Nell’ultimissimo numero di Missioni Consolata, quello appunto di aprile 2012, l’ editoriale del direttore. p. Gigi Anataloni, mette il dito nella piaga a proposito di missionarietà e missionari oggi perché, elencando una sequela di cifre, p. Gigi invita a riflettere sulla non troppo remota eventualità che il “missionario” finisca, e a breve, con l’essere sul serio una specie in via di estinzione.
Se a questo aggiungiamo poi il secolarismo dilagante,occultato dal volutamente malinteso slogan “laico è bello” dei nostri tempi moderni, quasi una moda, la frittata ,come si dice, è fatta.
Contro la missionarietà intesa anche come percorso di sviluppo e di pace tra i popoli, grazie alla forza dell’ ”annuncio”, avremo allora sì definitivamente la vittoria , e a tutto campo, della secolarizzazione.
Positivo e negativo incluso.
E per negativo va intesa la sottrazione per sempre, a chi la domanda ,di quell’esigenza umanissima, e quindi insopprimibile, di ascolto, di condivisione e di fratellanza schietta, che in certe circostanze della vita soltanto un sacerdote, un religioso, un missionario o una missionaria, può dare.
Immaginate per un attimo tutte le nostre chiese chiuse. Non ci sono più sacerdoti.
Le nostre chiese sono divenute semplici e pregiati esempi di architettura sul territorio, esclusivamente da visitare. Potrebbe succedere.
Non ne parliamo se poi ad avere bisogno di quel confortevole ascolto sono uomini ,donne, anziani e bambini ,che in terre lontane, lottano quotidianamente, tra una molteplicità di stenti, per la sopravvivenza e, spesso con evidenti scarse prospettive di un futuro migliore.
Diceva Giuseppe Allamano, fondatore dei missionari e delle missionarie della Consolata, che la missionarietà è la perfezione del sacerdozio.
Padre Gigi ce lo ricorda ma, a ben rifletterci, è la pura verità.
Una verità testimoniata da esempi degli anziani e preziosi missionari che, nonostante la non più verde età, sono ancora sul campo nelle missioni in Africa o in America Latina e anche da coloro che sono relativamente più giovani.
Sulla base di dati in possesso dell’Istituto, quelli dello scorso anno (2011), l’età media dei missionari della Consolata, ad esempio, è attualmente di sessantasei anni.
E contro i 364 missionari italiani dell’anno passato, facenti parte dell’Istituto, oggi il numero è di 356, di cui uno ancora studente di teologia e un novizio.
Al di là dei numeri, grandi o piccoli che siano (meglio grandi ovviamente!), è importante che la vocazione missionaria (missio ad gentes) non scompaia perché, al di là di ciò che dicono o pensano i detrattori, la”missione” è una ricchezza di spiritualità che non ha pari. Spiritualità che, guarda caso, non si bea di sole altisonanti parole o passeggia su morbidi tappeti quanto invece è abile, senza risparmio di forze, a macinare chilometri e chilometri nella polvere di strade sterrate e a rimboccarsi le maniche per aiutare il fratello meno fortunato.
Andare in missione allora, per vedere e per credere, bypassando le chiacchiere da salotto. E molti, tra i laici laicissimi, lo hanno fatto e lo fanno ancora oggi non solo per incontrare il”diverso” o per dare un mano, un aiuto concreto ma anche per vedere come sono spesi i propri soldi mandati alle missioni. E anche questo è giusto.
Conclusione?
Stando così le cose e reclamando, con una certa urgenza, operai la “Vigna” del Signore, come Chiesa locale, perché non chiedersi senza tramandare troppo - è sempre p. Gigi a suggerirlo –che cosa ci sta succedendo? Perché non siamo più capaci di rispondere ad una chiamata importante come quella della “missione”? Gli agi di casa nostra ci fanno forse temere di non essere all’altezza di reggere l’incontro-scontro con le vere povertà”forti”?Quelle che fan tremare le vene e i polsi, perché inimmaginabili al riparo delle nostre confortevoli abitazioni da “primo”mondo?
Probabilmente sì.
Come rimediare in quanto comunità cristiana e quindi, per definizione, missionaria a tutto questo?
Avvicinarsi a quello che è il mondo missionario attraverso coloro che ne sono o ne sono stati in qualche modo attori . Attraverso letture e tutti quei sussidi, oggi abbondanti rispetto ad un tempo, che ci possono far conoscere, comprendere, innamorare del”mestiere”, si fa per dire, più bello del mondo.
Perché le missioni, è bene ricordarlo, non sono più solo impegno a diffondere la conoscenza del Vangelo, che pure è la priorità, ma anche centri di sviluppo e di formazione, attraverso l’insegnamento e, quando possibile anche l’assistenza medica, alle popolazioni più povere del nostro mondo abitato.
Un grosso impegno dunque nel sociale, cui fare tanto di cappello, perché significa anche, con la dovuta competenza e la dovuta responsabilità, praticare un po’ di giustizia lì dove essa è generalmente assente e molto spesso addirittura sconosciuta.
Se a questo aggiungiamo poi il secolarismo dilagante,occultato dal volutamente malinteso slogan “laico è bello” dei nostri tempi moderni, quasi una moda, la frittata ,come si dice, è fatta.
Contro la missionarietà intesa anche come percorso di sviluppo e di pace tra i popoli, grazie alla forza dell’ ”annuncio”, avremo allora sì definitivamente la vittoria , e a tutto campo, della secolarizzazione.
Positivo e negativo incluso.
E per negativo va intesa la sottrazione per sempre, a chi la domanda ,di quell’esigenza umanissima, e quindi insopprimibile, di ascolto, di condivisione e di fratellanza schietta, che in certe circostanze della vita soltanto un sacerdote, un religioso, un missionario o una missionaria, può dare.
Immaginate per un attimo tutte le nostre chiese chiuse. Non ci sono più sacerdoti.
Le nostre chiese sono divenute semplici e pregiati esempi di architettura sul territorio, esclusivamente da visitare. Potrebbe succedere.
Non ne parliamo se poi ad avere bisogno di quel confortevole ascolto sono uomini ,donne, anziani e bambini ,che in terre lontane, lottano quotidianamente, tra una molteplicità di stenti, per la sopravvivenza e, spesso con evidenti scarse prospettive di un futuro migliore.
Diceva Giuseppe Allamano, fondatore dei missionari e delle missionarie della Consolata, che la missionarietà è la perfezione del sacerdozio.
Padre Gigi ce lo ricorda ma, a ben rifletterci, è la pura verità.
Una verità testimoniata da esempi degli anziani e preziosi missionari che, nonostante la non più verde età, sono ancora sul campo nelle missioni in Africa o in America Latina e anche da coloro che sono relativamente più giovani.
Sulla base di dati in possesso dell’Istituto, quelli dello scorso anno (2011), l’età media dei missionari della Consolata, ad esempio, è attualmente di sessantasei anni.
E contro i 364 missionari italiani dell’anno passato, facenti parte dell’Istituto, oggi il numero è di 356, di cui uno ancora studente di teologia e un novizio.
Al di là dei numeri, grandi o piccoli che siano (meglio grandi ovviamente!), è importante che la vocazione missionaria (missio ad gentes) non scompaia perché, al di là di ciò che dicono o pensano i detrattori, la”missione” è una ricchezza di spiritualità che non ha pari. Spiritualità che, guarda caso, non si bea di sole altisonanti parole o passeggia su morbidi tappeti quanto invece è abile, senza risparmio di forze, a macinare chilometri e chilometri nella polvere di strade sterrate e a rimboccarsi le maniche per aiutare il fratello meno fortunato.
Andare in missione allora, per vedere e per credere, bypassando le chiacchiere da salotto. E molti, tra i laici laicissimi, lo hanno fatto e lo fanno ancora oggi non solo per incontrare il”diverso” o per dare un mano, un aiuto concreto ma anche per vedere come sono spesi i propri soldi mandati alle missioni. E anche questo è giusto.
Conclusione?
Stando così le cose e reclamando, con una certa urgenza, operai la “Vigna” del Signore, come Chiesa locale, perché non chiedersi senza tramandare troppo - è sempre p. Gigi a suggerirlo –che cosa ci sta succedendo? Perché non siamo più capaci di rispondere ad una chiamata importante come quella della “missione”? Gli agi di casa nostra ci fanno forse temere di non essere all’altezza di reggere l’incontro-scontro con le vere povertà”forti”?Quelle che fan tremare le vene e i polsi, perché inimmaginabili al riparo delle nostre confortevoli abitazioni da “primo”mondo?
Probabilmente sì.
Come rimediare in quanto comunità cristiana e quindi, per definizione, missionaria a tutto questo?
Avvicinarsi a quello che è il mondo missionario attraverso coloro che ne sono o ne sono stati in qualche modo attori . Attraverso letture e tutti quei sussidi, oggi abbondanti rispetto ad un tempo, che ci possono far conoscere, comprendere, innamorare del”mestiere”, si fa per dire, più bello del mondo.
Perché le missioni, è bene ricordarlo, non sono più solo impegno a diffondere la conoscenza del Vangelo, che pure è la priorità, ma anche centri di sviluppo e di formazione, attraverso l’insegnamento e, quando possibile anche l’assistenza medica, alle popolazioni più povere del nostro mondo abitato.
Un grosso impegno dunque nel sociale, cui fare tanto di cappello, perché significa anche, con la dovuta competenza e la dovuta responsabilità, praticare un po’ di giustizia lì dove essa è generalmente assente e molto spesso addirittura sconosciuta.
Marianna Micheluzzi (Ukundimana)
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