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sabato 31 marzo 2012

IL GIOCO DEI COLORI CONTINUA / LEGGERE POESIA



IL GIOCO DEI COLORI CONTINUA

Rosso sangue.
Sangue di fantasie erotiche malate.
Di bugie dette a se stesso dinanzi
ad uno specchio opaco.
Maieutica provvidenziale, forse.
Ombre che avanzano con piede malfermo
in un vortice fumoso
mentre il baratro s’approssima.
E il giudizio è sempre più vicino.
Fiochi lamenti e imprecazioni.
Qualche pianto.
Stupro morale :sogno o realtà ?

LEGGERE POESIA / ROSSO SANGUE



ROSSO SANGUE

L’uomo nero sa cosa vuol dire essere deriso
e battuto a colpi di verga nel cuore della notte.
Conosce il dovere di tacere sotto una cascata
di sputi e di botte per un frutto rubato o forse
un saluto mancato.
Come lo sa anche la giovine vergine violata che
adesso è passatempo e ludibrio di sgherri avvinazzati.
Non lo sa il bambino –soldato, che imbraccia,
strafatto d’erba, un vecchio fucile e uccide suo fratello.
Appesa all’albero ogni vittima di linciaggio
é dunque “croce” di vita in cerca di braccia
accoglienti e riparo certo.
Questa è passione di Cristo.
Questa è sofferenza dell’umanità.

CONTAMINAZIONE BIZETTIANA ? /LEGGERE POESIA






Contaminazione bizettiana?

Rosso passione , nero pece, grigio fanghiglia, giallo sabbia,
rosa slavato, sole, acqua di mare, nuvole basse, vento, sussurri.
Campiture ampie e velature,sogni azzardati e nostalgie represse.
Interrogativi senza senso per l’uomo della strada.

Come dal cestello della tombola natalizia anche le parole
talora fuoriescono e si mescolano.
E stavolta è grammatica dei colori.

Non si gioca più.
Sono frammenti di discorso.


Intanto lei, Carmen, civettuola e passionale creatura,
si staglia decisa e imponente per andare incontro
con passo di danza al suo demiurgo e provare a sedurlo.

Inizia un dialogo fitto, il dialogo vero tra opera e artista
di cui mai nessuno saprà.
Senza infingimenti.

Ma libertà è coessenziale all’Arte.
E il Male non è negazione di Dio.
Giuda insegna.












giovedì 29 marzo 2012

I NUMERI DELLA MISSIONE/ MA IL FUTURO DOMANDA OPERAI NELLA VIGNA



Nell’ultimissimo numero di Missioni Consolata, quello appunto di aprile 2012, l’ editoriale del direttore. p. Gigi Anataloni, mette il dito nella piaga a proposito di missionarietà e missionari oggi perché, elencando una sequela di cifre, p. Gigi invita a riflettere sulla non troppo remota eventualità che il “missionario” finisca, e a breve, con l’essere sul serio una specie in via di estinzione.
Se a questo aggiungiamo poi il secolarismo dilagante,occultato dal volutamente malinteso slogan “laico è bello” dei nostri tempi moderni, quasi una moda, la frittata ,come si dice, è fatta.
Contro la missionarietà intesa anche come percorso di sviluppo e di pace tra i popoli, grazie alla forza dell’ ”annuncio”, avremo allora sì definitivamente la vittoria , e a tutto campo, della secolarizzazione.
Positivo e negativo incluso.
E per negativo va intesa la sottrazione per sempre, a chi la domanda ,di quell’esigenza umanissima, e quindi insopprimibile, di ascolto, di condivisione e di fratellanza schietta, che in certe circostanze della vita soltanto un sacerdote, un religioso, un missionario o una missionaria, può dare.
Immaginate per un attimo tutte le nostre chiese chiuse. Non ci sono più sacerdoti.
Le nostre chiese sono divenute semplici e pregiati esempi di architettura sul territorio, esclusivamente da visitare. Potrebbe succedere.
Non ne parliamo se poi ad avere bisogno di quel confortevole ascolto sono uomini ,donne, anziani e bambini ,che in terre lontane, lottano quotidianamente, tra una molteplicità di stenti, per la sopravvivenza e, spesso con evidenti scarse prospettive di un futuro migliore.
Diceva Giuseppe Allamano, fondatore dei missionari e delle missionarie della Consolata, che la missionarietà è la perfezione del sacerdozio.
Padre Gigi ce lo ricorda ma, a ben rifletterci, è la pura verità.
Una verità testimoniata da esempi degli anziani e preziosi missionari che, nonostante la non più verde età, sono ancora sul campo nelle missioni in Africa o in America Latina e anche da coloro che sono relativamente più giovani.
Sulla base di dati in possesso dell’Istituto, quelli dello scorso anno (2011), l’età media dei missionari della Consolata, ad esempio, è attualmente di sessantasei anni.
E contro i 364 missionari italiani dell’anno passato, facenti parte dell’Istituto, oggi il numero è di 356, di cui uno ancora studente di teologia e un novizio.
Al di là dei numeri, grandi o piccoli che siano (meglio grandi ovviamente!), è importante che la vocazione missionaria (missio ad gentes) non scompaia perché, al di là di ciò che dicono o pensano i detrattori, la”missione” è una ricchezza di spiritualità che non ha pari. Spiritualità che, guarda caso, non si bea di sole altisonanti parole o passeggia su morbidi tappeti quanto invece è abile, senza risparmio di forze, a macinare chilometri e chilometri nella polvere di strade sterrate e a rimboccarsi le maniche per aiutare il fratello meno fortunato.
Andare in missione allora, per vedere e per credere, bypassando le chiacchiere da salotto. E molti, tra i laici laicissimi, lo hanno fatto e lo fanno ancora oggi non solo per incontrare il”diverso” o per dare un mano, un aiuto concreto ma anche per vedere come sono spesi i propri soldi mandati alle missioni. E anche questo è giusto.
Conclusione?
Stando così le cose e reclamando, con una certa urgenza, operai la “Vigna” del Signore, come Chiesa locale, perché non chiedersi senza tramandare troppo - è sempre p. Gigi a suggerirlo –che cosa ci sta succedendo? Perché non siamo più capaci di rispondere ad una chiamata importante come quella della “missione”? Gli agi di casa nostra ci fanno forse temere di non essere all’altezza di reggere l’incontro-scontro con le vere povertà”forti”?Quelle che fan tremare le vene e i polsi, perché inimmaginabili al riparo delle nostre confortevoli abitazioni da “primo”mondo?
Probabilmente sì.
Come rimediare in quanto comunità cristiana e quindi, per definizione, missionaria a tutto questo?
Avvicinarsi a quello che è il mondo missionario attraverso coloro che ne sono o ne sono stati in qualche modo attori . Attraverso letture e tutti quei sussidi, oggi abbondanti rispetto ad un tempo, che ci possono far conoscere, comprendere, innamorare del”mestiere”, si fa per dire, più bello del mondo.
Perché le missioni, è bene ricordarlo, non sono più solo impegno a diffondere la conoscenza del Vangelo, che pure è la priorità, ma anche centri di sviluppo e di formazione, attraverso l’insegnamento e, quando possibile anche l’assistenza medica, alle popolazioni più povere del nostro mondo abitato.
Un grosso impegno dunque nel sociale, cui fare tanto di cappello, perché significa anche, con la dovuta competenza e la dovuta responsabilità, praticare un po’ di giustizia lì dove essa è generalmente assente e molto spesso addirittura sconosciuta.



Marianna Micheluzzi (Ukundimana)

mercoledì 28 marzo 2012

SONO FIGLI DEL MALE di Marianna Micheluzzi



SONO FIGLI DEL MALE


Sono figli del male.
Sono figli delle tenebre.
Sono figli della perversione intellettuale.
Maschio o femmina
nascono dallo stesso seme
che dà vita ad un albero
i cui frutti sono amari.
E colui o colei che osserva
comprende finalmente perché
serpente e mela
se all’inizio, invece, tutte le cose erano buone.
Anche questo è mistero.

mercoledì 21 marzo 2012

HO CERCATO LE PAROLE PER DIRLO /SPAZIO POESIA




HO CERCATO LE PAROLE PER DIRLO

Ho cercato le parole per dirlo ma non le ho trovate.
Ho cercato di provare a dissipare le ombre fosche
di una notte troppo lunga
perché tu possa ritrovare i tuoi colori.
Quelli che hai sempre amato.
Impossibile.
Fatica di Sisifo.
La lontananza è un macigno.
Troppe api-regine ronzano intorno e impediscono il volo.
E guardie armate anch’esse sbarrano il passo.
La voce, che vorrebbe gridarlo,afona si spezza
in gola.
E il giorno dopo ripropone il giorno prima.
Mentre la vita scorre proprio come il fiume vorticoso
ricco di d’insidie e trappole banali in cui siamo immersi
e che, suo malgrado, andrà ad incontrare il mare.

           di Marianna Micheluzzi

venerdì 16 marzo 2012

LA NUOVA STAGIONE di Marianna Micheluzzi



LA NUOVA STAGIONE

La nuova stagione illumina le fioriture
effimere del giardino mitigando così
le ferite dell’essere.
Con essa amori vecchi e nuovi
aiutano a durare chi spera ogni volta
che un nuovo inizio stia per cominciare.
Il cammino giornaliero è di certo per luoghi noti
ma l’ignoto dietro l’angolo non cessa
d’essere richiamo d’upupa e sirena ammaliatrice.
Qualche gabbiano rotea alto nel cielo e a tratti
si posa a gara con le tortore rubando spazio verde
alla merla che la fa da padrona.
Una musica ritmata s’ode in lontananza.
Le pagine del libro le chiude
una folata improvvisa di vento
quella che non ti aspetti.
Mentre la consueta voce è richiamo
che interrompe il filo dei pensieri e tarpa
le ali a fantasie che hanno già raggiunto
oltre il mare terre lontane e il volto amato.

giovedì 15 marzo 2012

LE DONNE IN VIOLA di Marianna Micheluzzi



LE DONNE IN VIOLA

Chi sono le donne in viola ?
Sono quelle che non te la danno
ma sanno amare.
Sono quelle che pari alle vedove
bianche di un tempo che non è più
attendono e sognano
anche se sanno che il sogno non è realtà
e il risveglio è soltanto tempesta del cuore.
Sono quelle che fantasticano
sulla foto del coccodrillo “Gustave”
sfaccendano e qualche volta piangono.
Mentre il bimbo frigna chiedendo attenzione.
Sono anche quelle che passano dal pianto al riso
perché sono abili attrici.
E tutto perché la commedia umana della vita
che ha spesso un copione imprevedibile
anche quando parrebbe donarti le gioie agognate
stravolge all’improvviso le righe del testo
mutando il finale.

domenica 11 marzo 2012

PLAQUETTE di Marianna Micheluzzi



Corpi vecchi e grinzosi
si scatenano in un “sabba”
violento in riva al mare
mentre si consumano gli ultimi fuochi
della stagione.
Un gravido raggio di sole
copula intanto con il grigio
dell’oceano.
E’ brivido.

martedì 6 marzo 2012

Il pozzo di Sichar /L'amica "italiana" risponde a Paul















Carissimo Paul, pur condividendo buona parte dei tuoi interrogativi sulle responsabilità della Chiesa di Roma e dei preti e dei missionari operanti in Rwanda all’epoca di quel inenarrabile tragico evento, che è stato il genocidio(circa un milione di morti), in cui, per altro , tu hai perso addirittura l’amata compagna della tua vita, io ti dico subito che è difficile distinguere tra colpevoli e innocenti quando in un Paese si vive, per motivazioni strettamente politiche e ideologiche, un periodo di grande confusione come in quegli anni.
Direi che è quasi inevitabile che possa accadere il peggio.
La Germania di Hitler, la Russia di Stalin,la Spagna di Franco,il Portogallo di Salazar e tante altre realtà che non si contano, erano Europa e non Africa. Eppure di morti ce ne sono stati. E anche tanti.
E quegli anni non sono poi molto lontani da noi nel tempo.
Allora io, per risponderti, inizio con il proporti l’immagine di Gesù, quel Gesù che a te piace poco o nulla (lo so), al pozzo di Sichar, in terra di Samaria.
Una terra abitata da gente fortemente disprezzata dai giudei.
Lì, in quel punto preciso, Gesù domanda da bere ad una donna (Gv.4,1-26).
La donna è immediatamente stupita di questa confidenza spontanea e risponde prontamente al suo interlocutore :” Come mai tu che sei giudeo, chiedi da bere a me, che sono samaritana?”
Fermiamoci qui, caro Paul.
Perché?
Per dirti che il missionario, prete o religioso che sia, se lo è sul serio, è colui che si siede sempre, sotto qualunque cielo, con l’altro al pozzo della vita.
Perché non è e non deve essere,se è lì per condividere e promuovere la vita, mai l’uccello solitario sul tetto, che se ne sta a guardare e se ne lava le mani di quanto accade intorno a lui.
Allora, come è potuto succedere che, l’ annunciatore di un messaggio d’amore, sia divenuto complice di un efferato delitto?
Solo gli “egoismi” rendono gli uomini portatori di una cultura di morte.
E questi egoismi io li identifico appunto con le ideologie di qualunque colore o appartenenza politica esse siano.
Con la politica e le ideologie bisogna tuttavia convivere .
Noi non siamo puro spirito, finché almeno abbiamo un corpo e dobbiamo attraversare, nel bene e nel male, la quotidianità del vivere.
La missione della Chiesa non può più, dopo quanto è stato scritto, discusso, assimilato, in seguito al Vaticano II, essere concepita come una lodevole e accessoria opera di misericordia in territori lontani, dove ci spinge emotivamente il desiderio tutto umano di soccorrere chi è in difficoltà e ha molto meno di noi.
Non lo è più perché chiunque avverta in cuor suo questa spinta, deve rimboccarsi le maniche, una volta sul posto, e farsi egli stesso uno di quelli presso i quali è stato mandato.
Abbattere steccati pretenziosi, saper leggere il contesto in cui si è calato e agire per il bene di tutti indistintamente,lasciandosi alle spalle il “vecchio” uomo o la vecchia donna ,se si tratta di una donna, è questo , solo questo, il compito suo.
Diversamente avrebbe potuto e dovuto scegliere di fare altro nella vita.
E poiché la complessità del quotidiano, in un mondo che corre troppo in fretta e lascia indietro chi non ce la fa, è presente oggi ovunque, tanto nelle città quanto nei villaggi rurali dei paesi in via di sviluppo, che si tratti di Africa, Rwanda nel tuo caso, di America Latina o di Asia, il protagonismo e la contrapposizione del missionario con la gente e il contesto in cui opera non hanno senso alcuno e sarebbero gli atteggiamenti i più sbagliati possibili.
Allora ritornando al Rwanda del ’94, e ai fatti politici del tempo, è giusto ricercare le responsabilità di chi le ha avute e le ha disattese in pieno, fino al punto di farsi complice di una cultura di morte ma non bisogna dimenticare chi, e ci sono stati, si sono spesi per salvare vite umane.
E lo hanno fatto.
Ed erano preti e missionari.
Tu non li hai incontrati, forse.
Ma questo non significa che non operassero, magari, nel nascondimento.
E tu non puoi saperlo.
Oggi la riconciliazione è indispensabile tanto in Rwanda quanto in altre realtà africane ,martoriate da continue guerre civili, di cui apprendiamo.
Penso al Congo stremato ma anche, da esempio, alla Costa d’avorio e alla sua recente mattanza o a quello che potrebbe, a breve, accadere in un Senegal, dove l’ingordigia del potere di un Wade è illimitata.
Il problema, secondo me, è sempre il “come” della riconciliazione.
Passare un colpo di spugna, quando ci sono stati morti in famiglia, da una parte e dall’altra, non è cosa facilmente praticabile.
Il veleno delle ideologie lascia purtroppo anche questi rigagnoli .
Io posso dirti, concludendo, che fede e politica possono incontrarsi per il bene dell’umanità.
A patto però che la fede in Gesù, se riesci ad incontrarti con Lui, non venga mai letta come un rifugio in un mondo ultraterreno (il Regno ha inizio qui ed ora) e quindi in un’alienazione dalla vita presente.
Grazie ad essa, alla fede intendo, è più agevole avere un giudizio nuovo sulla realtà e quindi sulla Storia, dribblare certi ostacoli apparentemente insormontabili,e favorire lo sviluppo di una cultura di pace ovunque noi ci troviamo.
Ovviamente quella pace che è praticabile tra gli umani che, si sa, non sono mai perfetti.
Come perfette non sono mai neanche le istituzioni.
Perfettibili, però, certamente sì.
Applicando, appunto, con intelligenza e senza pregiudizi di sorta, la ricetta della “buona” volontà.

Un abbraccione

La tua amica “italiana”

lunedì 5 marzo 2012

Kigali(Rwanda) Cara amica italiana....









Cara amica italiana, io africano, e per giunta ruandese, considero da sempre la presenza dei tuoi amici missionari in Africa una componente decisamente ingombrante all’interno della nostra società e che ricorda, comunque, per certi versi, il vecchio colonialismo.
Anche se riesco ad apprezzare quelli tra loro (molto pochi in verità) capaci di fare realmente del bene a quelli che incontrano sul proprio cammino, resto scettico.
Proprio come dici tu, voglio essere obiettivo e praticare i cosiddetti distinguo, per non fare di tutta l’erba un fascio.
E qualche volta, ad essere sincero, nel mucchio, per caso, devo ammettere che, magari, mi è capitato di trovarne qualcuno.
Ma proprio uno,sai. “Rara avis”.
E lo stesso, credimi, non ho fatto salti di gioia.
Ti ricordo che il bilancio della presenza missionaria, almeno in Burundi, così come in Rwanda e anche in Congo, è stata un autentico disastro per noi africani.
Da sempre.
E mi riferisco in particolare proprio all’evangelizzazione, se i risultati sono stati poi, nel corso degli anni successivi all’ arrivo, quelli delle feroci guerre tribali tra hutu e tutsi in Burundi,nel corso delle quali io, ad esempio, ho perso mia moglie, massacrata di notte tempo a colpi di machete, del terribile genocidio del ‘95 in Rwanda e di quello che ancora vediamo accadere oggi in Congo e che non cesserà , di sicuro, in tempi brevi.
Le guerre tribali, prima dell’avvento del colonialismo,ad inizio del secolo passato, erano molto rare se non addirittura inesistenti.
Poi da noi, in Rwanda, a sconvolgere una società davvero pacifica, sono arrivati prima i tedeschi e successivamente i belgi.Quest’ultimi i peggiori in assoluto.
E le cose hanno subito preso una bruttissima piega.
Perché?
Perché i nuovi arrivati hanno favorito un’etnia a discapito di un’altra e sono cominciate le contrapposizioni tra coloro che un tempo, invece, vivevano pacifici e sereni come fratelli.
Il famoso adagio latino del “divide et impera”, i colonizzatori, accanto alla politica di sfruttamento sistematico di uomini e di risorse, lo conoscevano bene.
Se chiedi a qualunque africano, quale che sia stato il “suo” colonizzatore, il francese,l’ inglese, il tedesco, l’olandese o il belga, egli ti dirà sempre la stessa cosa.
I preti, i missionari, al seguito degli eserciti occupanti, avrebbero dovuto portare amore, fratellanza, concordia e quindi pace.
Così recita il Vangelo.
Ma così ,almeno da queste parti, non è mai stato.
E la cosa peggiore è che quando anche oggi, m’imbatto casualmente in essi, i preti intendo, e provo ad impostare un discorso serio in merito, è per me come battere la testa contro un muro di granito, perché non c’è modo alcuno di farli ragionare e di poter avere da loro una spiegazione chiarificatrice.
Sono più fondamentalisti dei fondamentalisti laici europei.
Il paternalismo di maniera è la loro arma di ricatto.
E il nero resta sempre quell’essere inferiore, che capisce poco, che deve ascoltare, farsi guidare e, dunque,sostanzialmente obbedire.
Ma i tutsi ruandesi, intelligenti e orgogliosi quali sono da generazioni, sono stati e sono molto poco obbedienti.
E questo, a differenza degli hutu, che invece sono molto più docili e quindi più manipolabili.
Ecco allora che la Chiesa di Roma perseguita i primi e blandisce i secondi e se li sceglie come alleati.
E’ cosa vecchia.
E anche questo è stata causa del genocidio del ’95, quando circa un milione di tutsi ruandesi sono stati ammazzati come bestie dai loro fratelli hutu , dopo una martellante campagna politico-ideologica, sostenuta anche dai preti, preti africani e non, preti ruandesi e non.
E la propaganda anti-tutsi, soft, continua anche oggi. Anche mentre scrivo. Puoi giurarci
La Chiesa difende Victoire Ingabire e Seromba, che odiano i tutsi, specie quelli attualmente al potere.
E non s’interroga affatto su questo” suo” appoggio acritico.
Non potrebbe essere diversamente visto che ha protetto e coperto, prima, durante e dopo, anche la fuga di preti africani assassini, i quali, non si sa in nome di quale “dio ”, hanno attirato a morte certa i propri fedeli nelle chiese del Rwanda, per poi consegnarli agli aguzzini senza scrupoli del momento.
Anche se oggi ,ufficialmente, in Rwanda non esiste più alcuna distinzione di tipo etnico tra hutu e tutsi,a partire dagli stessi documenti d’identità e, anzi, chi la praticasse manifestamente, una volta scoperto, è punibile anche con il carcere oppure con una grossa ammenda, io mi domando :
come posso io, tranquillo, guardare i miei familiari e i miei amici, e non sentirmi accapponare la pelle, pensando che, Vangelo alla mano, questi ministri del culto potrebbero essere dei replicanti di quelli di una volta ?
Prova tu a dissipare, se ti riesce, i miei dubbi.
Oppure chiedi aiuto ad uno dei tanti tuoi amici missionari in Africa.
Essi parlano giustamente di riconciliazione, specie dalle loro riviste, quando si riferiscono al Rwanda.
E’ possibile davvero un’autentica riconciliazione quando a mediare non siano gli stessi ruandesi e senza le interferenze di una “cultura” altra?
E poi ricordati comunque, amica mia che, a certi livelli palesemente “alti”, politica e religione sono sempre andate e vanno a braccetto.
Sono , in definitiva, due buoni “compari”.
Si sostengono, insomma, a vicenda.
Detto ciò,attendo, adesso, lumi da te, carissima, per sciogliere il “garbuglio”.
Perché a me proprio non riesce.

Tuo amico “di penna”, Paul.