Powered By Blogger

Cerca nel blog

martedì 30 aprile 2013

Costa d'Avorio / Campagna per il disarmo








Sono più di duemila le armi consegnate volontariamente da ex-combattenti e distrutte ad Abidijan, in Costa d’ Avorio, nel popoloso quartiere di Yopougon.

Il rogo è stato allestito sulla piazza Ficgayo.

La riconsegna delle armi è stata incoraggiata dalla Commissione nazionale di lotta contro le armi leggere e di piccolo calibro, la quale ha fatto già distruggere 4500 armi e sta continuando nella prosecuzione del suo lavoro.

Non esistono dati precisi sul numero di armi e munizioni in circolazione nel Paese, che è ancora caratterizzato da una certa instabilità politica,dopo due anni dalla fine del braccio di ferro tra l’ex-presidente Laurent Gbabo, attualmente a L’Aja, e sotto processo, e il presidente in carica, Alassane Ouattara, uomo scelto alla guida della Costa d’Avorio dai francesi.

Intanto serpeggia parecchio malcontento tra la gente comune per il carovita, che rende non acquistabili la maggior parte dei generi di prima necessità. E anche perché permane la mancanza di lavoro.

          a cura di Marianna Micheluzzi (Ukundimana)

Percorso circolare /Note di Estetica (2)


         

La realtà molto spesso è come una porta aperta attraverso la quale è possibile esplorare percorsi inediti come possono essere le fantasie che noi stessi ci costruiamo, grazie a sedimenti culturali del nostro inconscio e, soprattutto, a una fervida immaginazione, che è tipica dell’intelligenza creativa.

Il paesaggio proposto dall’opera pittorica di Mina Mevoli ci comunica immediatamente , e con un garbo tutto femminile nella scelta appunto dei colori pastello, caldi, sfumati, quasi onirici, due “forti” emozioni,cui chi osserva non si può sottrarre.

Ricerca di pace che parte dall’osservazione delle bellezze naturali di un contesto dato, unitamente ad un’ evasione costruttiva, cercata con “forza”, attraverso la forma più complessa delle arti esistenti quale è, appunto, la musica.

Non pensiate a sdolcinature da fanciulla romantica. Niente di tutto questo è Mina. Corretta lettura è, semmai, un” francescanesimo” schivo come soltanto può essere vissuto ai nostri giorni da chi deve misurarsi con la inevitabile frenetica quotidianità del mondo, che ci piaccia o no,(positivo e negativo congiunto) e che non fa sconti a nessuno.

E Mina è riuscita perfettamente nell’intento. Prima a decostruire per poi ricostruire e proporre così il suo sogno ricorrente, che la passione musicale accompagna e coccola nei momenti di creativa intimità.

Ricerca di sé certo ma anche prospettiva etica, estetica e antropologica.

Percorso circolare con influenze, io azzarderei ,del noto Folon.



di Marianna Micheluzzi


ndr.)Il dipinto ina alto a corredo del testo è "Musica" di Mina Mevoli


lunedì 29 aprile 2013

Diffa (Niger) /Scontri tra cinesi (Cnpc) e nigerini per mancate assunzioni








Diffa è una cittadina povera del sud-est del Niger e una buona opportunità lavorativa e di guadagno sicuro per molte famiglie, da qualche anno a questa parte, sarebbe potuta venire dall’estrazione del petrolio da parte della China National Petroleum Corporation(Cnpc), una compagnia cinese,che ha ottenuto a suo tempo dal governo, e messo a regime nel 2011, una concessione per l’oro nero nel suo territorio.

In cambio, però, avrebbe dovuto garantire assunzione di manodopera locale.

Tutto pareva andare bene nella fase iniziale, salvo in seguito non rispettare più i patti. E, per giunta, in un periodo particolarmente critico per il Paese(magri raccolti nei campi e forti aumenti dei prezzi al mercato per i generi di prima necessità).

Così, alcuni giorni fa, c’è stata una calorosa protesta da parte degli abitanti di Diffa e dei vicini villaggi rurali.

 I dimostranti hanno contestato le modalità di assunzioni della compagnia e per le paghe da fame imposte e per il numero delle ore di lavoro da effettuare.

Chi preso alla gola, però, per necessità ha accettato è stato subito aggredito dai compagni e, nel giro di pochissime ore, la situazione è degenerata malamente.

La calma è tornata solo all’arrivo del primo ministro, Brigi Raffini, che ha cercato di pacificare gli animi e fare intendere ai disoccupati che qualcosa di positivo forse potrebbe anche scaturire, sempre se non si fa ricorso alla contestazione e alla violenza.

 Il ministro, insomma, ha esortato alla pazienza.

Ma i nigerini di Diffa, che mancano di tutto, salvo rarissime eccezioni (queste le puoi contare sulle dita della mano) sono, comunque, stanchi di essere pazienti e, semmai, si aspettano fatti.

     a cura di Marianna Micheluzzi (Ukundimana)

"Sensi" / Spazio Poesia






Cuore tu non sei

mai al sicuro.

Fingi pure l’amore

che provavi

un tempo e

e vedrai che non

si accorgerà.

Sei femmina.

E lo sai.

Conosci l’arte.

Fingi e sarai

vincente.

E’ destino del maschio.

E anche lui lo sa.

Tornerai amata

come la prima volta

quando il tuo corpo

nelle notti afose

d’estate

laggiù alla marina

o nella stanze semibuie

della grande casa

era lo “Stradivari”che

lui solo sapeva accordare

per trarne i suoni giusti

e lenire e furie e pene.



di Marianna Micheluzzi



Pianeta Mondo /Acqua è un "bene" garanzia di pace per tutti








Esiste un documento molto interessante dal titolo “Global water security”,di cui faceva menzione “Nigrizia”, nel numero di gennaio scorso, redatto dall’Intelligence community Usa, che prende in esame e fa una valutazione di quello che è il prioritario problema dell’acqua per l’umanità, studiato su scala planetaria e, in relazione ad alcuni indicatori.

Come , per esempio, la sua possibile scarsità e ciò che questo comporterebbe per la sicurezza sociale e, quindi, acqua uguale garanzia di pace.

Uno scritto che meriterebbe certamente, anche a casa nostra, specie quando si parla di acqua e dei non pochi interessi economici e politici ad essa collegati, una maggiore attenzione da parte di tutti.

Fu Hillary Clinton, l’allora segretario di Stato, nel 2011, a commissionarlo.

E la motivazione, nella circostanza, riguardava la carenza d’acqua, la scarsa qualità (inquinamento) e le inondazioni frequenti(si ricordi l’accaduto tragico in Louisiana ) proprio per l’incidenza garantita che questi fattori possono avere, e/o di sicuro avranno, sulla sicurezza nazionale Usa da qui a trent’anni.

Lo studio individua, infatti, le potenziali aree di crisi, tra cui è immediatamente incluso il Nord-Africa.

E indica ben otto fiumi le cui acque saranno usate in un futuro prossimo come leva di potere per affermare quelli che sono gli specifici interessi nazionali.

E il primo in questione è proprio il Nilo, un fiume che oltre l’Egitto, di cui conosciamo la complessità politica, bagna e/o interessa zone particolarmente “calde” del continente africano quali sono il Sudan,il Sud Sudan,l’ Etiopia e molto poco in partel’ Eritrea e, infine, l’Uganda.

E sfocia poi nel “nostro” Mediterraneo.

E, sempre il testo di cui diciamo sopra, prevede che nel decennio in corso l’acqua, quasi dappertutto, ma specie in Africa, sarà una delle principali cause di conflittualità (se non la principale) con tutte le conseguenti ripercussioni che la cosa potrà comportare e/o comporterà poi, a grappolo, nel mondo.

Guerre tra stati differenti o, addirittura, fallimento, probabile caduta, fine di uno stato in particolare.

Non è l’apocalisse ma è una cosa seria. Molto seria.

Il peggio, tuttavia, è previsto dall’anno 2022 in avanti, quando cioè l’aumento della popolazione mondiale irreversibile e la diminuzione dell’acqua potabile saranno realtà concomitanti.

Occhio all’acqua,allora. Non sottovalutarne l’importanza per la vita e la salute dell’umanità tutta. Ma neanche mettere in secondo piano le implicazioni politiche che, proprio il suo essere indispensabile comporta, allo scopo di garantire la pace tra popoli, nazioni e stati.

Maneggiare con cura, insomma, se non si vuole andare incontro a conflitti ingestibili e disastrosi, dai quali sarà poi quasi impossibile fare marcia indietro.

    a cura di Marianna Micheluzzi (Ukundimana)

domenica 28 aprile 2013

LVIA /Ong di volontariato e cooperazione internazionale /Conoscenza e solidarietà /Africa dream (2013)




       



“Tu ami se conosci”. Questo era il pensiero del grande Leonardo da Vinci. Una personalità di cui, quanto a inventiva e intelligenza critica, non penso oggi si si abbiano dubbi o si debba discutere a lungo, per essere sicuri che il “tutto” abbia un accettabile fondamento e meriti da parte nostra una certa quale credibilità.

Facciamolo nostro subito, allora, questo assunto (quello di Leonardo intendo), dal momento che la LVIA (Ong di volontariato e cooperazione internazionale), che opera da più di quarant’anni in Africa, ci propone, per la prossima e ormai vicinissima estate (dal 16 al 28 luglio), un viaggio di conoscenza in Kenya.

Un’occasione, se mi permettete, oggettivamente da cogliere subito.

Non si tratta, infatti, del solito giro turistico”mordi e fuggi” e/o da gruppone intruppato ,come di solito propongono un certo tipo di agenzie turistiche, bensì di affiancare, sul campo i volontari LVIA, uomini e donne fortemente motivati a praticare in prima persona la solidarietà, e poterli, in questo modo, osservare e intervistare (volendo) nei contesti specifici delle loro professionalità , lì dove essi prestano, a titolo gratuito, la loro opera.

S’imparerebbe così, grazie a loro, a rapportarsi a gente differente da noi (le popolazioni), ad incontrare le amministrazioni locali, le comunità civili e religiose, gli operatori del posto (i cosiddetti omologhi) e tutto ciò allo scopo di comprenderne le logiche. Di comprendere un po’ di più cos’è quest’Africa, di cui si parla poco e male a casa nostra e che, invece, è un tesoro impensabile di emozioni e di valori “forti”, cui attingere .E questo se crediamo sul serio che è importante crescere in reciprocità sulla via dello sviluppo. Com’è giusto che sia.

Perché siamo tutti, uomini e donne della stessa”pasta”.E figli dello stesso “Padre”.

E, aggiungerei, finalmente. Specie dal momento che si blatera tanto di questi tempi di mondo globalizzato.

Premessa alla partenza,essendo il viaggio per gli organizzatori LVIA un impegno serio, ci sono per i partecipanti (a numero chiuso) due incontri di informazione, con l’obiettivo di presentare, a chi non ne avesse conoscenza,la realtà del Paese in cui si va. In questo caso il Kenya, e i progetti di sviluppo tanto quelli realizzati che quelli ancora in corso, cui ciascuno di noi,se vuole, può dare una “mano” in solido perché siano portati a termine..

Ad accompagnare chi parte dall’Italia è previsto un accompagnatore-guida, che è anche colui che ha fatto informazione ai partecipanti negli incontri preparatori.

Per il viaggio in Kenya 2013 il numero dei partecipanti , che è fisso, è di 19 persone e il costo indicativo e complessivo è, al momento, di 1500 euro (800 dei quali sono da corrispondere all’atto dell’iscrizione).

L’età minima è di 18 anni .I minorenni devono essere accompagnati dai genitori. Occorre,inoltre, essere in possesso di passaporto valido per l’espatrio e delle indispensabili profilassi medico-sanitarie già effettuate.

Tappe del viaggio, oltre Nairobi, la capitale del Kenya, è previsto che si farà visita ai progetti idrici LVIA nel distretto di Meru, che ci sarà un safari al Samburu National Reserve, ancora una visita a i laghi Naivasha e Nakuru. E poi sul versante della solidarietà un’altra tappa sarà quella destinata ai bambini malati di aids di Nyahururu. E, infine,come prevedibile, sono in agenda Korogocho e Kibera, i due slum di Nairobi.



Per tutte le informazioni necessarie contattare il numero telefonico di Cuneo (sede centrale LVIA): 0171-696975 o inviare un’e-mail a segreteria@lvia.it



Oppure comporre il numero telefonico di Torino (ufficio comunicazioni e programmi sul territorio):

011-7412507 o inviare un’e-mail a italia@lvia.it



E, naturalmente,non tralasciare di visitare il sito web della Ong : www.lvia.it



Buon viaggio e buona conoscenza, allora !



     a cura di Marianna Micheluzzi

         

sabato 27 aprile 2013

Accra (Ghana) / Controversia "pesante" tra medici ospedalieri e governo del Paese






Si risolverà quasi certamente in tribunale la controversia tra i medici ghanesi e il competente ministero del Paese in merito al mancato pagamento degli stipendi da alcuni mesi ad oggi.

Solo in questo modo torneranno forse l’ordine, la calma indispensabile e i necessari servizi negli ospedali di Accra e di tutte le altre città del Ghana.

Le richieste degli arretrati non percepiti dai sanitari avrebbero potuto, secondo l’ordine dei medici locale,essere esaudite, in mancanza al momento di liquidità sufficiente dello Stato, con una corresponsione, nel tempo,almeno tripartita.

Governo e ministero, però, fanno orecchie da mercante e di denaro non si vede da parte degli interessati neanche l’ombra di uno spicciolo.

Ci si augura allora che il braccio di ferro costringa chi  di dovere, in sede giudiziaria, a rispettare gli impegni.

E questo ,soprattutto, andando col pensiero ai malati e alle persone bisognose di cure che, in quei contesti, sono sempre in tanti.

 a cura di Marianna Micheluzzi (ukundimana)

venerdì 26 aprile 2013

Liwale (Tanzania) / Contadini protestano e sono arrestati








Quando la democrazia deve fare ancora parecchio rodaggio, non si scherza affatto. E le forze dell’ordine, come non è difficile immaginare e sotto qualunque cielo, non fanno sconti a nessuno.

E’ accaduto a Liwale,una cittadina del Tanzania meridionale,dove la locale polizia ha contrastato piuttosto autoritariamente una rivolta di coltivatori di anacardi. E, poi, per concludere, ne ha arrestati una cinquantina.

La protesta è nata per il prezzo di vendita degli anacardi sul mercato, che il governo vuole a 600 scellini al chilo e cioè qualcosa come meno di 28 centesimi di euro.

Mentre, nell’annata scorsa , lo stesso prodotto era venduto al prezzo di 1200 scellini .Esattamente il doppio.

Si consideri sopra ogni altra cosa che, nella zona, la coltivazione e la successiva vendita degli anacardi equivale alla sopravvivenza, e di certo senza scialo, della maggior parte delle famiglie degli agricoltori.

Come vorrebbero le autorità governative, significa solo aggravare le già grame condizioni di vita di questa gente e alimentare, nel peggiore ma non impossibile dei casi, la povertà dell’area.

Infatti ,quasi tutti i contadini del sud del Paese , vivono di questo.

E l’anacardo, comunque,per le sue proprietà nutritive e terapeutiche, è per il Tanzania, in generale, una produzione importante.

Per quanto per la motivazione ufficiale degli arresti, almeno quella passata sui “media”, la colpa è stata l’aver dato fuoco, da parte dei contestatori arrabbiati, a ben tre case di proprietà di un politico di zona del partito di maggioranza, il Chama Cha Mapinduzi (Ccm), la verità vera è che i rappresentanti delle cooperative degli acquirenti, complice la crisi generalizzata sul mercato mondiale, non intendono pagare di più.

E il governo, dal canto suo, non vuole rinunciare ai proventi derivanti dalla vendita del frutto, che costituisce una voce non secondaria del suo bilancio. Perciò obbliga .

           a cura di Marianna Micheluzzi (Ukundimana)

Mozambico / Carbone e idrocarburi per lo sviluppo futuro






La buona notizia odierna è che i giacimenti di carbone e di idrocarburi, di recente scoperti in alcune aree del Mozambico, se ben sfruttati, possono, in effetti, risolvere parecchi problemi al Paese.

E la cosa non è più tramandabile se si considera la povertà reale,specie quella che attanaglia in particolare il settentrione del Mozambico .

Ci sono, specie a nord, interi estesi territori dove manca ogni cosa e dove si sopravvive, a stento,con una durata media della vita molto bassa, esposti ad ogni genere di malattie endemiche o d’importazione.

E, ancora,dove i mutamenti climatici indotti dal benessere altrui fanno il resto( vedi alluvioni o siccità).

E qualche modesto aiuto viene là solo dalla presenza di volontari di alcune organizzazioni umanitarie e con mezzi a disposizione , questi stessi, sempre più risicati.

Ma sarà così ( cioè ci sarà la crescita in positivo) solo se la “politica” farà finalmente la sua parte e in maniera “onesta”.

E cioè senza ruberie e/o accordi segreti con le straricche multinazionali straniere (mi riferisco alla svendita d’intere distese di ettari ed ettari di terreno coltivabile e alla cacciata conseguente dei contadini) e, soprattutto, dando insomma a ciascuno l’opportunità di vivere con decoro e dignità.

Lo sfruttamento delle risorse minerarie deve essere fatto con intelligenza.

Ed è stato questo anche il parere della relatrice Onu, Magdalena Sepulveda, in visita di recente in Mozambico.

Solo in questo modo, onesto (ribadisco) e razionale, si potrà avere un futuro di crescita e di benessere.

Fatti e non parole.

La guerra civile è terminata nel 1992 e la contrapposizione tra Frelimo e Renamo, non deve più turbare, oggi, la rinascita del Mozambico solo per interessi di bottega dell’una o l’altra lobbie politica, che intende farsi gli affari propri a danno della povera gente.

Difficile per quanto possa essere, se ricchezza c’è nel Paese (e c’è), bisogna che i mozambicani,le loro guide politiche del momento, lavorino per la rinascita del Mozambico.

Il Mozambico,infatti, è al terzultimo posto nella classifica mondiale dell’Onu per lo “sviluppo umano”.

Classifiche a parte, poiché parliamo di umanità, non c’è più ,io credo, altro tempo da perdere.

     di Marianna Micheluzzi (Ukundimana)

giovedì 25 aprile 2013

Nuvole e sole /Spazio Poesia





Come trama

di un ordito

di malinconia

si propongono

anche stamane

e per i più

le nuvole

nel cielo grigio.

Ma tu testarda

come sei

ti aspetti

il consueto

raggio di sole

che non manca

quasi mai.

La nota corda

a tre capi che

non si rompe

così presto.

La natura

l’altro da te

te stesso

e Dio (se credi).



 di  Marianna Micheluzzi (Ukundimana)









LVIA /ONG DI VOLONTARIATO E COOPERAZIONE INTERNAZIONALE / INIZIATIVE IN CORSO






Cade bene, per gli amici LVIA e per coloro che presto lo diventeranno, ricordare proprio oggi,in coincidenza con la ricorrenza del 25 Aprile 1945, Festa della Lotta partigiana e della Liberazione, quanto sia importante il problema dell’acqua a livello planetario, considerando, come recita per l’appunto lo slogan della campagna di sensibilizzazione della Ong, che : “Acqua è bene comune”. E ancora che : “Acqua è strumento di pace”.

Pertanto, per i giovani documentaristi di Torino e provincia (dai 14 ai 30 anni), l’LVIA in collaborazione con il Coordinamento comuni per la pace (Cocopa) e con il finanziamento della Fondazione CRT, c’è l’opportunità di poter raccontare dell’importanza dell’acqua con immagini filmiche, tramite uno spot, e suggerire in questo modo all’opinione pubblica comportamenti responsabili sul suo utilizzo.

Ricordando a tutti anche che il 2013 è l’anno internazionale ONU per la cooperazione nel settore idrico e che sono già trascorsi dieci anni da quando l’LVIA ha lanciato da subito, per garantire l’accesso all’acqua potabile in particolare alle popolazioni africane, la sua campagna “Acqua è vita”.

Resta, tuttavia, ancora moltissimo da fare e non occorre dilungarsi in spiegazioni in quanto le necessità, specie in Africa, sono tante e balzano evidenti persino allo sguardo di chi è distratto.
 Ecco che è indispensabile perciò l’impegno di tutti. Nessuno escluso.

Acqua potabile, in Africa come altrove, equivale a garanzia di salute.

L’adesione per poter partecipare e concorrere scade il 15 maggio.

Per informazioni dettagliate utilizzare il sito internet : www.lvia.it oppure inviare una mail a italia@lvia.it o ancora telefonare allo 011.7412507 di Torino.



La sede LVIA di Cuneo, invece, nello specifico di un impegno e di un aiuto concreto alle popolazioni del Mali, che stanno provando a rientrare nelle loro case, dopo avere sperimentato un esilio forzoso a causa della guerra , e sempre avendo per obiettivo la sensibilizzazione ai progetti idrici, che significa anche, grazie a piccoli orti, risolvere laggiù il problema della fame per molte famiglie, nei giorni 25 e26 maggio prossimi propone, e sarà quindi presente, nelle piazze della propria città (ma anche di Torino e di Asti ) con dei banchetti, che offriranno in vendita, a 5 euro a piantina, delle piccole piante aromatiche .

La scelta della data che LVIA di Cuneo ha fatto coincide, inoltre, con un giorno anch’esso importante e cioè la Giornata Mondiale dell’Africa, indetta dalle Nazioni Unite.

Chi volesse collaborare attivamente con la sede di LVIA di Cuneo, ed estendere l’impegno per il Mali magari anche fuori dalla regione Piemonte, può subito mettersi in contatto telefonico, utilizzando il numero 0171-696975.

                 a cura di Marianna Micheluzzi (Ukundimana)

mercoledì 24 aprile 2013

Militari etiopici lasciano la Somalia






Ormai le truppe di Addis Abeba parrebbe che stiano per lasciare definitivamente la Somalia dopo l’ inaspettata defezione da Hadur, zona di confine tra i due Paesi, avvenuta circa un mese fa. Defezione alimentata quasi certamente dal forte malcontento dei soldati costretti ad operare sul campo in condizioni pessime.

Il ritiro era, comunque, previsto dagli accordi di Mogadiscio .E la motivazione ufficiale di Addis Abeba parlava della” lentezza” dei progressi in materia di pace sul territorio somalo.

Dietro il ritiro dei militari, però, è molto più credibile che ci sia la questione del pagamento della missione, che è stata sempre interamente a carico del governo etiopico di Desalegn, il successore di Zenawi, a differenza di quanto avviene, invece, per le truppe keniane e per i caschi verdi dell’Amisom, finanziati dall’Unione Africana e, in parte,anche dalla comunità internazionale.

L’impegno dei militari etiopici, come lo è attualmente quello degli altri,consisteva nel vigilare e mettere in rotta, in caso di attacco, l’insurrezione armata degli Al Shabab, i fondamentalisti islamici, che ancora oggi costituiscono un pericolo reale per la pace in Somalia a causa di una serie continuata di attentati terroristici.

La diplomazia africana, fermo restando l’oggettività dei fatti (un esercito “straccione” quello etiopico), ravvisa delle ambiguità nel comportamento di Desalegn che, a suo avviso, agirebbe in tal modo principalmente per fare pressioni e ottenere in cambio qualcosa. Chiamiamolo, pure, ricatto.

I somali, per quanto verrebbero a trovarsi sguarniti sotto il profilo militare dopo la partenza degli etiopici, non hanno mai dimenticato la sanguinosa occupazione del loro Paese, ad opera di Addis Abeba, negli anni tra il 2006 e il 2009.

E questo la dice almeno a sufficienza ,e forse anche di più, sul clima che si respira a Mogadiscio e dintorni in queste ore tanto nei palazzi governativi quanto tra la gente comune.

         a cura di  Marianna Micheluzzi (Ukundimana)

martedì 23 aprile 2013

Il futuro dell'Africa per la Banca Mondiale è di segno positivo








Rispetto alla media mondiale- si legge in uno studio sull’Africa, commissionato ad alcuni esperti da parte della Banca Mondiale- che l’economia del continente africano crescerà in un prossimo futuro a ritmi più sostenuti.

Ci sarà, soprattutto, una diminuzione, dal punto di vista demografico, di coloro che vivono in condizioni di povertà.

E, successivamente, i prezzi elevati delle materie prime, gli investimenti in crescita, specie quelli stranieri, e la generale ripresa su scala mondiale consentiranno al Pil dell’Africa di andare, a breve, oltre il 5%.

La crescita prevista, a livello globale, non supererà invece, sempre secondo le previsioni del rapporto, il 2,4%.

Lo studio della Banca Mondiale sottolinea, inoltre, come tra il 1996 e il 2010 la quota di popolazione, quella che ha vissuto e vive con meno di un dollaro e 25 centesimi al giorno, sia diminuita dal 58% al 48,5%, e anche ciò, pertanto, consente ottimisticamente di prevedere più crescita, meno povertà e più benessere.
   

           a cura di Marianna Micheluzzi (Ukundimana)

Tripoli (Libia) / Attentato all'ambasciata di Francia






Molto panico tra la popolazione e parecchi danni sono stati il bilancio complessivo, stamane, dell’attentato contro l’ambasciata francese di Tripoli.

Un attentato certamente non previsto e neanche prevedibile.

Secondo le dichiarazioni di fonti locali ci sono state almeno due persone ferite e anche due auto, che sono andate completamente distrutte dalle fiamme.

Il fatto è accaduto nel quartiere residenziale cittadino di Gargaresh.

Ma le ripercussioni si sono avute anche nelle strade adiacenti( una quantità enorme di vetri in frantumi come anche calcinacci sparsi quasi ovunque nelle vie),lì dove la gente ha avvertito con chiarezza che qualcosa di anomalo e di pericoloso stava accadendo in quegli attimi.

Le autorità libiche hanno tempestivamente e ufficialmente disapprovato il fatto anche in considerazione che la Libia ritiene comunque la Francia una nazione amica che, nel 2011, l’ha supportata per prima nella strenua lotta per poter porre fine al regime di Gheddafi.

E hanno chiesto, invece, l’aiuto della comunità internazionale per impedire, con mezzi adeguati, ai miliziani, purtroppo ancora oggi armati fino ai denti, di gettare scompiglio e provare a destabilizzare il Paese.

E’ ancora presente nella memoria dei più, infatti, la tragica morte dell’ambasciatore statunitense Christopher Stevens, avvenuta nel 2012, nel corso dell’attacco all’ambasciata di Bengasi, che gettò disprezzo e sospetti sul nuovo corso libico.

Successivamente, e per fortuna, fugati in fretta in seguito ai risultati ottenuti dall’inchiesta Usa.

lunedì 22 aprile 2013

Repubblica Centrafricana /Dopo il golpe situazione insostenibile per il Paese


    



E’necessario ripristinare lo “stato di diritto”. E’ questa, infatti, l’esigenza prioritaria laggiù, attualmente, e a prescindere da mille altre problematiche aperte e riguardanti l’incolumità della gente comune in un contesto, al momento, oltremodo guerrafondaio.

Parlo della Repubblica Centrafricana.

Lo sostengono uomini come Navi Pillay, l’ alto commissario Onu per i diritti umani, ma anche l’opinione pubblica internazionale, quella che accede di regola a fonti ben informate e sufficientemente documentate. E, quindi, sa bene ciò che pensa e dice.

E’ caos e povertà, stupri e morti violente, aggressioni e saccheggi.

E, poi ancora, fughe in direzione dei Paesi confinanti o in foresta.

Sia a Bangui e dintorni che nelle altre città del Paese.

E questo,come tutti hanno appreso e sanno dai “media” ufficiali, da quando cioè gli uomini del Seleka, da circa un mese e qualche giorno, hanno destituito il presidente Bozizé.

Si consideri, inoltre, che comporre lì le divisioni politiche interne è quasi impossibile.

Situazione insostenibile lo è anche sotto il profilo economico-finanziario per lo Stato stesso in quanto è tutto fermo .

Non si lavora più e non si produce nulla, lì proprio dove i poveri erano di per sé tantissimi e una ristretta minoranza i pochissimi privilegiati.

Diciamo sopratutto quelli che erano gli uomini di Bozizé, alcuni dei quali hanno riparato, come lui fuori .

Intanto, proprio in questi giorni si batterà necessariamente cassa(con parecchie incognite circa il risultato finale) presso le istituzioni finanziarie europee da parte dei golpisti (leggi Seleka

Mentre da più parti si chiede di rispettare esclusivamente gli accordi di pace di Libreville.

Non fosse altro che per arrestare la violenza montante in tutto il Paese,che ha superato il limite di tolleranza.

          a cura di Marianna Micheluzzi (Ukundimana)

Somalia / I fondamentalisti islamici uccidono ancora








E’ notizia, che è solo poche ore, della morte, in Somalia, di un altro operatore dell’informazione.

Con Mohamed Ibrahim Raged, questo è il suo nome, si arriva al numero di diciotto vittime nel giro di un anno e poco più.

Il doppio, riferiscono i dati in questione, rispetto alle cifre del 2009, elevate ugualmente, che già denunciavano, comunque, un malessere difficile da estirpare e che serpeggiava indisturbato nel Paese, grazie alle occulte e solide protezioni di chi invece sapeva bene ciò che voleva.

E, cioè, continuare a destabilizzare in continuazione e reprimere ogni possibile aspirazione di libertà della gente.

Raged lavorava per la televisione nazionale somala e per l’emittente radiofonica Radio Mogadiscio.

Era un valido professionista, a detta dei colleghi, e non aveva peli sulla lingua quando era necessario denunciare.

I suoi assassini lo hanno atteso, di sera, nei pressi della sua abitazione, nel distretto di Dharkenley, dove il giornalista si era fatto accompagnare.

E lì, secondo le consuete modalità di questi agguati, lo hanno spietatamente freddato.

Il giornalista era rientrato non molto tempo fa dal Kenya e dall’Uganda, dove si era stabilito proprio per motivi di prudenza, consapevole di essere oggetto di continue minacce da parte di alcuni gruppi di islamisti di Al Shabab.

Quasi certamente l’attentato recente al tribunale di Mogadiscio, in cui hanno perso la vita 34 persone,secondo gli inquirenti, è attribuibile agli stessi mandanti  dell'omicidio del giornalista, che operano sempre e come possono, per impedire la rinascita democratica del popolo somalo.


         a cura di Marianna Micheluzzi (Ukundimana)

"La Porta" /Spazio Poesia








E’Lui la porta

sempre aperta.

che accoglie

con dolcezza

riconoscendoci

la nostra

unicità.

Perché è dall’amore

e mai dall’odio

che la materia

diviene realtà.

Essere al mondo.



Marianna Micheluzzi (Ukundimana)



domenica 21 aprile 2013

E' possibile una scienza delle migrazioni ? /"Movimenti indisciplinati" -ed.Ombre Corte (2013)






Le discipline, quelle che si occupano del sociale, stanno tentando di mettere ordine e, quindi, di rispondere con serietà (se riusciranno) a quel fenomeno che, nella quotidianità, sono divenuti anche per noi, in Italia, i movimenti dei migranti.
Per altro, ormai, quasi continuativi e delle più disparate provenienze.

Lo scopo di”Movimenti indisciplinati”, sottotitolato : Migrazioni, migranti e discipline scientifiche, a cura di Sandro Mezzadra e Maurizio Ricciardi, entrambi docenti al Dipartimento di Scienze politiche e sociali dell’università di Bologna, che hanno coordinato studi di differenti ricercatori, è proprio quello di raccordare, trovando un nesso scientifico possibile e accettabile le migrazioni con il problema del genere (maschio-femmina), che in situazione fa parecchia differenza; con il razzismo, di cui negli ultimi tempi nella società italiana, e specie in certe particolari regioni, c’è stata una forte recrudescenza; con le diverse generazioni (prime e seconde) e le aspettative che specie, com’è giusto, le “seconde” coltivano; con il lavoro, che è un diritto nel momento in cui il paese ,che ti accoglie, ti riconosce come cittadino a tutti gli effetti; con la criminalità che è molto spesso è il trito luogo comune, tirato fuori al momento opportuno,essenzialmente per accrescere nell’opinione pubblica il rifiuto dello straniero.

E, ancora, sempre lo stesso testo prova ad affiancare nella parte conclusiva, e con rigore didattico, il possibile legame che c’è tra “storia” con la”S” maiuscola e le singole storie dei protagonisti delle migrazioni.

Quindi, infine, si argomenta di diritti ottenuti e di diritti negati e dell’importanza fondamentale che, nell’accoglienza dei migranti, rivestono gli spazi urbani disponibili.

Per non creare, a partire proprio da questi, la famigerata linea di demarcazione ,che separa e crea “arrabbiati”, il classico “border line”, paragonabile a quella di una Londra con i suoi ghetti periferici per immigrati oppure a quella di una Parigi con le sue banlieu.

                a cura di Marianna Micheluzzi (Ukundimana)

sabato 20 aprile 2013

Dakar (Senegal) / Hissène Habré sarà processato /Il "mostro" ciadiano alla sbarra




        



E’ un personaggio di cui pochi oggi si ricordano. Ma non l’hanno dimenticato né le sue vittime, quelle rimaste in vita, e neanche i loro familiari.

Era arrivato al potere in Ciad nel lontano 1980 dopo avere destituito, come accadeva, e talora ancora accade in Africa, il presidente Goukouni Ouddei , grazie all’appoggio politico-militare di Francia e di Stati Uniti.

E la sua “stagione” da dittatore durò dieci lunghi terribili anni. Fino a quando,con la stessa modalità, cambiati gli umori dei protettori, anch’egli fu soppiantato da Idriss Déby Itno, attuale presidente della Repubblica del Ciad.

Un’ inchiesta della Commissione nazionale ciadiana, pubblicata già nel 1992, lo accusa della morte di almeno 40 mila persone.

E’ una cifra spaventosa e assimilabile in totale, se ci pensiamo bene , al numero di abitanti di un’intera cittadina di quelle delle nostre.

Morti violente senza dubbio e, prima ancora, torture inaudite. E testimone delle atrocità soprattutto le mura della prigione di regime, in N’Djamena, denominata “La piscina”.

In particolare (riferiscono) era spietato nei confronti di quelle etnie, differenti dalla sua, che in qualche modo potessero disturbare il suo operato affaristico-politico.

In questi giorni però , finalmente, sembra sicuro che i nodi per Habré stiano per venire al pettine

In quanto sono in corso a Dakar, in Senegal, i lavori delle Camere Africane Straordinarie riunite, un organismo giudiziario voluto ,allo scopo precipuo, dalla Cedeao (Comunità economica degli stati dell’Africa occidentale) e dall’Unione africana.

La durata della fase istruttoria prevede la bellezza di 15 mesi.

E ciò è stato possibile, dopo anni e anni d’intralci capziosi, messi in piede ad arte, sopratutto perché attuale presidente del Senegal è Macky Sall.

E in sella non c’é più Wade, il quale negli anni passati, in merito, a certe esplicite richieste ha sempre fatto ripetutamente orecchie da mercante.

L’evento, inoltre, per il Senegal riveste molta importanza a dimostrazione che giustizia può essere fatta, e con onestà di giudizio, da un tribunale africano per crimini commessi nella stessa Africa.

Le spese processuali certamente saranno a carico del Ciad, dell’Unione europea, degli Usa, della Germania , del Belgio, della Francia e del Lussemburgo.

Obiettivo prioritario è essenzialmente comminare la giusta pena al reo ma anche risarcire, per quanto possibile ( certo è eufemistico), le famiglie delle vittime.

Molte di esse, infatti, hanno costituito delle associazioni e fatto sentire, sul piano internazionale, la propria voce in più occasioni.

L’uomo Hassène Hibré, quando scelse il suo esilio dorato in Senegal, era ricchissimo.

Pare che avesse ampiamente ripulito le casse dello Stato e portato con sé tutto il malloppo.

Qualcosa, allora, in franchi Cfa , come 200 miliardi di nostre vecchie lire.

E questo gli ha consentito in tutti questi anni di vivere protetto da potenti famiglie locali senegalesi.

I ciadiani, specie quelli che attendono giustizia, crederanno solo quando vedranno e, alcuni tra loro, si dicono anche piuttosto timorosi e molto preoccupati delle ritorsioni in patria di quelli che, a suo tempo, furono i collaboratori del despota.

Perché è chiaro che Hibré non agì mai da solo e che alcuni dei suoi sgherri, ben mimetizzati, circolano ancora liberamente in Ciad.





          a cura di  Marianna Micheluzzi (Ukundimana)

Incroci di Civiltà 2013: Muthoni Garland e Lola Shoneyin; sentieri del mond...

Incroci di Civiltà 2013: Muthoni Garland e Lola Shoneyin; sentieri del mond...: Lola Shoneyin Muthoni Garland

Bujumbura (Burundi) / Caffé troppo amaro per i burundesi




    



In Burundi le entrate, che derivano dalla vendita del caffè, ammontano all’80% delle esportazioni e al 55% del reddito di almeno 750 mila famiglie.

Questo è il dato noto in base a un calcolo ufficiale, appena approssimativo ma, in sostanza, certo. Infatti il sostentamento familiare di molti nuclei rurali allargati, in Burundi,specie nelle campagne , dipende in particolare dal ricavato della raccolta e della vendita di caffè.

Di questi tempi sta accadendo purtroppo che per i contadini e raccoglitori di caffè, un lavoro decisamente molto faticoso e mal pagato,le cose non sono più quelle di prima .Cioè non vanno bene.

Una privatizzazione totale delle terre è calata improvvisa, come una mannaia, sui poveri coltivatori e raccoglitori.

Lo Stato, infatti, poco democraticamente ha offerto concessioni in merito sul proprio territorio a parecchie società straniere, quelle che si occupano del settore.

E questo soprattutto per le sollecitazioni pressanti, al solito presidente “fantoccio”, da parte della Banca Mondiale che, insieme al FMI, con i loro diktat , sono gli autentici nodi scorsoi per l’impiccagione delle economie africane.

Infatti più di 130 fabbriche locali di lavaggio e trattamento dei chicchi di caffè sono state vendute ultimamente alle società straniere, di cui sopra, in cambio di un finanziamento del 30% del bilancio dello Stato burundese.

Senza dire che alcune famiglie contadine sono state mandate via dalle loro terre proprio per consentire a nuovi stabilimenti, appunto per il lavaggio e il trattamento del caffè burundese, di essere edificati su stessi terreni.

Delocalizzazione forzosa, insomma, insieme ad un impoverimento sicuro di tantissime persone. Logiche neoliberiste di un’economia rampante e senza scrupoli, quelle della finanza internazionale, assieme a un mix di corruzione con i potentati locali che nei Paesi africani non è difficile mettere in piedi.

E non pensiate, nonostante alcuni appelli di denuncia di esperti delle Nazioni Unite, che l’accoglienza a queste società straniere si limiti e finisca qui.

In quanto, avendo fiutato il buon affare, le previsioni, piuttosto attendibili, parlano di altri numerosi e certi arrivi in Burundi.

  
                      
               In Burundi,oltre al caffé , i contadini sono anche  coltivatori e raccoglitori di thé


          a cura di Marianna Micheluzzi (Ukundimana)

venerdì 19 aprile 2013

Padova /Medici con l'Africa Cuamm ricordano il loro fondatore






Domani, sabato 20 aprile, dalle ore10,00 alle 12,30, in città, nell’Aula magna del Bo (via 8 febbraio, 2 ), i giornalisti Toni Capuozzo, Luigi Accattoli, Paolo Rumiz e don Antonio Sciortino racconteranno, attraverso parole e immagini, l’avventura di un uomo illuminato, precursore del volontariato internazionale.

Mi riferisco alla storia e al sogno poi realizzatosi di Francesco Canova, medico, professore e intellettuale cattolico, fondatore di Medici con l’Africa Cuamm.

E cioé la prima ong in campo sanitario, riconosciuta in Italia.

Una scelta progettuale di vita a servizio dei più deboli, un bozzolo pregno di altruismo, quello degli uomini e delle donne del Cuamm (per chi ha avuto il privilegio di conoscerne alcuni) che, per ironia del destino, è nata in territorio in cui oggi, al contrario, alberga l’egoismo antistraniero.

Chi poi volesse approfondire la conoscenza dell’impegno sul campo del Cuamm, ,un impegno “tutto africano”, può scegliere di leggere il dettagliato e accattivante reportage giornalistico di Paolo Rumiz “Il bene ostinato”,edito da Feltrinelli.

Un’esperienza di viaggio dell’autore, compiuta fianco a fianco dei protagonisti della “missione”,cui senz’altro Rumiz ,domani, nel corso dell’incontro col pubblico, farà riferimento.

Sarà presente ai lavori e interverrà anche il vescovo di Padova, mons. Antonio Mattiazzo.

             a cura di Marianna Micheluzzi (Ukundimana)

Tutto il "positivo" dell'Africa /Romano Prodi alla "biennale Democrazia" di Torino


          



Romano Prodi, ex-presidente del Consiglio, docente di economia nell’ateneo bolognese e tanti (ex) altri prestigiosi incarichi,oggi è inviato Onu per il Sahel, un impegno che lo ha portato di recente anche nel Mali, dilaniato da una conflittualità interna di matrice islamista, per cercare, attraverso constatazioni de visu e colloqui mirati, d’individuare possibili strategie di unità e di pace.

Alla “Biennale Democrazia” di Torino, pochi giorni addietro, il “professore”, su invito, ha indicato ad un pubblico attento e molto motivato, tutta la positività dell’Africa nonostante, a casa nostra e in Europa, se ne presentino, specie attraverso il battage superficiale dei “media”,e troppo spesso, soltanto le pecche e /o le caratteristiche negative.

E gli aspetti peculiari su cui, secondo il professore ,bisogna fermarsi a riflettere, noi come Europa, sono tre in particolare.

Il primo e il più importante è il discorso demografico.

In Africa risiede attualmente un miliardo di persone di cui, appena negli ultimi vent’anni, s’è registrato un aumento di quattrocento milioni di unità. Scusate se è poco. E si ritiene,molto fondatamente, in base a proiezioni discretamente attendibili, che nel 2050 gli abitanti del continente nero saranno due miliardi in tutto. Per di più con un’età media, già oggi, di diciotto anni contro i 40 anni e dell’Europa e dell’Italia (vedi calo demografico europeo generalizzato).

Il secondo aspetto, sempre secondo Romano Prodi, è la riduzione dei conflitti rispetto a quelli che sono stati gli anni passati.

Se si eccettuano,purtroppo, i casi complessi di Somalia, di Sudan e di Nigeria.

E ultimo, il Mali, con le possibili e fastidiose infiltrazioni di terrorismo islamico fondamentalista, “griffato”Africa.

E’ Al Qaeda, infatti, quella che soffia a tutti i costi sulla brace e agognerebbe espandersi, da un oceano all’altro. Dall’ Indiano all’Atlantico. E non cessa.

L’assenza complessiva nel continente africano di guerre preoccupanti fa sperare in tempi relativamente brevi in una certa stabilità politica ed economica (ecco il terzo aspetto), di cui per la verità, se si guarda al bicchiere mezzo pieno, ci sono già parecchi segnali.

Per quest’ultimo è ovvio che non deve mancare tutto l’impegno possibile, anche il nostro, per risolvere l’annoso problema della povertà,che affligge realmente, in Africa, almeno il 40% dei suoi abitanti. Cioè quasi metà della popolazione.

Sconfiggere la povertà significa da parte dei loro governanti sopratutto, supportati magari da “stampelle” estere (investimenti stranieri “onesti” cercasi), se è necessario, mettere, ad esempio, la gente in condizione di avere l’acqua a disposizione e anche l’elettricità.

Poter frequentare la scuola e, successivamente, avere anche un lavoro retribuito.

E, ancora, potersi curare e non soccombere di continuo, anche nell’infanzia o da giovanissimi, ad epidemie dovute a carenze strutturali del contesto.

In poche parole avere le opportunità di riuscire ad accedere presto e bene ad una accettabile qualità della vita.

Già attualmente, in base a dati attendibili, è noto che, comunque, il 40% degli africani frequenta regolarmente la scuola superiore e, se ci sono i mezzi della famiglia, prosegue all’università.

E, nell’insieme del continente, da 7 o 8 anni a questa parte(è sempre il prof. Prodi che cita i dati), si – egli puntualizza - una crescita media del Pil annuo del 5%, che fa sperare bene. E se l’economia diventa trainante della politica, in Africa, si avrà di conseguenza una maggiore democratizzazione delle differenti realtà statali.

Non importa se il prezzo, qualche volta, potrebbe essere ed è, in effetti (perché lo abbiamo visto e lo vediamo nell’Africa del Maghreb e in Egitto) quello di inevitabili tensioni sociali.

Le generazioni cambiano negli anni e la gente istruita domanda, com’è giusto che sia, maggiore trasparenza ai propri politici, nonché preme inevitabilmente per una partecipazione più diretta alla cosa pubblica.

              

               a cura di MariannaMicheluzzi (Ukundimana)

giovedì 18 aprile 2013

Ousmane /Il Catechista/ On the road Tanzania


     



Eccoci giunti al villaggio, accompagnati da un adolescente volenteroso di Kigamboni,cui il parroco, che è il responsabile della missione locale, ci ha caldamente raccomandati, perché ci faccia da guida in un percorso difficoltoso e assolutamente privo d’indicazioni.

Dopo parecchi chilometri di strada polverosa (è un “classico” sulle strade del Tanzania), tra ripetute curve e ampi fossati, il “nostro” cassonato Toyota, decisamente ansante per gli acciacchi dovuti al logorio dei troppi anni trascorsi a percorrere strade sterrate, finalmente ci scarica.

E siamo accolti da un nugolo di bambini festosi.

E’ un gradevole sabato di inizio aprile (fa caldo e siamo tutti sudati) e abbiamo convenuto, in precedenza, grazie all’uso del cellulare che, quando non fa i capricci, ci consente qualche volta anche qui di poter comunicare da luogo a luogo, un incontro con Ousmane.

Ousmane è il catechista del villaggio. Una figura molto amabile, ci hanno detto. E particolarmente stimata dalla sua gente.

La fama della sua autorevolezza, infatti, nelle conversazioni dei nostri ospiti, è giunta fino a Bunju e la voglia di conoscerlo da parte nostra è stata tale che non ci ha fatto mettere affatto in conto il disagio del viaggio.

Ousmane, che intuisce chi possiamo essere, ci viene dritto incontro con passo sicuro.

E’ un bell’uomo, discretamente alto, dal portamento distinto.

E’ sorridente e ci accoglie proprio come fossimo amici da sempre.

C’invita, senza indugio, a usufruire della frescura della sua stanzetta,un locale attiguo alla cappella, dove egli svolge di solito i suoi uffici.

Gliene siamo grati, prendiamo fiato e cominciamo a sentirci a nostro agio.

Lui ci domanda subito da dove veniamo e giù che ha inizio una vivacissima conversazione a più voci, per raccontargli dell’Italia, di Roma, di Torino e delle nostre città d’arte.

Conversazione cui Ousmane pare particolarmente interessato.

Sbirciando intorno incuriositi dall’ambiente, scopriamo infatti, per caso , su di uno scaffale e accanto ad una Bibbia dalla copertina nera,da cui fuoriescono alcuni segnalibro, una guida turistica di Roma,dalle pagine un po’ sciupate. E pensiamo senza esitazione che lo sarà di certo per le eccesive consultazioni.

Ousmane ci confessa che amerebbe tanto visitare la città dei papi, andare almeno una volta in piazza San Pietro,entrare in basilica e che gli piacerebbe anche poter vedere di persona il Colosseo, di cui alla parete ha qualcosa di simile a un piccolo poster leggermente scolorito dalla luce solare e dal tempo.

Ci rendiamo conto che probabilmente è affascinato dalla storia degli antichi romani, che lui identifica con l’Italia tutta.

Ma, dopo un’oretta di quest’excursus storico-artistico –turistico (ci chiede anche di piazza Navona e di fontana di Trevi, della leggenda metropolitana della “monetina”,del cibo e del vino generoso dei Castelli e naturalmente non perde neanche una parola delle nostre), siamo noi a chiedere a lui.

E Ousmane ci racconta, con un pizzico di orgoglio, ma molto ben dissimulato, del suo lavoro nel villaggio natio, dove è stato scelto per fare il catechista, perché stimato dalla gente per le sue doti umane.

E previa, naturalmente, approvazione del parroco e del vescovo, che lo hanno tenuto e lo tengono da sempre in buona considerazione.

E, ancora, ci dice della sua presenza nei villaggi circostanti, che raggiunge periodicamente, quando lì è richiesta la sua opera in supplenza dei missionari come, ad esempio,in certi giorni festivi, per leggere e meditare la Parola di Dio. Oppure, il più delle volte, per fare catechismo a chi deve avvicinarsi per la prima voltai ai sacramenti e fare un cammino da catecumeno.

E chiarisce che i suoi spostamenti li fa in sella ad una vecchia moto, che ha ereditato da un missionario amico, ritornato in Europa. E aggiunge che è il suo mezzo di trasporto preferito, cui non lesina né riguardi, né manutenzione.

E poi ancora ci parla di sua moglie,di Fatima,una donnina deliziosa,che più tardi conosceremo.

E dei suoi cinque figli,che ama più dei suoi stessi occhi.

E che visita tutte le volte che può, periodicamente, non appena gli impegni da catechista glielo consentono.

Si lamenta solo che il dover fare di continuo funerali come capita ( nella zona muoiono gli anziani ma anche,a suo dire, troppi giovani e bambini ) e il dover raggiungere le differenti cappelle del territorio, spesso molto distanti l’una dall’altra, lo stressa parecchio.

E questo non gli consente,come vorrebbe, di curare lo studio delle Scritture, che è l’aspetto del suo lavoro che più l’appassiona.

E di cui non ci fa mistero.

Sto leggendo in questi giorni gli Atti degli Apostoli - ci precisa.

E un sorriso gli illumina il volto.

Trovo che sia affascinante come leggere romanzo- aggiunge. Ma è chiaro – puntualizza subito- che non è un romanzo

E il tono della voce, nella correzione, si fa piuttosto serio.

Quello che è scritto-dice a sostegno del suo pensiero- è un’autentica prospettiva di vita.

E’ un cammino di speranza per comunità che aspirano realmente alla pace e all’unità.

E, nella nostra Africa, Dio losa se ce n’è tanto bisogno.

Se fossi vissuto in quel tempo - precisa –dovete sapere che mi sarebbe piaciuto essere Stefano, il primo martire.

Quello che aveva capito bene che Dio non può essere imbrigliato in un sol luogo.

Proprio un po’ come pensiamo noi africani.

E,come credevano ,e a giusta ragione, i nostri antenati.

Chiuso (si fa per dire) l’argomento, Ousmane ci invita ad uscire per un giro di visita al villaggio.

E ci inoltriamo tra alberi maestosi, case e animali da cortile, che razzolano liberi.

Ogni tanto è anche possibile che qualche cane sonnacchioso,dinanzi ad un uscio di casa, spalanchi il suo occhio pigro per poi subito richiuderlo e continuare il letargo.

Ci fermiamo presso alcune abitazioni modeste, di cui il catechista conosce bene gli abitanti.

E incontriamo sopratutto donne, bambini ed anziani con cui scambiamo sorrisi e offriamo loro qualche caramella.

Caramelle che, con una certa lungimiranza, avevamo portato con noi, proprio per i più piccini.

Ma che, in situazione, pare vadano bene un po’ per tutti.

Gli uomini in età da lavoro non ci sono. Sono fuori. Lontano dal villaggio.

Faranno, forse. ritorno in serata. O l’indomani. O molto più avanti nel tempo.

Intanto Ousmane ci fa da traduttore dal swahili, una lingua che per noi è ancora difficile.

Sempre lungo il percorso incontriamo ancora tante altre persone.

Tutti coloro, ad esempio, che da sempre si rivolgono al catechista perché faccia da tramite con il missionario per battesimi , matrimoni e quant’altro riguardi i sacramenti.

E incontriamo anche la famiglia stessa del nostro catechista.

Dopo avere salutato con affetto la moglie Fatima, lui, Ousmane, ci parla subito dei figli.

E c’informa che i due maschi, i più grandi, frequentano già la scuola della missione.

E aggiunge,con legittimo orgoglio di padre, anche con buon profitto.

Come ogni buon genitore non bada ai sacrifici, che pure ci sono, e sogna semmai un avvenire di successo per i propri figli.

Io non mi meraviglio. E non si meravigliano neanche gli altri che sono con me.

Mentre Ousmane parla, mi viene in mente il burkinabé Ki Zerbo, il grande storico dell’Africa nera, figlio di un catechista anch’egli.

Per meglio dire del primo catechista cattolico, in Burkina Faso,all’interno del suo villaggio e quando il paese cioè si chiamava ancora Alto Volta ed era una colonia.

E, allora, auguro, in cuor mio, tanta fortuna a questi ragazzi anche se non li conosco.

Loro certamente riusciranno davvero ad arrivare in Italia e a visitare Roma. E non solo.

Il tempo intanto scorre rapido e non fa credito a nessuno.

E’ giunta inevitabile, anche se un po’ ci dispiace, l’ora del commiato.

Bisogna fare ritorno a Kigamboni, pranzare in fretta qualche cosina,tanto per tacitare lo stomaco e avviarsi, poi, a prendere il traghetto.

E proseguire, infine, per Bunju.

Il tragitto è lungo e le ombre della sera, le mascalzone, giungono sempre di sorpresa in terra d’Africa.

Così ,con una calorosa stretta di mano e un sorriso cordiale, salutiamo Ousmane e lo ringraziamo di tutto cuore per l’accoglienza.

E, tempo qualche minuto successivo, un colpo di piede sull’acceleratore da parte del nostro autista , per noi, di nuovo stipati nella cabina del Toyota, è già subito ripartenza.





              di Marianna Micheluzzi

mercoledì 17 aprile 2013

Parole in prestito /Spazio Poesia








Uomo in cammino

che non ami

la “pappa di cuore”

dagli scarponi

impolverati

di polvere

rossa

o inzaccherati

dal fango delle grandi

piogge..un uccello qui

sul cornicione di un

palazzo,oggi, nel caos cittadino

con l’acuto punteruolo

sonoro punge la primavera.

E l’opera dell’aria arreca

improvvisa nostalgia.



 di Marianna Micheluzzi

Kenya /Convalidate le elezioni dalla Corte Suprema /Ha inizio il"nuovo" corso/ E' ufficiale


         



Uhuru Kenyatta, figlio del primo presidente keniano, Jomo Kenyatta,è il nuovo presidente del Kenya in quanto così ha stabilito la Corte Suprema, mettendo fine alle contestazioni e allo strascico di polemiche, che si sono susseguite circa la correttezza delle operazioni di voto, e quindi dell’esistenza di eventuali e possibili brogli, nel corso dell’ultima campagna elettorale (marzo) del paese africano.

Il tutto è esposto in un dettagliato documento di ben 133 pagine reso pubblico, in cui si evidenzia che l’insieme del procedere certo non è stato perfetto ma non tale da consentire di invalidare le elezioni.

Uhuru Kenyatta, per inciso, è uno degli uomini più ricchi d’Africa. E questo fa capire, anche ai più ingenui, troppe cose .Oltre ad essere persona inquisita per crimini contro l’umanità dal Tribunale Penale Internazionale de L’Aja.

Nella sua agenda politica,ciò che è dato sapere è che l’impegno del governo riguarderà l’estensione dei servizi di base alla popolazione. Cosa di cui ce n’è, di questi tempi, senz’altro un grande bisogno. E, soprattutto, l’ impegno serio riguarderà la creazione di posti di lavoro per le giovani generazioni, che sarebbe meglio, a suo dire e non solo,che non lasciassero il Paese.

Si è anche fatto cenno, naturalmente, all’importanza di fugare dall’operato politico della nuova legislatura ogni forma di corruzione ma sappiamo bene trattarsi solo ed esclusivamente di discorsi di facciata, scritti o parlati che essi siano. La corruzione politica è un male, purtroppo, endemico.

E non prospera solo in Africa. E poi si è anche detto di pace e di unità interna. Divisioni politiche e contrasti interni, di differente natura, non sono mancati, accompagnati, specie negli ultimi tempi, da scioperi e manifestazioni di piazza.

La vittoria di Uhuru Kenyatta al primo turno è avvenuta, infatti, con uno scarto di appena 800.000 voti sull’avversario, il più gettonato e il più temuto al tempo stesso e cioè Odinga.

Il punto focale dell’intero programma politico rimane, però, la risoluzione del debito pubblico del Kenya, che incide attualmente al 12% del Pil. E anche, se possibile, una accettabile riduzione generale del costo della vita, per cui la massaia keniana possa fare finalmente e serenamente i suoi giri al mercato, ogni mattino, e provvedere al fabbisogno familiare senza troppe angosce.

In chiusura è ovvio che si faccia cenno ad una maggiore competitività del Paese africano sui mercati internazionali.

               a cura di  Marianna Micheluzzi (Ukundimana)

martedì 16 aprile 2013

Ghana /Crollo in una miniera d'oro /Morti e feriti /Incerto ancora il bilancio delle vittime


             



In una cittadina ( Kyekyewere) ad alcuni chilometri dalla capitale Accra, in Ghana, hanno ceduto le pareti della galleria di una miniera, da cui si estraeva oro.

Il bilancio delle vittime è ancora approssimativo in quanto la notizia, battuta dalle agenzie, è solo di poche ore fa.

Potrebbe, pertanto, aumentare.

Il capo della polizia locale e i soccorritori hanno riferito di un totale, al momento, di 17 morti. I primi 16 – ha tenuto a precisare il poliziotto che dirigeva le modalità delle operazioni di estrazione dei corpi dalla miniera - erano già cadavere mentre uno (il diciassettesimo appunto) è deceduto nel trasporto all’ospedale insieme ad altri 5uomini, feriti piuttosto gravi.

Si ritiene, sempre a detta della polizia locale, che le vittime fossero degli intrusi, entrati di nascosto in miniera, che tentavano di estrarre oro con strumenti rudimentali non idonei, che probabilmente sarebbero stati poi la causa dell’ accaduto.

Si sa, inoltre, che almeno altre 22 persone, di sicuro, sono ancora intrappolate nel sottosuolo.

Incidenti del genere non dovrebbero certo verificarsi o, quanto meno, le misure di sicurezza e i controlli dovrebbero garantire, in Ghana come altrove, l’incolumità dei minatori.

E questo lo si dice più incisivamente che se la disgrazia fosse capitata in un qualsiasi altro “altrove”, in quanto il Ghana è il primo esportatore d’oro dell’Africa.

I congrui profitti ricavati da tali esportazioni in parte dovrebbero essere impiegati proprio per questo.

Le stesse parole del poliziotto, come un mettere le mani avanti, fa supporre un po’ di “puzza di bruciato”.

Una scusa non richiesta (excusatio non petita, accusatio manifesta, dicevano i latini) e buttata lì allo scopo, forse, di giustificare la negligenza imperdonabile della compagnia mineraria e delle competenti autorità.

             a cura di Marianna Micheluzzi (Ukundimana)

Zimbabwe / "Il fumo che tuona" e l'aeroporto nuovo saranno portatori di benessere per Victoria Falls?










Pare che soffi un buon vento sullo Zimbabwe ultimamente, nonostante l’onnipresente scomoda e inossidabile figura di Robert Mugabe.

Uomo senza dubbio deprecabile costui, in quanto notorio affamatore della sua gente e non rispettoso dei più elementari diritti umani ma- bisogna dirlo- personalità con un ottimo fiuto per gli affari.

In particolare i propri.

E questo del “buon vento” accade da quando l’Unione Europea, in seguito ai fatti ultimi registrati, ha alleggerito un tantino le pesanti sanzioni economiche allo Zimbabwe. Tanto che sono in parecchi a credere, ormai, possibile una lenta ma graduale democratizzazione della vita politica interna del paese.

Intanto sono arrivati anche i dollari di Pechino (circa 200 milioni), finanziati dalla Export-Import Bank of China. E, con il denaro, sono giunti sul posto uomini e macchinari per la costruzione del nuovissimo aeroporto ( quattro chilometri di pista- 100 mila metri quadrati di asfalto - un nuovo terminale) nei pressi di Victoria Falls, la cittadina di 45 mila abitanti, nata proprio di fronte alle Cascate Vittoria e che vive principalmente dei proventi del turismo.

La città, infatti, offre ospitalità ai tantissimi turisti che ogni anno, nelle stagioni buone, arrivano per visitare quelle meraviglie della natura che sono le note “cascate” e i luoghi d’incanto “mozzafiato” di una natura primordiale, che le circondano.

Con l’ampliamento dell’aeroporto, il ministro del Turismo intravede, a suo dire, addirittura la possibilità per lo Zimbabwe di una crescita del giro d’affari paragonabile a quello delle cascate del Niagara in America.

Ora per certi versi è tutto bene ma la popolazione di Victoria Falls si mostra, giustamente, piuttosto scettica. In sostanza non vorrebbe intralci alle proprie attività economiche del momento e crederà alla positività della cosa quando il tutto sarà realmente portato a termine.

Fatti e non parole, insomma.

Non è raro infatti che, nel bel mezzo dei lavori, quale che sia il progetto da realizzare, non si proceda a concludere e per i più differenziati motivi.

E’ già successo sul territorio africano e proprio con ditte appaltatrici cinesi e con denaro cinese. Specie se i rubinetti della banca-madre si chiudono improvvisamente.

L’unica assicurazione che è stata data agli abitanti di Victoria Falls, in merito al cantiere aperto, è che la struttura urbanistica di stile vittoriano della cittadina non sarà modificata.

Contemporaneamente, però, si comincia a ventilare anche la possibilità di costruire, e sarà poco tempo, una nuova città all’uopo.

Essa si chiamerà Victoria Falls City e dovrebbe estendersi su 1200 ettari di foresta vergine messa a disposizione dallo Stato.

Qui, a questo punto, sorgerà senz’altro il discorso del rispetto delle biodiversità vegetali, delle specie animali endemiche e di chi abita da sempre quelle terre. Uomini e donne, anziani e bambini, che potrebbero forzosamente essere inurbati.

Ma, per quanto giusto sia per noi, ai nostri occhi, un certo rispetto di persone e cose, si ricordi che l’ottica africana non è quella dell’Occidente e degli occidentali. E che, inoltre, la terra nella maggior parte dei Paesi africani (se non tutti) è proprietà dello Stato, che ne dispone, ahimé, a proprio piacimento.

E non c’è democrazia che tenga.

Il prisma, infatti, ha molte faccine.

                a cura di Marianna Micheluzzi (Ukundimana)

lunedì 15 aprile 2013

Mogadiscio (Somalia) /La pace latita ancora /Molti i morti nell'attacco di ieri al tribunale




            



Ieri, domenica, un terribile attacco è stato sferrato contro il tribunale di Mogadiscio da parte di un gruppo di Al-Shabaab, i terroristi islamici somali strettamente legati, com’è noto, al terrorismo di matrice internazionale.

Le vittime sono in tutto trentaquattro. Erano civili inermi, alcuni addirittura dei passanti, colpevoli solo di essere nel posto sbagliato al momento sbagliato, tra cui anche alcuni operatori umanitari della Mezza Luna Rossa.

Nello scontro con le forze dell’ordine, intervenute tempestivamente, sono rimasti uccisi, comunque, tutti gli uomini del commando terroristico.

Sono state utilizzate per l’attacco dagli Al Shabaab ben due auto-bomba.

La prima è esplosa all’esterno del Palazzo di Giustizia, facendo un certo numero di morti.

La seconda è stata fatta esplodere, non lontano dal palazzo delle forze dell’ordine, sulla strada che conduce all’aeroporto, proprio nel momento in cui transitava un convoglio di operatori umanitari turchi.

La motivazione dell’attentato è quasi certamente la stessa di sempre.

E cioè l’arresto duramente contrastato dell’avanzata dei ribelli anti-governativi in buona parte del territorio centromeridionale della Somalia.Operazione condotta da militari somali, keniani e caschi verdi dell’Unione Africana (Amisom).

Il presidente somalo, Hassan Sheikh Mohamoud, nonostante la gravità dell’accaduto, ha precisato al Paese che la Somalia non si arrenderà.

Semmai proseguirà sulla strada della rinascita intrapresa, senza dare spazio a qualsiasi tentativo di destabilizzazione, in quanto le sofferenze della gente somala, negli ultimi vent’anni ,sono state fin troppe e il prezzo, in termini di vite umane,decisamente molto caro .



              a cura di Marianna Micheluzzi (Ukundimana)

       

Tamtamkhulu Afrika /Un autore da conoscere /Una storia da leggere




           





Il vero nome di Tatamkhulu Afrika è quello di Mogamed Fu’ad Nosif, nato nel 1920 in Egitto, da padre egiziano e da madre turca.

E non sono molti i particolari della sua vita di cui si possa dire di essere a conoscenza.

E’ stato e rimane, comunque, uno dei maggiori scrittori sudafricani che, purtroppo per noi, in Europa e in Italia, il pubblico non conosce ancora bene.

Un bianco,Tatamkhulu Afrika, che si è sempre sentito e si sentiva “nero” nel cuore e pensava “nero” con la mente.

Fu vicino infatti, negli anni dell’apartheid, all’African National Congress di Nelson Mandela e, come lui, conobbe il carcere duro per parecchi anni.

Undici in tutto, che lui stesso abbia poi raccontato.

Ha scritto e di prosa e di poesia ed è stato uno scrittore pluripremiato.

“Paradiso Amaro”,il suo romanzo più noto, è uscito, che è poco, nell’edizione Playground di Roma, per l’efficace traduzione di Monica Pavani.

Ma non è la prima volta in quanto c’è già stata, anni fa, una precedente proposta dell’editrice “Il Saggiatore”.

Quella di questa volta potrebbe essere magari, proprio grazie ad una lettura resa piacevole da una traduzione accattivante, l’occasione buona per fare davvero conoscenza con l’autore.

La trama è semplice.

Un certo Tom Smith che, durante la seconda guerra mondiale, è stato fatto prigioniero nel Nord-Africa dalle truppe tedesche, che in seguito consegnarono gli stessi prigionieri ai militari italiani, viene trasferito in un campo di concentramento in Europa.

Un giorno, finita da parecchio ormai la guerra, inaspettatamente, egli riceve a casa sua, in Inghilterra, due lettere e un pacco da amici di prigionia di quegli anni.

Questo è sufficiente a riportare in lui nel presente tutta la forte tensione emotiva vissuta di quell’ “allora” e di quell’amicizie molto“particolari”(il triangolo) che, in anni terribili, aveva legato lui, il Tom, con Danny e Douglas, altri due commilitoni inglesi.

E dimostra in particolare, accanto all’irriducibilità della memoria, che fa rivivere tutto nei minimi particolari, la forza straordinaria di quell’eros arcaico, unica modalità per sopravvivere, cui i tre uomini si aggrapparono come può essere il farlo all’unica ancora di salvezza in frangenti inumani come gli anni trascorsi in un campo di concentramento tra indicibili violenze, continue ritorsioni e ripetute minacce di morte.

E quel che è peggio( la cosa è molto sorprendente rispetto a certe leggende metropolitane circolanti) è che queste pratiche erano messe in atto da soldati italiani. Decisamente peggiori, a detta del protagonista,io narrante, dei precedenti militari tedeschi.

Giudizio severo, dunque, sugli italiani e , per altro,senza appello. Nonché riconferma della fine di un mito.

Ossia: italiani, gente pessima.

              a cura di Marianna Micheluzzi (Ukundimana)

domenica 14 aprile 2013

"Il cappello" / Omaggio a Tatamkhulu Afrika /Spazio Poesia










Sotto l’albero

fiorito

che diresti

un incanto

il vento

ti fa roteare

e ti porta

sull’onde

increspate

dell’oceano-mare.

E ha inizio

quel viaggio.

Principia

la nuova storia.

Per raccontarti

finalmente

senza scudo.

O raccontare il

dolore irrisolto

che tu sai.

Un ragazzotto

distante

canticchia

nel sole

che abbacina

l’antica nenia

di sempre e

prende a calci

una palla.

Non s’accorge

di nulla.

Lui.

Lei ti aveva avvertito.

L’idiota indifferenza

hai scambiato

per speranzose attese.

Ora sei appendice

d’ arredo al chiodo.

Sei l’insulto deriso

del fasto di ieri.

Un cencio tra cenci.

Roba da rigattiere.

La polvere ti ricopre.



       di Marianna Micheluzzi



Tanzania /Incentivare comunità pacifiche






Perché le differenti confessioni religiose s’incontrino e non si scontrino è necessario impegnarsi tutti a costruire un autentico clima di pace. E dire di “no” con fermezza alla religione strumentalizzata per fini politici.

Come accade già da qualche anno a questa parte anche a Bunju, in Tanzania, a pochi chilometri dalla caotica e popolosa Dar es Salaam, al Consolata Mission Center, un Centro di animazione missionaria,voluto anni addietro da padre Giuseppe Inverardi (IMC) e costruito proprio con questo intento grazie alla collaborazione e all’aiuto economico di tanti amici dei missionari della Consolata.

L’uccisione di un sacerdote cattolico nell’isola di Zanzibar, accaduta che non è molto, ha suggerito subito alla commissione “Giustizia e Pace” del Tanzania la stesura di un documento in cui si propone d’istituire una “Giornata per la Pace”.

Si legge nel testo che ,con questa manifestazione, la popolazione del Tanzania intende dire, forte e chiaro, che vuole la pace, l’armonia e l’unità nel rispetto delle diversità di ciascuno.

“Per molti anni- continua lapidario il documento – abbiamo vissuto nell’unità e adesso non vogliamo permettere che un gruppo minoritario (leggi: infiltrazioni di terrorismo islamico) crei disordini politici e religiosi con l’obiettivo di conquistare il potere e governare in modo dittatoriale”.

          a cura di Marianna Micheluzzi (Ukundimana)

sabato 13 aprile 2013

Caduti nella "Rete" /Reading da "Internet come fuga dalla realtà"(anno 2007) di Zygmunt Bauman






Internet è una potente via di fuga dalle difficoltà e dalle tribolazioni della vita reale.

La Rete è un’opportunità per trovare una compensazione delle sconfitte e delle umiliazioni causate dalla vita o che si teme essa possa provocare.

Internet è un luogo dove è possibile sfogare la propria passione politica senza impegnarsi (…).

Non sono d’accordo con la convinzione che il futuro della democrazia dipenda dalla tecnologia.

In particolare, non credo che il fulcro del processo democratico, dell’agorà, del luogo in cui l’interesse privato incontra costantemente la dimensione pubblica sia da attribuire a un mezzo di comunicazione piuttosto che a un altro.

Internet non è né la salvezza, né la tomba della democrazia.

(Z. Bauman)



ndr.) Giudizio troppo severo? /Giudizio da “matusa”? /Da intellettuale con la”puzza” sotto il naso?


     a cura di Marianna Micheluzzi (Ukundimana)





venerdì 12 aprile 2013

Mine antiuomo / Subdolo nemico dei tempi di guerra


        



Attualmente sono 59 i Paesi ancora contaminati dalle mine antiuomo in cui le Nazioni Unite sono impegnate per contrastare il vigliacco e micidiale fenomeno, portatore certo di morte e/o gravi menomazioni.

I dati ci giungono dalla recente “Giornata Internazionale per la conoscenza delle mine anti uomo e l’assistenza nelle azioni contro le mine”.

In particolare occorre un impegno mirato- hanno sottolineato i relatori - in Paesi come il Mali e la Siria,dove l’impatto dell’uso delle armi,anche quando certe azioni di guerra avevano finalità umanitarie, è stato comunque devastante.

Secondo il Servizio Onu di azione contro le mine antiuomo, tra il maggio 2011 e il maggio 2012, sono state almeno 4.286 le persone uccise o ferite in incidenti riconducibili alle mine e ad esplosivi, residui di guerre.

Il positivo parziale in questo discutibilissimo clima guerrafondaio è l’esistenza dei 161 Paesi, che hanno aderito alla Convenzione,che mette al bando le mine antiuomo e ne proibisce la produzione, l’uso, lo stoccaggio e il trasferimento.

Questi stessi Paesi s’impegnano anche a distruggere le mine antiuomo e assisterne le vittime.

Tuttavia,nel mondo, c’è ancora decisamente molto da fare per creare una coscienza in merito e si può fare, senz’altro, di più.

              a cura di Marianna Micheluzzi (Ukundimana)