mercoledì 18 dicembre 2013
Sadia /La venditrice di uova sode
Vendere uova sode al mercato è uno dei tanti mestieri informali praticabili dalle donne africane. Specie di questi tempi poi che, come in Centrafrica, la situazione politica è davvero terribile e fortemente confusa, con povertà e morte, in cui puoi incappare ad ogni breve passo. E i negozi , quei modesti empori di una volta, non esistono più.
Nemmeno a Bangui,la capitale. Se non devastati e con gli scaffali ormai vuoti, dove insetti d’ogni genere passeggiano indisturbati nel buio interno e nel tanfo insopportabile ,dovuti a una lunga incuria per l’ abbandono precipitoso di quelli che erano proprietari.
Sadia, la “vedova” come la chiamano i suoi conoscenti ( lei per loro è una straniera e lì ,al paese e nel villaggio di suo marito, appunto non ha alcun parente), è riuscita a mettere in salvo,adiacente alla casa di fango, che si erano costruiti, lei e il suo uomo, appena sposini, almeno il pollaio con alcune galline, che le regalano generosamente, a giorni alterni, delle uova.
Sadia è una vedova bianca, perché il suo uomo, partito anni fa in cerca di lavoro per il sud del continente (Sudafrica, Zimbabwe o forse Tanzania) non ha più dato notizie di sé. E lei ora ha da accudire tre bimbi: due maschi e una femmina, nati a scala.
E cioè ciascuno di essi uno o due anni dopo l’altro.
La fame si fa sentire e in qualche modo Sadia deve trovare il modo di placare il borbottio degli stomaci vuoti dei suoi figli.
Ma lei è una donna di forte temperamento,che non si scoraggia mai.
Il suo cervellino è attivo di giorno e di notte.
Così, tra un pensamento e l’altro, decide di conservare,non utilizzandole per un po’, alcune di quelle uova e di farle sode, per poi andarle a vendere in città, a Bangui, nel mercato all’aperto.
Con il ricavato potrebbe provvedere alle non poche altre necessità impellenti della famiglia.
I bambini, è cosa nota, hanno bisogno di tutto. Dai quaderni per la scuola ai medicinali quando arrivano febbri e tosse.
E quando non c’è un uomo che porta soldi in casa, bisogna necessariamente ingegnarsi.
Ben organizzata, con tanto di vassoio, un regalo di nozze di anni addietro e ben conservato, Sadia parte di buon mattino, perché laggiù per affrontare i lavori e fare risultato è importante fare i conti con la durata della luce del sole.
Trovato il suo spazio, inizia la mostra della sua mercanzia e lancia ripetuti richiami ai passanti.
Non è facile, a dire il vero, vendere perché in città serpeggia la paura di assalti improvvisi e la situazione non è affatto tranquilla.
Ogni tanto qualche ambulanza si ferma dinanzi all’ospedale di Emergency, l’unico funzionante a Bangui, e scarica feriti.
Cristiani e musulmani intransigenti, si sa, si scannano come bestie,inaspettatamente e senza troppi complimenti. E lo fa tanto una parte quanto l’altra.
La gente, uomini o donne che siano, non indugia affatto alle bancarelle. Ha fretta solo di sbrigare rapidamente le proprie commissioni e mettersi al riparo dai pericoli.
Ma,dopo alcune ore, un tempo interminabile per Sadia e, per giunta, sotto un sole impietoso, qualcuno si ferma,contratta il prezzo e acquista l’intero vassoio di uova.
Una manna dal cielo.
Incredibile- pensa tra sé la donna – e stringe tra le mani il mucchietto stropicciato di banconote.
E’ un uomo giovane, una figura distinta ed è anche troppo ben vestito per il contesto.
Nel cuore della donna alberga soltanto la gioia del ritorno al villaggio dai figli, che l’attendono.
Incurante del lungo percorso a piedi, prende di filato la strada di casa con passo deciso e intanto pensa di ripetere altre volte ancora la medesima esperienza.
Farà felice i suoi bambini di certo ma, assieme all’ingrato lavoro dei campi per cui si deve guardare sempre e di continuo il cielo e attendersi la pioggia, Sadia ha scoperto che c’è un altro modo per fare qualche soldo con onestà.
Anche senza l’appoggio indispensabile di un uomo.
Basta un po’ di pazienza e un po’ d’intraprendenza. E, soprattutto, salvaguardare dai male intenzionati le sue galline come si fa con un tesoro prezioso.
La gente di buon cuore, anche se si è poco propensi a crederci, s’incontra talora pure nell’inferno di miseria e di povertà come può essere quella di una situazione di guerra e di devastazione.
L’umanità sorprende sempre.
Quell’umanità che si chiama anche “Provvidenza”. (m.m.)
martedì 17 dicembre 2013
Dar es Salaam (Tanzania) /Gli Auguri di Baba Francesco
LUI, LEI E JOYCE ///
“Ahi, serva Italia di dolore ostello...
non donna di province, ma bordello”
(Dante Alighieri).
Proprio così: bordello.
L’Italia è un casino di forconi che rompono, di grillini che insultano, di berluska che ricattano, mentre tanti altri non sono farina da far ostie. E se ne fregano del dolore che attanaglia il cuore delle tantissime vittime della crisi sociale.
Questa è l’Italia sulla quale piango anch’io dal Tanzania. Ma è pure il paese al quale qualcuno annuncia: “Oggi è nato per voi il salvatore”.
È un Bambino-Dio.
Carissimi amici,
facciamo posto a questo Bambino-Dio.
Ci conviene nel bordello dell’Italia e del mondo.
Buon Natale a tutti.
- Molti di voi mi scrivono: raccontaci qualcosa di te stesso. Ebbene, quando dico che sto bene, cosa volete di più nel presente “ostello di dolore” dell’universo?
- Altri mi chiedono: quando verrai in Italia? Risposta: per la quaresima-pasqua del 2014 sarò a Torino, oltre che a Falzé.
I miei occhi, color pesce stracco, sono vittime della cataratta, e dovrò operarmi.
Ve lo immaginate un giornalista come il sottoscritto, che deve leggere e scrivere in swahili, con gli occhi che fanno cilecca?
- Altri ancora, gentilissimi, mi hanno augurato: buon compleanno.
Già, ho compiuto 70 anni. Ho letto il salmo 90 (89), che recita: “Gli anni della vita sono 70, 80 per i più robusti, ma il loro agitarsi è fatica e delusione”.
No, amico salmista, i miei 70 anni non sono stati “fatica e delusione”, bensì lavoro e consolazione, nonostante tutto e tutti.
Compiendo 70 anni, ho pure pensato alla morte. A proposito chiedo:
la bara meno costosa, nessun fiore, nessuna predica. Al termine della preghiera, se potete, cantate un inno alla Madonna. Seppellitemi dove muoio.
E che il Buon Dio mi usi misericordia.
Come sapete, sono un missionario giornalista e “procuratore”.
“Procuratore” significa: se un missionario confratello deve partire, gli “procuro” il biglietto; se ha bisogno di un filtro per l’acqua, glielo “procuro”, se necessita di un pezzo di ricambio per l’auto in panne, glielo “procuro”, eccetera, eccetera.
Inoltre accolgo i parenti e gli amici che visitano i missionari in Tanzania.
Lavoro con Nadia, missionaria laica della Consolata.
Durante la scorsa estate sulla porta della casa-procura di Dar Es Salaam si sono affacciate numerose persone, anche discutibili.
Lui e lei si sono presentati così: “Cerchiamo un posto per meditare la parola di Dio”. Vanno in cappella. Dopo mezz’ora sono ancora là, in silenzio.
Lei parla con uno sguardo luminoso e lungimirante e lui risponde con occhi dolci e sicuri. Lui e lei, giovani morosi, con la Bibbia in mano.
Finalmente Joyce arriva. Ma, a dispetto del suo nome, è stravolta. Ha camminato due ore sotto il sole spietato di Dar Es Salaam.
“Padre, scusa: sono in ritardo di due ore sul lavoro. Domani resterò a casa, perché non ho soldi per pagare l’autobus. Aspetterò fino alla fine del mese, quando prenderò la paga”.
Vedo gli occhi di Joyce gonfi di lacrime e fatica. Metto una mano in tasca e trovo qualcosa...
Un giorno a quel Bambino-Dio, nato in una stalla di Betlemme, qualcuno offrì oro, incenso e mirra.
Ed io che dovevo fare di fronte alla stanchissima Joyce?///
p. Francesco Bernardi,
missionario della Consolata
P. O. Box 4885
Dar Es Salaam
Iscriviti a:
Post (Atom)