdi / Ricordo di Jean Marc Ela








Il racconto, e con dovizia di particolari, dei Kirdi, una popolazione di contadini-pastori del nord-est del Camerun è opera del teologo e sociologo Jean Marc Ela ne “La mia fede d’africano”, uno scritto nato dopo la permanenza e l’esperienza fatta dall’abbé, stabilitosi dopo il completamento degli studi a Lovanio e a Parigi, per un certo lasso di tempo presso di loro, nei primi anni ’80, di quello che è stato, appunto, il secolo appena passato.

Oggi Jean Marc non è più con noi. Ha fatto ritorno alla casa del Padre.

Ma i suoi libri continuano ad essere letti con molto interesse in quanto monito e giusta provocazione per chi fosse scettico sulle reali possibilità di un cambiamento dell’Africa anche solo grazie all’ausilio di strumenti come può essere una spoglia fede evangelica.

Quella che Ela amava praticare da sempre e testimoniare nei suoi incontri.

Apriamo il libro a pag 136 (Edizioni Dehoniane Bologna-1987) e siamo in piena riunione di comunità.

La comunità, appunto, dei Kirdi.

Quella volutamente scelta da Jean Marc perché piuttosto tagliata fuori dal resto del Paese.

Idonea, per lui, più delle altre per la verifica di quanto il messaggio di Cristo possa incidere (senza mediazioni distraenti) e cambiare le cose, se lo si vuole.

E migliorare di conseguenza, in piena armonia, la qualità della vita della gente.

Omettendo, certo, le grandi pretese.

Si tenga presente, inoltre, che vivere la comunità è fondamentale sopratutto nelle società contadine.

E questo poi , specie in Africa, dove non necessariamente l’assemblea ha una connotazione politica, come è accaduto e può ancora accadere ,ai nostri giorni, per esempio, in America Latina.

Ma essa fa ugualmente scelte che potremmo definire “politiche”(è quello che Ela vuole dimostrare nell’esperienza dei fatti accaduti) in quanto connotate di buon senso e vantaggiose, in genere, per la collettività.

L’occasione iniziale dell’incontro è certo l’ascolto della “Parola” ma ai presenti, grandi e piccini, viene subito posta e (di rimbalzo essi stessi poi se la pongono) una domanda.

Perché siamo diversi ? Perché siamo così poveri?

Quando si è parlato in precedenza di Adamo ed Eva - Ela chiarisce - che subito i presenti hanno puntualizzato che loro, proprio loro, sono stati tra i primi, forse, di quelli cacciati fuori dal “giardino”. E mandati qui a espiare la propria colpa sulle montagne dall’agricoltura grama.

Ma poi –è sempre Ela che racconta – essi, tra un commento e l’altro, ad alta voce, hanno cominciato a riflettere su cose concrete, senza più piangersi addosso.

Per esempio, guardandosi intorno e pensando ai loro campi e al loro bestiame in difficoltà, hanno riflettuto sulla mancanza d’acqua.

Che cosa si poteva fare?

Ecco che la comunità decide che bisogna darsi da fare per scavare pozzi e, giorno dopo giorno, con fatica e con sudore, tutti o quasi tutti all’opera, qualcosa comincia a cambiare.

I villaggi circostanti,nonostante le distanze, addirittura, favoriscono l’impresa, aiutandoli ad installare le tubature per portare l’acqua nei luoghi in cui essa necessita maggiormente.

E poi , un discorso tira l’altro,spunta fuori anche il problema “salute”.

Si nomina,allora, un gruppo di saggi, e si pensa di contribuire un po’ tutti, autotassandosi, per l’acquisto di medicinali per la comunità, in modo da possedere finalmente in proprio, senza ricorrere a terzi, un’autentica piccola farmacia.

E stessa cosa vale per l’istruzione dei figli, seppure i genitori non siano mai andati a scuola.

Nasce infatti, in quattro e quattro otto, un comitato dei genitori degli studenti con un tesoriere, responsabile della cassa comune.

In che modo si realizza il denaro necessario?

Lavorando comunitariamente i campi ,si provvede in questo modo a pagare maestro , divisa e libro per tutti i bambini.

Ed è per Jean Marc un risultato assolutamente strepitoso .Lui, camerunense, figlio dell’Africa nera.

Gli adolescenti, i giovani, sanno poi che andare a lavorare in città significa guadagnare soldi da poter spendere a proprio piacimento e vorrebbero andare. E mordono il freno.

Ma, anche in questo caso, discorso dopo discorso, riflessione dopo riflessione, si decide (decidono essi stessi persuasi) che forse è meglio restare al villaggio e coltivare le arachidi da commerciare .

Le donne, invece, oltre che dare una mano con le arachidi per estrarre l’olio, hanno anche imparato a confezionare abiti, che possono vendere ad altre donne nei giorni di mercato.

        a cura di Marianna Micheluzzi (Ukundimana)

mercoledì 19 giugno 2013

Il "viaggio" della vita / Da Jorge Luis Borges all'amico Claudio Magris





Un uomo -amico mio- si pone il compito di disegnare il mondo.
Trascorrendo gli anni popola uno spazio con immagini di province, di regni, di montagne, di baie, di navi ,di isole, di pesci, di mari, di strumenti, di astri, di cavalli e di persone.
Poco prima di morire scopre che quel paziente labirinto di linee traccia solo l'immagine del suo volto.

                           Jorge Luis Borges

L'Africa e il "greggio" globale /Ottime prospettive per l'Occidente e la Cina






Secondo uno studio recente della banca panafricana Ecobank, a conclusione del 2013, l’Africa avrà prodotto nell’insieme ben 8,9 milioni di barili di greggio.

Un dato decisamente significativo se non fosse poi che la positività del risultato si traduce in vantaggi economico-finanziari, almeno in Africa,solo per una limitatissima cerchia di persone.

E 5,9 milioni di barili, sempre secondo lo studio, continueranno ad arrivare, in particolare, come già è ora, dall’Africa subsahariana.

I numeri di Ecobank relazionano che la produzione totale di greggio africano, nei soli ultimi due anni, è stata in effetti il 10% della produzione mondiale.

Infatti 250 milioni di metri cubi del continente saranno quelli del 2013, mentre 230 milioni erano quelli estratti dello scorso anno.

E la ricchezza della produzione di “oro nero”, o almeno le buone prospettive nel tempo, dipendono, nella fattispecie, anche dalle ultime significative scoperte di giacimenti in Angola, Mozambico e Tanzania.

Occorre però , sempre secondo gli esperti di Ecobank, precisare che la provenienza più massiccia destinata all’Occidente e all’Asia ( leggi Cina) , è sempre quella che giunge dall’Africa occidentale e , soprattutto,dall’area del Golfo di Guinea.

La Cina è acquirente, da sola, di più della metà del greggio sub sahariano e, nelle contrattazioni e negli acquisti , ha superato da tempo gli Usa, posizionandosi appena alle spalle dell’Europa.

E’ lecito , allora, domandarsi, oltre al duro lavoro ai pozzi, quale sarà la porzione di questa “torta” che spetterà agli africani ? Cosa cambierà in termini di qualità dell’esistenza nella loro difficile e faticosa quotidianità?

E ,attenzione, quando parlo di africani, io mi riferisco, sempre e solo, alla gente comune.

Personalmente sono tentata di rispondermi : niente o quasi niente.



     a cura di Marianna Micheluzzi (Ukundimana)

martedì 18 giugno 2013

La "Poesia" degli Altri / Gian Mario Villalta




“Quello che sento diventare è sapore


e distanza che si piega nella mente.

Il tiglio è adesso tiglio veramente.

Ogni goccia di pioggia nel suo nitore

è pioggia e goccia finalmente”.

                       tratta  da "Vanità della mente". Mondadori editore -2011

Arusha (Tanzania) /Un nuovo attentato conferma un'instabilità politica latente






E’ accaduto sabato scorso nel corso di un comizio. Il bilancio, nella città di Arusha,cittadina settentrionale del Tanzania, è di tre morti.

Essendoci le elezioni amministrative in programma la domenica successiva, durante la manifestazione del partito di opposizione, il Chadema, una bomba lanciata (e non si sa con certezza da chi) ha ucciso tre persone.

Il ministro dei Rapporti con il Parlamento, parlando ieri, lunedì, in seduta plenaria ai deputati, ha accusato partiti e politici, che sarebbero “scontenti” dell’operato dell’attuale governo, i quali istigherebbero loro stessi la gente alla violenza.

Ma non ha fatto nomi.

Da parte, invece, del Chama Cha Mapinduzi, il partito del presidente Kikwete, si è fatto chiaramente capire che l’attentato di sabato è,secondo loro, il prosieguo di quello del 5 maggio, verificatosi nei pressi di una chiesa cattolica alla periferia della città.

E,anche in quella tragica occasione, i morti furono in numero di tre.

Gli uomini del Chadema ,però, sostengono di avere individuato addirittura un poliziotto, che avrebbe effettuato il lancio dell’ordigno e poi si sarebbe dileguato velocemente tra la folla.

Se così fosse, l’arcano è presto svelato.

Ossia il potere non accetta contestazioni di sorta nonostante, negli ultimi tempi, il dissenso nei confronti Chama Cha Mapinduzi sia crescente e proprio a causa di alcune liberalizzazioni, che non tengono affatto conto degli interessi della popolazione locale ma, sempre e solo, di una ristretta cerchia di notabili, che ruota intorno a Kikwete.

E, per tenersi saldo in sella, utilizza ogni possibile modalità.

Insomma, anche in Tanzania, a quanto è dato sapere,l’opposizione politica continua a non avere vita facile. E il problema,piuttosto preoccupante, chiaramente, non è circoscritto alla sola città di Arusha.



         a cura di Marianna Micheluzzi (Ukundimana)

lunedì 17 giugno 2013

Haiti come e peggio dell'Africa /Violenze ingiustificabili contro le vittime del terremoto






Sappiamo bene che il dopo-terremoto ad Haiti,e sono già trascorsi tre anni (2010), ha lasciato parecchie ferite ancora aperte, tanta miseria e che gli aiuti umanitari internazionali, che pur non sono mancati, sono serviti a molto poco lì dove sono riusciti ad arrivare realmente.

Ebbene l’ennesima e ultima triste notizia,data dai media locali, è che 120 famiglie di sfollati, cioè gente senza casa, hanno dovuto lasciare, giorni addietro, un loro improvvisato accampamento di fortuna in quanto scacciati da ignoti, che hanno utilizzato dei trattori per terrorizzarli e allontanarli con la forza.

La denuncia del fattaccio è stata fatta dal Programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo (Undp).

I responsabili dell’Undp hanno confermato che non si tratta del primo spiacevole episodio ma che ci sono stati, dall’inizio dell’anno, migliaia di senza tetto trattati tutti alla stessa maniera.

Uno dei tanti, ad esempio, è accaduto in una zona a ovest di Port au Prince ma lo sgombero degli accampati non è stato affatto opera del proprietario del terreno.

E ancora, accanto a questo, nel corso dell’anno, con le medesime modalità di violenza, 1028 famiglie sono state cacciate via da alloggi fatiscenti in cui si erano rifugiate e vivevano. E non è improbabile che si verifichi,a breve, la stessa cosa nei confronti di almeno altre 20 mila famiglie, che numericamente equivalgono a circa 75 mila persone. Compresi bambini, donne e anziani.

Perché ciò accade?

Certamente, dietro questi comportamenti inumani, c’è la speculazione affaristico-economica che potrebbe riguardare, magari, l’edilizia turistica quanto l’agro-alimentare oppure il settore minerario.

Lavanderia, insomma, per denaro sporco. Quello che è certo è che l’attuale Governo haitiano, nei fatti, sta a guardare anche se promette,a parole e ufficialmente, d’impegnarsi ad indagare per dare una spiegazione al fenomeno.

Infatti, se si è conniventi con il malaffare, anche solo in parte (piccola o grande che questa parte sia), non è facile poi tirarsene fuori.


      a cura  di Marianna Micheluzzi (Ukundimana)



Bengasi (Libia) /Calma apparente in città e ricorso alle unità speciali dell'esercito








Non c’è pace a Bengasi e, in particolare, dopo gli scontri dei giorni scorsi tra l’esercito e un gruppo armato di dissidenti.

L’intera città è pattugliata, al momento, in quanto potrebbe accadere il peggio e la situazione precipitare da un momento all’altro.

Ricordiamo che Bengasi, importante scalo portuale libico,al tempo della lotta contro il regime di Gheddafi, era la culla ufficiale della rivolta contro il rais , i suoi familiari e tutto il suo entourage.

L’attesa del primo ministro Al Zeidan, in queste ore (mentre scriviamo), ha un solo significato e cioè quello d’invitare alla calma e all’unione tutti i cittadini.

L’ intento di Al Zeidan è stato rafforzato in precedenza anche dal messaggio diretto alla cittadinanza del gran muftì della Libia, Gharyani.

La notte tra venerdì e sabato scorsi ci sono stati, infatti, di nuovo parecchi morti e feriti, lì dove ha sede il quartiere generale delle Forze speciali e lungo la strada ,quella che conduce all’aeroporto.

E,ancora, una settimana prima ci sono stati scontri con esponenti della milizia “Scudo della Libia”, posta addirittura sotto l’autorità dello stesso ministero della Difesa libico, tanto che poi il capo di stato maggiore dell’esercito è stato costretto inevitabilmente a rassegnare le proprie dimissioni.

E infine, a Derna, è stato assassinato il presidente della Corte penale, Mohamed Ibrahim Houidi.

Probabilmente, secondo la stampa del luogo, l’omicidio è stata opera di un gruppo fondamentalisti islamici non ancora identificato.



      a cura di Marianna Micheluzzi (Ukundimana)

Abidjan (Costa d'Avorio ) /Produttori d'olio di palma fanno rete




       



Il futuro dell’Africa, come opportunità economica molto redditizia, punta negli ultimi tempi anche sulla produzione dell’olio di palma.

E questo a dispetto dei detrattori (alcuni ambientalisti, alcune ong e, soprattutto, gli industriali della soia), che ritengono il prodotto della palma nocivo alla salute.

Mentre, secondo alcuni altri esperti e ultimissime ricerche in merito, la menzogna ben confezionata e proposta al pubblico, nasconderebbe ben altri interessi. Come, ad esempio, è accaduto nel caso dei “Magasins U” che, in Costa d’Avorio ( dichiaratamente feudo francese), hanno orchestrato un’autentica campagna pubblicitaria, per fortuna fatta successivamente ritirare, ricorrendo al giudizio del tribunale.

In tre giorni,la settima scorsa, ad Abidjan, capitale economica della Costa d’Avorio, se n’è discusso con molto interesse e hanno partecipato al meeting i rappresentanti convenuti di 26 Paesi africani.

La richiesta a livello mondiale (specie in quelli che sono i PVS) è elevata, in quanto si tratta di un condimento accessibile alle tasche le più modeste.

In Africa, inteso quale continente, la sola Nigeria ne produce, ad oggi, annualmente circa 910 mila tonnellate. E non è poca cosa. Seguono per quantità la Costa d’Avorio,il Gabon e il Ghana.

Inoltre, sempre in Costa d’Avorio, c’è la più grande raffineria per l’olio di palma, che appartiene ad investitori locali, presenti nel settore con gli impianti fino dal 1995.

Ecco, allora, che non resta altro che, senza farsi intimidire, difendere i propri interessi mettendosi all’opera.

Si pensi che Thailandia, Malesia e Indonesia, da sole, in Asia, attualmente producono già l’86% di quello che il mercato richiede e il cliente consuma.

              a cura di Marianna Micheluzzi (Ukundimana)

"Contaminazione onirica" /Spazio Poesia








Cielo viola.

Quinta scenica

di monti rugginosi

nella bianca vallata

in cui uccelli dall’ali

legnose tagliano

l’aere polveroso

e s’acquattano a fatica

tra gl’ispidi rovi.

Imposte serrate.

Silenzio iperreale

Assenza di “vivezza”

eccetto presenza di un

nido scomposto pari

al gioco beffardo

della sconfitta.



         Marianna Micheluzzi







sabato 15 giugno 2013

Congo- Brazzaville /Studiare informatica allo Skytic






E’ stato inaugurato che è pochi giorni (13 giugno), a Brazzaville, capitale della Repubblica del Congo, un nuovo centro studi, molto qualificato, con l’obiettivo della formazione in informatica per amministratori, imprenditori e quanti, comuni cittadini, desiderino apprendere il necessario per poter essere poi in grado, al termine della frequenza dei corsi, di gestire le ultimissime tecnologie.

Dal programmatore sino al normale utilizzatore,insomma, e in base ad attitudini e al profitto.

Skytic è il nome della struttura ma anche quello del progetto che, anni addietro, è nato in Francia, con lo specifico dell’essere rivolto ai Paesi dell’Africa centrale,ex-colonie francesi.

Pare, infatti, che abbia in Congo un’esperienza decennale nel campo.

Inoltre lo Skytic rilascia certificati validi negli Stati di cui sopra e, il poterlo frequentare, costituisce di per sé un tratto distintivo dell’utente.

Il centro studidi Brazzaville è dotato numericamente di cinque aule informatiche attrezzatissime e molte sale-conferenza.

Gli studenti, secondo quanto riferisce il portale d’informazione “Congo Site”, hanno a disposizione ben 200 materie di studio e ambiti di formazione differenziati.

Considerata la peculiarità del Congo-Brazzaville, che poi è la medesima( o quasi) della maggior parte delle nazioni africane ,con a capo un despota per presidente e una cricca di ladroni parassiti come seguito, ossia i soliti pochissimi ricchi e i molti poveri, la domanda nient’affatto peregrina è : chi e quanti , nella realtà, potranno permettersi di frequentare lo Skytic a Brazzavile?

Ci sarà autentica democrazia e possibile crescita economica, come recitano le ampollose parole di presentazione nel portale d’informazione,a mio parere, solo quando tutti, ma sul serio tutti, saranno messi nelle condizioni di poter accedere al “sapere” e non ,come accade oggi, una limitatissima quanto fortunata( e non per meriti personali) élite.
 
    
                
a cura di  Marianna Micheluzzi (Ukundimana)

"L'attesa" /Spazio Poesia





Chiarore e oscurità

s’alternano bizzarri

nel tempo indefinito

dell’esistere

pari a quella ruota

che nel “suo” roteare

un po’pazzerello

resta imprevedibile.



L’attesa estate

ora è giunta e da

madre generosa

può nutrire

gli arbusti gracili

e i lussureggianti prati,

che doneranno

e frutti e fiori.



E il sole zuzzerellone

da coltre luminosa

s’appresta a fasciare i corpi

di chi sulla battigia

(all’apparenza spensierato)

è avido e di piacere

e di piacersi.

Di mirare e d’essere

mirato( proprio come

recita il poeta).



C’è qualcuno però

che, fuori del coro,

attende l’altra estate

quella che porta con sé

“vivezza” e verità.

E con essa anche il dono

del sembiante e di una voce amica.

Tela policroma.

Icona del Bene e del Bello.





Marianna Micheluzzi



Nigeria /Bambini in difficoltà





Pur essendo un Paese che galleggia sul petrolio, molto popoloso e non estremamente povero (povertà endemica a parte nelle regioni del nord e la recente spina nel fianco degli islamisti di Boko Haram) la Nigeria ha quasi 11 milioni di bambini con meno di cinque anni, che soffrono tutti, o quasi tutti, di gravi disturbi della crescita a causa di un’alimentazione insufficiente.

Questo conferma quanto già detto, in generale, nel rapporto dell’organizzazione umanitaria “Save the Children” a proposito di tutti i piccoli del pianeta, i quali, in differenti continenti, nascono e vivono in aree disagiate.

La diagnosi circostanziata al contesto nigeriano, questa volta, la stende la “Nutrition Society of Nigeria”, una organizzazione non governativa nigeriana (Ong), che opera appunto localmente.

Secondo il presidente della Ong in questione, Ngozi Nnam, la gravità del problema sta nel fatto che, come ben sappiamo, un’alimentazione carente e/o insufficiente compromette lo sviluppo fisico e cognitivo della persona. In particolare dei bambini sotto i cinque anni di età.

E questo, quale che sia la strategia da individuare per apportare una soluzione, deve essere, nel tempo, sempre meno, quello che si definisce un “no problem”.

Per Ngozi Nzam il problema, infatti, è tanto umanitario quanto economico.

E per economico ,egli spiega, si tratta da parte dei governanti di rendersi conto che la mancanza di un rimedio equivale , proprio per la legge dei numeri, a ridurre del 20% il reddito pro capite dell’intera popolazione nigeriana e a determinare una contrazione del Pil (Prodotto interno lordo) del Paese di almeno il 3%.

Pertanto superare quest’impasse è interesse di tutti i nigeriani. Ricchi e poveri. Cristiani o islamici o praticanti delle cosiddette religioni tradizionali.

      a cura di Marianna Micheluzzi (Ukundimana)

venerdì 14 giugno 2013

Torino-LVIA / Domani tutti al Serming






In occasione dell’assemblea annuale dei soci e simpatizzanti, la Ong Lvia propone, domani ,sabato 15 giugno, alle 10,30 presso il Serming di piazza Borgo Dora, una tavola rotonda sulle prospettive della Cooperazione internazionale.

Alle 14,15 sono previsti work-shop su vari temi : diritto all’acqua, diritto al cibo, ambiente e riciclo, energie alternative, intercultura.

Seguirà alle 17,30 una tavola rotonda sull’attualità dei valori di solidarietà, giustizia, fraternità, uguaglianza, pace.

Intervengono : Paolo Foglizzo, Luca Jahier, Mario Calabresi.



A cura di Marianna Micheluzzi (Ukundimana)

Chi sono le "spose" di Dio in Ghana ? / Religione o barbarie?








Grazie alla mostra organizzata dalla Rivista Africa dei Padri Bianchi, dal titolo “Spezziamo le catene”, di cui “Missioni Consolata”, nel numero di giugno, ha redatto un dossier interessante e, attraverso la serie più che realistica d’immagini fotografiche, che la mostra stessa propone, è possibile, ancora una volta, riflettere su certe realtà terribili, che credevamo scomparse definitivamente.

E che, invece, così non è.

E mi riferisco, in particolare,una per tutte, a quanto accade normalmente, ad esempio, nei villaggi del popolo “ewé”, in Ghana.

Qui centinaia di bambine e adolescenti sono offerte con grande disinvoltura, dalle proprie rispettive famiglie, ai “sommi” sacerdoti dell’antica religione tradizionale locale.

Il motivo è che bisogna espiare colpe commesse in precedenza da uno qualsiasi dei familiari. E, naturalmente, a compiere questo sacrificio devono essere proprio le figlie femmine.

In questo modo si placano le ire del dio Troxovi, una potente ed esigente divinità, secondo gli “ewé”, che alberga lungo le sponde del fiume Volta.

Le fanciulle ,fin da piccolissime, e per tutto il resto poi della propria esistenza, sono costrette a lavorare come schiave per i sacerdoti di questa religione tradizionale e a soddisfare, nel caso, anche i loro bisogni sessuali,mettendo al mondo numerosi bambini, la cui sorte è pari a quella delle madri. Essere cioè, a loro volta, dei poveri schiavi.

Comprensivi per quanto si possa essere nei confronti delle culture “altre”, secondo certa antropologia culturale, questa di cui sopra non è altro che una “barbarie” tout court, che va ad affiancare quella parimenti assai deplorevole del traffico di prostitute, del mercato dei bambini, dello sfruttamento dei minori nelle miniere e dei baby-soldati.

La speranza è che la denuncia “gridata”, e sempre più ad alta voce, alle coscienze “attente” possa tradursi, per gradi, e per quanto difficile sia, in impegno umano e sociale fattivo.

E così la barbarie (penso alle fanciulle ewé) e le barbarie abbiano termine. Non c’è nulla, infatti, di più esecrando del fare di una persona, qualsiasi persona, quale che sia la provenienza e il colore della pelle, “merce” di scambio.

              a cura di Marianna Micheluzzi (Ukundimana)

giovedì 13 giugno 2013

I "Tripedi" di Nani / Una provocazione intelligente








Da quando l’homo erectus, il bipede più famoso, nella notte dei tempi, ha preso a camminare sulle proprie gambe, utilizzando i suoi stessi piedi, fino ad arrivare, passo dopo passo, a quelli che sono i nostri giorni, osannati o vituperati che siano a seconda dell’ottica con cui li si guarda, si è costruita, per gradi, tra ascese e cadute ricorrenti, quella che noi chiamiamo la civiltà.

Ora chi sono i “Tripedi”?

La terza gamba e il terzo piede ,di cui Nani Marcucci Pinoli ha dotato le sue ultimissime “eleganti” sculture, altro non è che l’intelligenza stimolante, parto connotato del mondo tecnologico odierno (addirittura post-moderno e pure post-digitale) che, senza rinunciare alla “lezione” del passato, s’innova per crescere ma non smette affatto di bere alle antiche fonti dei padri (i cosiddetti classici).

E non è casuale l’ambientazione di Tripulo e Tricola (i nonni), di Populo e Popula (i genitori) e di Tripulino e Tricoletta (i figli), simpaticamente in diretta linea di continuità, a partire, per esempio, dal gioco dei nomi, tra quelle che sono le architetture, ricche di storia del glorioso passato di Palazzo Gradari, sede del comune di Pesaro.

L’antico e il modernissimo, che s’incontrano e scontrano.

S’abbracciano e si respingono,ma inscenano la pièce solo per raccontarsi e raccontare a noi il cammino fatto e, soprattutto, quello ancora tutto da fare.

Quanto tocca fare ai figli-nipoti (Tripulino e Tricoletta).

Cioè la generazione di cui Populo e Popula, chiamati all’appello, sono i diretti responsabili, perché portatori del gomitolo di “filo rosso”. Quello da dipanare (e che altri ancora, dopo di loro, dipaneranno), senza il quale non è data “storia” alcuna. E, meno che mai, neanche “civiltà”.

Giambattista Vico parlava, con mix di ottimismo-pessimismo per la sua epoca e il suo contesto ,di “nani sulle spalle dei giganti”. E il suo messaggio, a ben pensarci, risulta essere, anche ai nostri giorni, di estrema attualità. Un monito autentico per i molti,io direi, i troppi distratti.

Sotto il profilo estetico i “Tripedi” potremmo dire che rimandano, nell’idea madre,e con le dovute evidenti differenze, a certe sculture di Costantin Brancusi ,l’artista rumeno,esule a Parigi, il quale era persuaso che” non è reale la forma esteriore ma l’essenza delle cose”.

Così Nani Marcucci Pinoli crea delle forme che, nel campo della scultura, si potrebbero definire astrattizzate , utilizzando materiali molto particolari (come già nei famosi “manichini”) per realizzare, come in questo caso, strutture filiformi e spaziali, sempre di superba eleganza.

E con costante richiamo alle tecniche, di cui ai nostri giorni l’uomo è fruitore dipendente.

Il bisogno di sentirsi presente e in gara nella propria epoca spinge Nani, o meglio l’artista che è in lui, a quella relazione unica e particolare che è il “fare arte” a prescindere . E i risultati, che sono sotto i nostri occhi, risultano, suo malgrado, in più prove, eccellenti. Perché il coraggio di creare, di lasciare un “segno” del proprio essere e/ o essere stato nel mondo è la più alta forma di coraggio che la persona possa proporsi di mettere in atto.

E questo sotto ogni cielo e in ogni tempo.

E, poi, chi non crea, si sa, tende a distruggere.

Perciò i “Tripedi” di Nani Marcucci Pinoli sono, essenzialmente, un invito ad aborrire le guerre, tutte le guerre, e provare a divenire, semmai, costruttori di pace.

E per Tripulino e Tricoletta ci sarebbe così la speranza di potersi costruire e di vivere, sul serio, in un mondo migliore.


                            Marianna Micheluzzi
                


                  Palazzo Gradari (Pesaro) / Sede dell'esposizione dei "Tripedi" di Nani Marcucci Pinoli




"Le radici nella sabbia " di Marco Aime / Proposta di lettura






Conosciamo da anni l’impegno di Marco Aime, docente di antropologia culturale all’università di Genova, scrittore e giornalista, per aver letto i suoi libri e i suoi articoli dalle pagine di “Nigrizia”. E, in qualche fortunata circostanza, averlo anche potuto ascoltare.

E perciò dico subito, senza remore di sorta, che ho grande stima, oltre che dello studioso, in particolare del “viaggiatore” intelligente che Aime è.

Quello che ciascuno di noi dovrebbe sforzarsi di essere nell’approccio al “viaggio”. Qualunque sia il viaggio. Nel vicino o nel lontano.

In quanto il viaggio “intelligente”(anni addietro, da noi, erano molto di moda le famose “vacanze intelligenti” che, forse ,occorrerebbe ripristinare) ha inizio prima di tutto nella nostra “testa”,con lo studio mirato della meta , e poi prosegue grazie all’andatura più o meno celere, secondo le circostanze, dei nostri piedi e della benedetta “voglia” di andare.

Pertanto c’è da salutare davvero con piacere la riedizione di “Le radici della sabbia” , pubblicata per conto dell’editrice “Edt” di Torino, con postfazione e tanto di aggiornamenti bibliografici dell’autore.

Si tratta, infatti , per “Le radici nella sabbia” ,di alcuni articoli scritti a partire dal 1999, in occasione di ripetuti viaggi di studio e/o di lavoro sul campo di Aime, rispettivamente in Mali e in Burkina Faso.

Paesi, è superfluo dirlo, entrambi, dotati di un fascino indubbiamente straordinario per qualunque occidentale avesse l’opportunità di recarvisi.

Inoltre, il rileggere oggi gli scritti di ieri è la spinta motivazionale per noi a comprendere un po’ meglio certi cambiamenti dei paesi saheliani, che sono inevitabili nel tempo e, in parte, provare spiegarsi, magari, il perché di quanto è accaduto e/o sta ancora accadendo ancora, al momento, in Mali.

E mi riferisco all’attacco islamista, alla destabilizzazione politica, all’intervento francese, alla questione tuareg e alla realtà piuttosto anomala di un governo di transizione, che a parecchi maliani, comunque, non piace.

Temi scottanti, io direi.

Oppure può essere l’occasione di conoscere un po’ di più, nella sua storia e nelle sue tradizioni culturali, un Burkina Faso, quello che è stato in passato il paese, e purtroppo neanche privo d’ingratitudine, che ha dato i natali al grande storico dell’Africa nera, Joseph Ki Zerbo, e che attualmente morde il freno, scendendo spesso in piazza per protesta, perché domanda ai suoi governanti quella democrazia che, nella quotidianità, erosa una certa immagine di facciata, non c’è.

E voglio aggiungere, per gli eventuali lettori, che “leggere” resta comunque il viaggio di chi non può prendere il treno .

E , a non poter prendere il treno, di questi tempi, in Italia mi sa che siamo proprio in tanti.


    a cura di  Marianna Micheluzzi (Ukundimana)

mercoledì 12 giugno 2013

Essere volontario oggi / Sandro Bobba (presidente LVIA) suggerisce dei punti fermi oggetto di riflessione/Don Aldo Benevelli rafforza






Dall’analisi di una Società in profonda crisi, dove è ormai evidente – scrive Bobba – che il mercato tende ad azzerare i valori di solidarietà,di giustizia, di uguaglianza che stanno alla base della nostra storia, con le conseguenze che quotidianamente abbiamo sotto gli occhi come l’aumento delle disuguaglianze, la mercificazione dei beni comuni, la diffidenza nei confronti dei fenomeni migratori, l’interesse personale sovrapposto a quello collettivo, si tratta di capire come ci vogliamo porre rispetto alle cose che facciamo, al come le facciamo e al perché le facciamo.



E don Aldo Benevelli (fondatore LVIA ) aggiunge : umiltà, preghiera e studio .Nonché essere operatori poveri con i poveri e rispettosi della salvaguardia del Creato.

Ecco l’identikit del volontario cristiano. L’identikit, in questo caso, del volontario LVIA.

Prendere o lasciare. Non ci sono terze vie.



( fonte : “Volontari LVIA – Notiziario” n.1maggio 2013)

    
      a cura di  Marianna Micheluzzi (Ukundimana)





L'Acnur denuncia la fuga in massa di civili dalla Nigeria al Niger





      



E’ il risultato del pugno di ferro praticato dall’esercito e dalla polizia locale nigeriana in seguito all’entrata in vigore,a partire dal maggio scorso, dello stato d’emergenza decretato per le regioni nord-orientali di Borno, Yobe e Adamawa.

La caccia all’uomo riguarda i fondamentalisti islamici del movimento armato di Boko Haram, autori di numerosi efferati delitti negli ultimi mesi.

L’Acnur/Unhcr denuncia una fuga di almeno 8 mila persone, povera gente, terrorizzata dalla repressione dei militari.

La destinazione di quest’ennesimo esodo di disperati è il Niger vicino. In particolare si suppone che essi scelgano di fermarsi, probabilmente, a Baga, una cittadina nei pressi del lago Ciad.

La stessa cittadina che, in aprile, è stata teatro della strage di almeno 200 persone e proprio ad opera dei militanti di Boko Haram.

Considerata l’ambiguità della situazione politica nigeriana, di cui si è più volte detto, non sono poche le responsabilità anche dello stesso esercito nigeriano, il quale, dal canto suo, soffia, a modo suo ,sul fuoco del malcontento, per accrescere la destabilizzazione politica del Paese e favorire un cambio della guardia, a breve, a capo della presidenza della Confederazione nigeriana.

            a cura di Marianna Micheluzzi (Ukundimana)