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giovedì 31 gennaio 2013

"ESILIO" /SPAZIO POESIA






Notti terribili e

piene d’amaro.

Urla spari.

Goma è caduta

Pianti e lamenti .

Sangue.

Tanto sangue.

Sangue misto

a terra rappresa.

Un tempo indefinito.

Marcia senza fine

e precipitosa

quando ancora

è lontano

e ignoto

l’approdo

nel porto sicuro.

Sconfitta

del cuore.





Marianna Micheluzzi (Ukundimana)

lunedì 21 gennaio 2013

MBERA (MAURITANIA ) /PROFUGHI MALIANI ALLO STREMO






Il prezzo delle guerre è noto che lo pagano sempre i più deboli e vulnerabili come gli anziani e i bambini.

I bambini, infatti ,che sono scappati con i loro genitori e fratelli dalla guerra, che tormenta il Mali da troppi mesi a questa parte e sono giunti al campo profughi di Mbera, in Mauritania, se la passano decisamente molto male in queste ore.

Lo riferisce, con dovizia di particolari , un sanitario responsabile dell’organizzazione umanitaria internazionale,”Medici senza Frontiere”.

Mbera, che è in Mauritania, dista pochi chilometri dal confine con il Mali e lo scenario del campo profughi, come sempre in contesti del genere (polvere e sabbia e vento e umidità), è di uno sconforto notevole.

Si muore per mancanza di cibo e scarsità di farmaci.

E muoiono, soprattutto, i bambini di età inferiore ai due anni.

La persona, che descrive la situazione, sottolinea con palese rammarico che ai nostri giorni una cosa del genere è inaccettabile.

E, professionalmente parlando, evidenzia che dallo scorso anno, nel campo di Mbera, la situazione nutrizionale non è affatto migliorata e i tassi di mortalità di bambini,che non raggiungono i due anni, hanno superato e continuano a superare di due o tre volte i livelli di emergenza.

E tutto questo mentre, nelle capitali dell’Occidente o nei summit , si discute ancora di strategie belliche.

   
               a cura di Marianna Micheluzzi (Ukundimana)

giovedì 17 gennaio 2013

"LA GATTA CHE LECCAVA LA CENERE" /L'ANGOLO DEL GRIOT






C’era una volta in un noto villaggio africano, prospiciente al grande oceano,dove birra di sorgo e vino di palma scorrevano a fiumi, una gatta un po’ vecchiotta, che non aveva perso l’abitudine di corteggiare tutti i gatti di passaggio nella zona, perché ripeteva a se stessa,dal momento che nessuno ormai dei vicini stava più ad ascoltarla, di sentirsi giovane e arzilla .

E lei, come non è difficile immaginare, si era prefissa, tutte le volte che le capitava l’occasione,di riuscire a smentirli.

Un giorno, per puro caso, passò dalle sue parti un bel gattone bulimico,tutto ciccia, che non disdegnava affatto crocchette tenere e saporose di cui difficilmente, in tempi d’abbondanza,era solito privarsi.

Solo che adesso le “cose” al “buongustaio” stavano andando male e perciò era stato costretto a fare fagotto in cerca di fortuna.

Lei, la “nostra”, lo notò subito (era uno straniero) e non perse l’occasione di “attaccare bottone” con lui .

Quegli ci stette, all’inizio sopratutto per celia.

Poi non sapendo dove trascorrere la notte, che ormai s’approssimava rapida, accettò d’essere ospite della sua cuccia.

E la notte, tra fusa e leccatine e arditi mugolii, passò per intero abbastanza piacevolmente.

Al mattino il gattone,che voleva essere riconoscente alla sua ospite,anche perché di suo era generoso, usciva presto a caccia di prelibatezze e ne portava ,nel rifugio, sempre in abbondanza.

Alcune erano per davvero delle preziose squisitezze, quasi introvabili.

Ma non chiedetemi come facesse a trovarle.

Fatto sta che non tornava mai  a“zampe” vuote.

La nostra gatta accumulava in dispensa il “tesoretto” e, intanto, passava il tempo a leccarsi il pelo e a rimirarsi nel suo specchio.

Uno specchio però che, con lei, temendone le assurde sfuriate, era sempre bugiardello.

Parecchi giorni trascorsero così.

Lui a caccia e lei che metteva al sicuro le provviste.

Per i giorni difficili,la furbona faceva credere a lui.

Ma, una sera, mentre consumavano il pasto, i due,tra una battuta spiritosa e una moina dietro l’altra, bevvero davvero un po’ troppa birra di sorgo, mista a vino di palma.

Anzi ne bevvero così tanta da ritrovarsi improvvisamente a non capirci più niente.

In compenso, tuttavia, erano allegri e tanto fuori di sé da riuscire a scambiare quelle che si dicono, appunto, le famose “lucciole per lanterne”.

Il gattone, infatti, molto imprudente cominciò a straparlare e fece capire alla “nostra” gatta l’autentica motivazione della sua permanenza.

L’altra rimase sulle prime un po’ basita e poi imbestialita diede sfogo a tutta la sua collera.

E cacciò , non senza violenza, l’ospite fuori della cuccia a “zampate”, aggiungendo con veemenza di non farsi mai più rivedere da quei paraggi.

Il gattone si ritrovò così di nuovo sulla strada, andati a rotoli troppo in fretta i suoi castelli in aria.

E dovette rassegnarsi ad intraprendere il cammino.

Un cammino senza meta.

Quello stesso che aveva intrapreso giorni prima.

Intanto la “nostra” vecchia gatta non mollò nulla indietro al suo ospite di ciò che aveva ben custodito in dispensa.

Semmai, ragionò tra sé e sé, appena non fu più alticcia e quindi sobria, che tutto quel ben di Dio sarebbe servito a lei e/o a chi per lei, dopo di lei.

Tutto sommato si diceva, tolto qualche piccolo fastidio, come quando il gattone si distraeva dietro le altre gattine del villaggio, che erano più giovani di lei, e lei diveniva livida di gelosia, ci aveva proprio guadagnato e del suo operato poteva, indubbiamente, andarne fiera.

Niente di più opportuno in tempi di magra.

Del gattone gabbato, ovviamente, non si seppe in giro più nulla.

E un vecchio saggio, che invece conobbe la storia, aggiunse di suo, mentre la raccontava ai nipoti: “Alla gatta che lecca la cenere (perché altro proprio non può di più e di diverso) non le affidare mai la tua farina”.





Marianna Micheluzzi (Ukundimana)



martedì 15 gennaio 2013

INDICE GLOBALE DELLA FAME 2012 / CHE COS'E' ?






L’indice globale della fame è uno strumento statistico indispensabile da consultare per acquisire i dati su fame e malnutrizione nei differenti Paesi del mondo.

E’ stato realizzato, anni addietro, da esperti dell’International Food Policy Research Institute con l’ausilio dei dati raccolti da ricercatori sul campo ed è stato pubblicato in collaborazione con l’ Ong tedesca Welthhungerhilfe e con l’irlandese Concern Worldwide.

Dal 2008 viene pubblicato anche in italiano a cura del CESVI e in collaborazione con la rete di OngLink 2007, di cui LVIA è parte.

Ogni anno l’analisi viene condotta con un “focus” tematico diverso.

Dei 120 Paesi presi in esame, i dati disponibili per lo scorso anno si riferiscono solo a 79 di essi.

E il “focus” tematico del 2012 riguarda la pressione che viene esercitata sulle risorse idriche, energetiche e agricole da parte delle multinazionali dei Paesi ricchi con l’appoggio e la complicità delle classi politiche locali, che elargiscono facili concessioni sui loro territori con il pretesto di fare cassa (esse dicono) per un buon governo della “cosa” pubblica.

Ma non è così.

Questo studio, importantissimo, risulta essere particolarmente utile per l’impostazione di progetti mirati nei PVS (Paesi in via di sviluppo).

In Italia è stato presentato al pubblico nello scorso ottobre.

    
       a cura di Marianna Micheluzzi (Ukundimana)

venerdì 11 gennaio 2013

"HOMO SAPIENS" DOPO ROMA E TRENTO ARRIVA A NOVARA / SPAZIO MOSTRE






Sta per chiudere i battenti tra due giorni, il 13 gennaio, a Trento, la mostra “Homo sapiens. La grande storia della diversità umana”.

Ma niente paura in quanto, subito dopo, essa, iniziativa davvero encomiabile, sarà ospite della città di Novara per la gioia di tutti coloro che amano la preistoria dell’umanità e sono incuriositi e attratti da ricerche documentali e studi in merito .

E ciò, almeno in Italia, è avvenuto sopratutto dopo la scoperta di Ozi, l’uomo del Brennero, riemerso dal ghiaccio e che riposa definitivamente a Bolzano e che,a suo tempo, fece tanto parlare di sé e alimentò fantasie le più disparate.

Perché allora parlarne su Jambo Africa e sollecitare chi può ad andare a visitare questa mostra?

Perché l’ allestimento ci mette finalmente dinanzi e un po’ più in concreto (stavo per usare il verbo “spiattellare”) quella espressione che solo come slogan abbiamo sentito più volte ripetere o abbiamo ripetuto anche noi stessi e cioè che cosa realmente è ed è stata (è il caso di dire) questa “unità nella diversità”.

Infatti, proprio come in una fantascientifica macchina del tempo, è possibile essere catapultati, durante il percorso della mostra, in un Africa di tre milioni e mezzo di anni fa. E lì ci spingiamo fino a Laetoli, nella lontana Tanzania, nel bel mezzo di un’eruzione vulcanica, che ci racconta che nel suo fango hanno transitato i nostri primi antenati. I “sapiens”, appunto.

E dopo “Mal d’Africa”, nome della sezione,dove i nostri antenati si affollano in mille modi e da mille luoghi diversi a venirci incontro, si salta d’un balzo all’Eurasia, perché deve essere chiaro al visitatore che “La solitudine è un’invenzione recente”,didascalia del secondo step.

Ed è qui che c’è la rievocazione della nascita della nostra specie e si narra di un “qualcosa” che arriva indietro nel tempo fino a duecentomila anni fa e della sua convivenza con altre forme umane presenti almeno fino a dodicimila anni fa.

E sorpresa ,ma proprio pochissimo sorpresa, l’homo sapiens amava molto spostarsi da un luogo all’altro e lo faceva sempre, a piedi, per centinaia e centinaia di quelli che sono i nostri chilometri odierni.

Socializzava con i nuovi incontri, quelli che potremmo definire suoi e nostri “cugini”.

Inoltre egli possedeva senz’altro la “parola” e amava la musica, che gli ha sempre tenuto compagnia nel corso di giornate e notti interminabili.

Lo testimonia ,nella mostra, il flauto ch è stato ritrovato in Slovenia nel corso di uno scavo abbastanza recente.

Lasciando per un attimo l’articolazione del percorso espositivo al piacere e alla scoperta di chi si recherà a visitare la mostra,anche per non ridimensionarlo troppo, sottolineamo semmai l’importanza dell’evento per i nostri giorni.

Un evento che lo scorso anno, nella prima edizione di Roma, fece qualcosa come duecentomila visitatori di numero.

L’homo sapiens inizia il suo viaggio, si è detto ed è noto, da una piccola valle d’Etiopia e, successivamente, per gradi, colonizza l’intero pianeta.

Ciò che dobbiamo fare nostro ,da quanto visto e osservato in mostra, è essenzialmente il concetto di forte unità biologica della nostra specie insieme alla straordinaria diversità culturale interna.

Nessuna meraviglia pertanto se, dopo quelle che si possono definire fino dalla preistoria età delle diaspore, oggi le nuove diaspore, quelle che tanto ci spaventano, capaci di creare meticciati tanto biologici che culturali, possono condurre anche a risorgenti conflitti.

E’ normale.

Tocca, dunque, a noi saper costruire un futuro migliore.

Siamo, in effetti, dei “divenienti umani” più che degli “esseri” come ci insegna la scienza e ci ricordano i curatori della mostra.

Il tema dell’unità nella diversità, letto secondo più registri, parte, infatti, da quei famosi passi nel tufo di Laetoli, in Tanzania, 3.75 milioni di anni fa e certamente andrà oltre , molto oltre, quegli altri passi , che furono importantissimi anch’essi, dell’uomo sulla Luna nel secolo appena trascorso.

I calcoli a ritroso in milioni di anni danno di certo il capogiro ma il capogiro lo procura anche solo immaginare gli scenari futuri e molto probabili di un’umanità differentissima da quella cui oggi siamo abituati.E che non sarà affatto peggiore di noi.




                 a cura di Marianna Micheluzzi (Ukundimana)

giovedì 10 gennaio 2013

GIROTONDARE / SPAZIO POESIA






Se sole fa rima con fiore

ed è gaiezza del cuore,

se sera conduce seco

ombre di un crepuscolo

maturo e senza scampo,

la notte è quella del silenzio

ritmato da preghiere confuse

che scalano le mura del limite.



   di Marianna Micheluzzi (Ukundimana)

mercoledì 9 gennaio 2013

L'ALTRO MARE / IL GIOCO DELLE PARTI / SPAZIO ARTE 2

      

                                                      Joseph Segui /Un giorno di pioggia


Musica jazz, paesaggi marini, passione amorosa, piacere sensuale, ambiguità disperante, ecco le connotazioni che esplodono in un sapiente gioco di colori “liquidi” e “aggressivi” nella rassegna di opere pittoriche dell’artista catalano Joseph Segui Rico in mostra, in questi giorni, alla Mediatèque di Chatelallion, località di mare distante alcuni chilometri dalla più nota cittadina di La Rochelle, nella Francia atlantica.

E’ un appuntamento assolutamente da non perdere in quanto tutta la pittura, e questa in particolare, nata osservando albe e tramonti sull’Atlantico è un’autentica “forza d’urto” per provare a leggere per gradi la personalità poliedrica del maestro Segui.

Il suo messaggio esistenziale, infatti, ha una valenza universale pari ( e non è azzardato l’accostamento) a quella stessa che è stata la “parola” poetica di Costantino Kavafis,il famoso poeta greco-egiziano con il quale il “nostro” condivide le comuni radici e cioè la “grecità” delle origini .

La carica espressiva del colore di Segui per certi aspetti è paragonabile ad una composizione sinfonica in cui l’alternarsi dei differenti movimenti consente armonicamente la realizzazione dell’opera compiuta.

E’ una pittura, quella di Joseph Segui, che nasce da colori puri, primari e secondari, abilmente trattati,che egli accorda così come lo strumentista esperto fa con il suo strumento.

E ciò che colpisce l’occhio dell’osservatore,attraverso il colore, è sopratutto l’emozione.

Emozione che analizzata lucidamente in seguito consente di cogliere la notevole ricchezza di richiami culturali del personalissimo bagaglio dell’artista.

Contraddittorio solo in apparenza, Joseph Segui dialoga con l’altro da lui, attraverso le sue tele, con l’intenzionalità di strappare con forza l’invisibile” al visibile in una ricerca di senso che non si appaga mai perché i “suoi” colori sono, ribadisco, come il verso di Kavafis appunto, parole di sempre.
                                                                                                  (m.m.)


 Joseph Segui "Andante-Jazz"                     



a cura di Marianna Micheluzzi (Ukundimana)                                        

"ONE LAPTOP PER CHILD " / NEGROPONTE E L'AFABETIZZAZIONE INFORMATICA PER I BAMBINI D'AFRICA






L’Ong ,fondata da Nicholas Negroponte , il cui obiettivo era quello di riuscire in tempi brevi, tramite computer, ad alfabetizzare i bambini in Africa, in questo caso in Etiopia,senza l’aiuto degli adulti, sta ottenendo, in situazione, quelle che si possono definire, per noi legati ancora alla figura tradizionale del “maestro” e alla piccola scuola di villaggio , autentiche “ meraviglie”.

Lo testimonia il materiale informatico inviato periodicamente, e cioè dopo un certo numero di giorni, circa una settimana, al MIT (Massachusetts Institute of Tecnology ) ossia tutte le memory card contenenti la documentazione di ciò che alcuni bambini etiopi, una quarantina circa, residenti nei villaggi rurali di Wonchi e Wolonchete, e dunque lontanissimi dai grandi centri, sono riusciti a realizzare non appena hanno avuto tra le mani un laptop caricabile ad energia solare.

Riferiscono coloro che hanno seguito molto da vicino il progetto di “One laptop per Child” che i bambini, dopo appena una settimana sono stati immediatamente in grado di utilizzare moltissime applicazioni e addirittura di apprendere a memoria l’alfabeto in inglese e ripeterlo ad alta voce e anche di trascrivere alcune brevi parole.

Quelli poi, i bambini più intellettualmente vivaci,maschi e femmine indifferentemente, hanno anche scoperto come usare la funzione “video” e hanno filmato alcune scene di vita della comunità

Capanne di fango, coetanei che giocano sul terreno sabbioso e uomini, padri o nonni, intenti ad accudire il bestiame, donne e madri che pestano i cereali nel rudimentale mortaio.

Cose effettivamente da non credere.

Certamente occorrerà tempo perché la comunità scientifica convalidi le esperienze fatte ma il più c’è ed è realtà.

In tutta l’Africa, a partire dall’anno 2005, due milioni e mezzo di laptop sono stati distribuiti a bambini di quaranta Paesi.

In particolare a quei cento milioni impossibilitati del tutto a frequentare la scuola.


        a cura di Marianna Micheluzzi (Ukundimana)

lunedì 7 gennaio 2013

SEGUI - KAVAFIS - SEGUI / AMATA TERRA - AMATO MARE






L’azzurro del Mediterraneo e il “rosso” fuoco e il “giallo”bruno della terra di Catalogna, che scopri nelle tele di Joseph Segui, ben si sposano, se non sei un osservatore distratto e capace di attenzione riflessa, con le "parole” a colori, e cioè i noti versi del “greco-egiziano”, e quindi mediterraneo, Costantino Kavafis.

Quella luce mediterranea, appunto, inconfondibile che ridesta la memoria del “corpo”- proprio come recita il poeta .E, con essa, emozioni che si credeva non fossero più.

E questo perché essi, Segui e Kavafis, esistono, solo e soltanto : il primo dentro i suoi “colori” e il secondo nella sua “poesia”.

Sono i due, senza dubbio, le icone di una cultura che dal  caldo“mare nostrum” spazia lungo più direttrici di marcia per abbracciare mondi altri e differenti.

Non è un accostamento ardito,Segui-Kavafis, perché tutti e due, tanto l’artista che il poeta,oltre a una vocazione quasi monacale e,oserei dire anche un po’ maniacale per la propria arte, fondono con cultura e maestria, per radici e remota sostanziale formazione , l’antico con il moderno.

E così ci hanno narrato  e  narrano dell’ uomo /donna di sempre, delle sue passioni, dei suoi turbamenti, delle sue angosce, delle sue aspirazioni.

Raccontano, in definitiva, un archetipo.

La loro, a dirla senza tema di smentita, è un’epica a tutto tondo.

L’uomo ellenico di ieri diviene l’uomo europeo dei nostri tempi sebbene permanga eterno il susseguirsi frettoloso e inarrestabile delle stagioni e delle mode che , in quest’ottica, altro non sono che puri epifenomeni.

Nei colori di Segui “leggi” che l’ “arte” è necessità di vita, nutrimento, pane e companatico quotidiano, proteine (e lo è e deve esserlo per tutti, anche e soprattutto, per l’uomo della strada), così come nei versi di Kavafis, invece , la “memoria”, che è il filtro della nostalgia, porta all’impatto, e non solo emotivo, con l’irreversibilità di tempo e di spazio, di essere e di esistenza.
                                   (m.m.)








         I Sapienti
Gli uomini sanno le cose presenti.//Gli dei conoscono quelle future, /assoluti padroni d'ogni luce./Ma, del futuro,avvertono i sapienti /ciò che s'appressa.Tra le gravi cure /degli studi, l'udito ecco si turba d'un tratto.A loro giungono le oscure /voci dei fatti che il domani adduce.Le ascoltano devoti. Fuori, per via, la  turba /non sente nulla, con le orecchie dure.
               C.Kavafis.



         La Tavola  Accanto

Avrà ventidue anni./Ma sono certo che, quasi altrettanti /anni fa, l'ho goduto, io, quello stesso corpo./Non è delirio erotico./or ora sono entrato :/di bere troppo non ho avuto tempo./Io l'ho goduto quello stesso corpo./Non mi ricordo dove - e che vuol dire ? / Oh,adesso sì ! Alla tavola accanto s'è seduto : /ogni gesto ravviso. E, di là dalle vesti,/nude rivedo le dilette membra.
              C Kavafis



            
                            Voluttà
  
Di gioia mi profuma la vita la memoria /dell'ore che fu mia la voluttà che volli./E di gioia profuma la vita mia lo schifo /d'ogni abitudinaria voluttà.
                                           C Kavafis


ndr.) Le opere pittoriche a corredo del testo sono del pittore catalano Joseph Segui
         

             a cura di Marianna Micheluzzi (Ukundimana)

"BULIMIA" / SPAZIO POESIA






Guarda

la vacuità

la caducità

il quasi nulla

il limite

dei gesti.

Preferisci

il silenzio

a parole

imbellettate.

Anoressico

enigma

talora è

l’irrazionalità

del quotidiano

trionfo

dell’effimero.

Ansia di castrazione

Inappagata.
 

         di Marianna Micheluzzi (Ukundimana)


domenica 6 gennaio 2013

STORIA DI NATHALIE /IL MAPPAMONDO






Ndim è un grosso e modestissimo villaggio rurale della Repubblica Centrafricana in cui vive Nathalie,una bambina di appena otto anni, la sua mamma,che è casalinga, il suo papà, che fa mille mestieri e si arrangia sempre come può e, ancora, i suoi due fratellini più piccoli, i gemelli ,Cesar e Remo,che di anni però ne hanno solo quattro .

Nathalie nei giorni delle festività natalizie con la sua mamma e i fratellini si è recata molto spesso, macinando parecchi chilometri nella polvere, alla missione cattolica della vicina città per partecipare alle funzioni. Ed era felicissima quando padre Jacques, chiamandola per nome, la indicava e la sceglieva per cantare nel coro oppure per farle indossare la veste rossa da chierichetta.

Poco prima della ricorrenza dell’Epifania il missionario, una mattina, dopo la Santa Messa, aveva pensato di radunare i bambini per mostrare loro delle diapositive che raccontassero dell’Europa,della sua cultura e delle sue tradizioni e , soprattutto,delle capitali europee.

Quasi una lezione di geografia.

E Nathalie amava molto quei momenti,anche se erano piuttosto rari, in quanto le consentivano, sulla via del ritorno o di notte, nel suo lettino, di poter fantasticare di quando, da grande, sarebbe anche lei andata in giro per il mondo a conoscere altra gente e altre realtà da quelle consuete del suo villaggio, che pure amava.

Tra le tante immagini che i bambini radunati stavano visionando c’è quel giorno, guarda caso, anche quella di Roma, dei suoi straordinari monumenti e della festa della Befana in piazza Navona.

Tantissimi bambini allegri e festosi, palloncini colorati, zucchero filato ,dolciumi a iosa, musica, girotondi e balli assieme a questa “singolare “ vecchina piuttosto brutterella, che orchestrava tutta la sarabanda.

Padre Jacques poi, che a Roma era stato per i suoi studi parecchi anni, con un pizzico di nostalgia pensa bene di arricchire di particolari personali il racconto dell’immagine e Nathalie comincia, già da quel momento, a sognare ad occhi aperti.

Ma cosa sogna Nathalie?

Una volta Nathalie aveva visto, per caso, su una vecchia rivista , come quelle che i missionari di solito consentivano ai bambini di utilizzare per ritagliare e fare dei collage, una bambina bianca che, nella sua raffinata cameretta di un condominio di città,sulla scrivania, aveva tutto per sé un bellissimo mappamondo, che poteva, all’occasione, anche illuminarsi.

Nathalie aveva strappato e portato via quella pagina quasi come una ladra e ogni tanto, a casa sua,la riguardava.

Un giorno ne aveva parlato anche con la sua mamma e aveva espresso timidamente il desiderio di poter possedere magari un mappamondo così anche lei.

Anche se poi quanto a illuminazione c’era poco da sperare per i “globi illuminati”, perché al villaggio la corrente mancava spesso e volentieri e di sera tutte le faccende si compivano esclusivamente a lume di candela.Anche i compiti per la maestra Jeanine.

Ma adesso veniamo a noi e a quell’oggi di qualche anno fa.

Nathalie sa ormai (l’ha visto e l’ha confermato padre Jacques) che la notte della Befana i bambini bianchi ed europei ricevono doni, specie se sono stati buoni.

E anche a lei, a Nathalie che però ha la pelle d’ebano, piacerebbe, e proprio tanto, riceverne uno.

Magari, per esempio, l’agognato “mappamondo” per poter fare in segreto i suoi fantastici viaggi,tutte le volte che vuole, facendo roteare la sfera con la piccola mano e puntando il dito sul nome della città desiderata.

S’addormenta comunque fantasticando mondi lontani e il suo sonno è piuttosto profondo come quello, appunto, dei bambini “buoni”, che di giorno hanno tanto giocato sotto il sole cocente fino a sfinirsi e che, tutto sommato, hanno compiuto anche i loro doveri, ubbidendo ai genitori.

E cosa accade, secondo voi, al suo risveglio la mattina di quel 6 gennaio?

In terra, accanto al suo lettino, c’è un piccolo mappamondo,dell’altezza di non più di quindici centimetri. Forse.

Sapete di quelli che, rovesciandoli, hanno alla base anche un temperamatite per i pastelli(beati chi ce l’ha i pastelli !!!)) come quelli dei nostri tempi E cioè tanti anni fa.

E poi, ancora, una scatola di gessetti colorati per disegnare dappertutto(anche senza carta), e con tanta fantasia, ogni cosa che potesse venirle in mente.

Mamma Befana, la “sua” mamma, la mamma di Nathalie, aveva rotto, infatti, il salvadanaio di creta che era in dispensa e aveva cercato di compiere, a suo modo, un piccolo “miracolo”per la sua bambina senza fare mancare le caramelle a liquirizia ai due monelli di Cesar e Remo,di cui si sapeva che erano particolarmente ghiotti e le cui bucce avevano invaso già tutta l’unica stanza della casa in un breve lasso di tempo.

Quello che io ricordo, oggi, sono gli occhi brillanti di Nathalie e quelli con i “lucciconi” della sua mamma.

Buona Befana a tutti !

   
   di Marianna Micheluzzi (UKundimana)







sabato 5 gennaio 2013

MAGI "UOMINI COME NOI" / IN ATTESA DELL'EPIFANIA






“De’ Regi Baldassar, Gaspar, Melchiorre / scuotesi la sapienza, e sono anch’essi / del fulgid’astro indagatori ansiosi : / Celeste lume a rintracciar li porta / su le sacrate carte, / già vi passan le notti, e i giorni interi, / e ormai son certi che di un Dio fatt’uomo / in terra sceso sia cotesto un segno.”

( Giacomo Leopardi- Recanati ,1809 )


           a cura di Marianna Micheluzzi (Ukundimana)

giovedì 3 gennaio 2013

FINIS TERRAE /SPAZIO POESIA




E il caldo-oceano mare


quello che intravedi

e  e che tu chiami orizzonte

lo abbracciò con violenza.


E come calda vagina

di donna lo accolse

e lo ricoprì pari a un sudario.


  Marianna Micheluzzi (Ukundimana)




Il dipinto in alto, a corredo del testo, è dell'artista spagnolo Joseph Segui


mercoledì 2 gennaio 2013

PENSIERI POLITICAMENTE "SCORRETTI" /READING E GENESI DI "RICORDI DI UN ANGELO SPORCO " DI H.MANKELL






“Vivo in un mondo nero in cui i bianchi consumano le proprie energie ingannando sia se stessi che i neri, pensò. Sono convinti che gli abitanti di qui non se la caverebbero senza di loro, e che i neri abbiano meno valore perché credono che nei sassi e negli alberi alberghino gli spiriti. Ma i neri, a loro volta, non capiscono come si possa maltrattare un figlio di Dio al punto da inchiodarlo a una croce. Si meravigliano dei bianchi che vengono qui animati da una tale frenesia che nel giro di poco tempo soccombono al cuore, che non riesce a stare al passo nella loro caccia a potere e ricchezze. I bianchi non amano la vita. Amano il tempo, e ne hanno sempre troppo poco.”


               


L’input per romanzo di Henning Mankell nasce da una conversazione avvenuta, per caso, con un suo amico e scrittore di “cose” africane e di storie d’Africa , tale Tor Sallstrom.

E’ proprio l’amico che riferisce a Mankell di un documento rinvenuto nel vecchio archivio coloniale di Maputo,all’epoca Lorenço Marques, nel quale c’è traccia di una donna svedese, realmente esistita e lì residente ma sopratutto grande contribuente in materie di tasse in quanto ricchissima.

E che sia giunta,ai primi del ‘900, fin lì è possibile,sostiene lo stesso Sallstrom, perché le navi cariche di legname svedese,dirette in Australia, facevano sempre sosta in Mozambico per i normali rifornimenti. E poi proseguivano.

E, molto spesso, su quelle navi c’erano anche donne, impiegate come cuoche di bordo.



Un messaggio emerge con chiarezza da tutto il racconto di Mankell ed è che avidità e menzogna sono connotazioni prevalenti dell’agire dell’essere umano. Bianco o nero indifferentemente. Vecchio e nuovo “colonialismo”. Ieri e oggi. E’ tutto uguale. Non cambia assolutamente niente.

Hanna o Ana (una volta inculturata nel luogo), la protagonista, donna giovane e ingenua, e anche molto povera all’inizio del racconto, ne fa la scoperta per gradi, attraverso incontri e storie personali, e diviene, gioco forza, suo malgrado, adulta.

Nella post-fazione Mankell dice molto chiaramente che il suo racconto è basato sul “poco” che sappiamo e sull’enorme quantità di cose che non sappiamo.

Questo, infatti, è ciò che mette in moto, sempre, uno scrittore “autentico” quando inizia a dare vita ai suoi personaggi e l’inserisce, attraverso vicende più o meno complicate,e con più o meno successo, all’interno di una “storia”.


        a cura di Marianna Micheluzzi (Ukundimana)





martedì 1 gennaio 2013

JACARANDA / SPAZIO POESIA




La vela triangolare solca lontano

le acque nervose dell’oceano-mare che

col sole già in alto “io” osservo dal

riparo dell’albero di jacaranda.

Mentre la “tua” mano accarezza la guancia

in un gesto di tenerezza e in un silenzio

che è capace di racconto.





Marianna Micheluzzi (Ukundimana)