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lunedì 5 marzo 2012

Kigali(Rwanda) Cara amica italiana....









Cara amica italiana, io africano, e per giunta ruandese, considero da sempre la presenza dei tuoi amici missionari in Africa una componente decisamente ingombrante all’interno della nostra società e che ricorda, comunque, per certi versi, il vecchio colonialismo.
Anche se riesco ad apprezzare quelli tra loro (molto pochi in verità) capaci di fare realmente del bene a quelli che incontrano sul proprio cammino, resto scettico.
Proprio come dici tu, voglio essere obiettivo e praticare i cosiddetti distinguo, per non fare di tutta l’erba un fascio.
E qualche volta, ad essere sincero, nel mucchio, per caso, devo ammettere che, magari, mi è capitato di trovarne qualcuno.
Ma proprio uno,sai. “Rara avis”.
E lo stesso, credimi, non ho fatto salti di gioia.
Ti ricordo che il bilancio della presenza missionaria, almeno in Burundi, così come in Rwanda e anche in Congo, è stata un autentico disastro per noi africani.
Da sempre.
E mi riferisco in particolare proprio all’evangelizzazione, se i risultati sono stati poi, nel corso degli anni successivi all’ arrivo, quelli delle feroci guerre tribali tra hutu e tutsi in Burundi,nel corso delle quali io, ad esempio, ho perso mia moglie, massacrata di notte tempo a colpi di machete, del terribile genocidio del ‘95 in Rwanda e di quello che ancora vediamo accadere oggi in Congo e che non cesserà , di sicuro, in tempi brevi.
Le guerre tribali, prima dell’avvento del colonialismo,ad inizio del secolo passato, erano molto rare se non addirittura inesistenti.
Poi da noi, in Rwanda, a sconvolgere una società davvero pacifica, sono arrivati prima i tedeschi e successivamente i belgi.Quest’ultimi i peggiori in assoluto.
E le cose hanno subito preso una bruttissima piega.
Perché?
Perché i nuovi arrivati hanno favorito un’etnia a discapito di un’altra e sono cominciate le contrapposizioni tra coloro che un tempo, invece, vivevano pacifici e sereni come fratelli.
Il famoso adagio latino del “divide et impera”, i colonizzatori, accanto alla politica di sfruttamento sistematico di uomini e di risorse, lo conoscevano bene.
Se chiedi a qualunque africano, quale che sia stato il “suo” colonizzatore, il francese,l’ inglese, il tedesco, l’olandese o il belga, egli ti dirà sempre la stessa cosa.
I preti, i missionari, al seguito degli eserciti occupanti, avrebbero dovuto portare amore, fratellanza, concordia e quindi pace.
Così recita il Vangelo.
Ma così ,almeno da queste parti, non è mai stato.
E la cosa peggiore è che quando anche oggi, m’imbatto casualmente in essi, i preti intendo, e provo ad impostare un discorso serio in merito, è per me come battere la testa contro un muro di granito, perché non c’è modo alcuno di farli ragionare e di poter avere da loro una spiegazione chiarificatrice.
Sono più fondamentalisti dei fondamentalisti laici europei.
Il paternalismo di maniera è la loro arma di ricatto.
E il nero resta sempre quell’essere inferiore, che capisce poco, che deve ascoltare, farsi guidare e, dunque,sostanzialmente obbedire.
Ma i tutsi ruandesi, intelligenti e orgogliosi quali sono da generazioni, sono stati e sono molto poco obbedienti.
E questo, a differenza degli hutu, che invece sono molto più docili e quindi più manipolabili.
Ecco allora che la Chiesa di Roma perseguita i primi e blandisce i secondi e se li sceglie come alleati.
E’ cosa vecchia.
E anche questo è stata causa del genocidio del ’95, quando circa un milione di tutsi ruandesi sono stati ammazzati come bestie dai loro fratelli hutu , dopo una martellante campagna politico-ideologica, sostenuta anche dai preti, preti africani e non, preti ruandesi e non.
E la propaganda anti-tutsi, soft, continua anche oggi. Anche mentre scrivo. Puoi giurarci
La Chiesa difende Victoire Ingabire e Seromba, che odiano i tutsi, specie quelli attualmente al potere.
E non s’interroga affatto su questo” suo” appoggio acritico.
Non potrebbe essere diversamente visto che ha protetto e coperto, prima, durante e dopo, anche la fuga di preti africani assassini, i quali, non si sa in nome di quale “dio ”, hanno attirato a morte certa i propri fedeli nelle chiese del Rwanda, per poi consegnarli agli aguzzini senza scrupoli del momento.
Anche se oggi ,ufficialmente, in Rwanda non esiste più alcuna distinzione di tipo etnico tra hutu e tutsi,a partire dagli stessi documenti d’identità e, anzi, chi la praticasse manifestamente, una volta scoperto, è punibile anche con il carcere oppure con una grossa ammenda, io mi domando :
come posso io, tranquillo, guardare i miei familiari e i miei amici, e non sentirmi accapponare la pelle, pensando che, Vangelo alla mano, questi ministri del culto potrebbero essere dei replicanti di quelli di una volta ?
Prova tu a dissipare, se ti riesce, i miei dubbi.
Oppure chiedi aiuto ad uno dei tanti tuoi amici missionari in Africa.
Essi parlano giustamente di riconciliazione, specie dalle loro riviste, quando si riferiscono al Rwanda.
E’ possibile davvero un’autentica riconciliazione quando a mediare non siano gli stessi ruandesi e senza le interferenze di una “cultura” altra?
E poi ricordati comunque, amica mia che, a certi livelli palesemente “alti”, politica e religione sono sempre andate e vanno a braccetto.
Sono , in definitiva, due buoni “compari”.
Si sostengono, insomma, a vicenda.
Detto ciò,attendo, adesso, lumi da te, carissima, per sciogliere il “garbuglio”.
Perché a me proprio non riesce.

Tuo amico “di penna”, Paul.

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