martedì 3 settembre 2013
Marocco /Il Cerchio e la Freccia /L'Arte di Farid Belkahia
Farid Belkahia, misticismo e sensualità, è uno dei pittori più affascinanti del Marocco contemporaneo.
Dotato di un forte temperamento, persegue da mezzo secolo a questa parte, nonostante l’età e una notorietà acquisita, un cammino molto speciale.
Ferocemente attaccato alla sua libertà, è difficile – sostiene chi lo conosce bene – che si faccia imbrigliare.
Ossessionato dal tema della memoria, ha pescato in passato e pesca ancora oggi, a piene mani, nella antica storia culturale del suo Paese e della sua gente per decifrare segni e riuscire a leggere i motivi della tradizione.
“La tradizione – egli afferma – è il futuro dell’uomo !”. Farid non concepisce, infatti, modernità che non sia assimilazione dei valori del passato.
Nei suoi lavori c’è l’ambivalenza del sacro e del profano e non passa inosservata una forte sensualità esplicitamente espressa.
Artista esigente, tormentato ma scherzoso,è piacevole ascoltarlo mentre parla di sé. E questo giacché lo fa da narratore provetto.
Nato a Marrakech nel lontano 1934, cresce in campagna, in una grande proprietà, che appartiene alla famiglia.
Suo padre era una sorta di avventuriero, che era riuscito a realizzare una fortuna come specialista di estratti di profumo, che vendeva soprattutto in Europa. E la cosa funzionò fino a quando i tedeschi non inventarono in seguito i profumi sintetici.
“Nella nostra casa erano ospiti di passaggio pittori e artisti stranieri, incontrati da mio padre in giro per il mondo”- precisa Farid Belkahia.
E sua madre, lui di appena due anni, lascia il Marocco proprio per seguire uno di questi in Europa.Ma lui, il nostro, della storia sentimentale della madre ne viene a conoscenza solo qualche anno dopo.
Infanzia felice? Certamente no.
Si rinchiude in se stesso e comincerà a parlare solo all’età di quattro anni.
Viene allevato dalla nonna paterna.
Un odore resterà nella memoria della sua infanzia ed è quello dell’henné, il colore rosso con cui le donne marocchine si spalmano i capelli e si decorano le mani e i piedi con delicati tatuaggi.
E il colore dell’henné, il rosso, con quello dello zafferano, il giallo, e quello del cobalto, il blu, sono i colori di Farid Belkahia.
Studia prima a El Jadida e poi a Marrakech e la materia che lo interessa particolarmente è il disegno.
A diciotto anni si trasferisce nella città di Quarzazate,dove lavora come istitutore in un collegio e inizia a disegnare e a prendere sul serio in considerazione l’idea di dipingere.
Nel 1954 è a Parigi, città in cui fa piccoli lavori e s’iscrive alla Scuola di Belle Arti.
Non sempre, però, i suoi nuovi maestri lo incoraggiano. E lui dice di quel periodo della sua vita : “Tutto quello che ho imparato l’ho appreso girando nelle vie del Quartiere Latino”.
“Erano gli anni –prosegue- in cui Saint Germain de Prés ospitava, nei bistrot e nei caffè, personaggi quali César, Ernst e Dalì”.
Ma l’incontro fondamentale è con Georges Rouault. Georges il solitario, l’artista capace di guardare la vita con gli occhi di un clown. Pittore, poeta, filosofo.
Colpisce Farid l’ispirazione tragica e religiosa delle tele di Rouault , i suoi tratti rabbiosi, le sue tonalità scure , i soggetti che ironizzano le miserie umane.
Nel suo soggiorno a Praga, invece, subisce l’influenza di Paul Klee anche se i suoi colori restano comunque quelli scuri.
Approfondisce così la ricerca sull’artista Klee e subito emerge nell’artista marocchino l’ossessione del cerchio e della freccia. Segni che traducono la concezione mistica dell’uomo secondo Farid.
In tutte le opere di Farid Belkahia, infatti, è presente lo scontro tra le forze del Bene e quelle del Male, energie contrastanti che attraversano l’uomo. E dove, tuttavia, non c’è compiacenza degli abissi del male, semmai attesa fiduciosa di redenzione.
Cristo della Passione, abbandonato da Dio e dagli uomini sulla Croce, si è fatto uomo proprio per liberare l’umanità dalla malvagità.
Questo è il pensiero sotteso all’operare dell’artista.
Dal ritorno definitivo in Marocco,quando insegna per alcuni anni alla Scuola di Belle Arti, il suo percorso ,insieme a quello degli allievi è il rifiuto categorico di applicare la tradizione nei metodi. Approfondisce piuttosto l’artigianato marocchino e cioè gioielli, ceramiche, tappeti, sculture. E si circonda d’insegnanti, altri colleghi, anch’essi appassionati di tradizioni popolari .
L’obiettivo ?
Quello di realizzare un nuovo modo di fare cultura in Marocco.
E pare che Farid, considerando i brillanti successi riportati in tutti questi anni tanto nella pittura che nella scultura e altro, ci sia più che riuscito e, con lui, alcuni di coloro che sono stati, a suo tempo, allievi, nomi noti anch’essi nel mondo dell’arte del Marocco odierno.
E il nuovo modo di fare cultura significa per Farid il portare l’arte alla gente , dialogare con tutti: uomini, donne, bambini, anziani. E farlo nelle piazze e nelle strade possibilmente. Con musicisti che, magari, intrattengono il pubblico dal vivo con le antiche nenie e artisti che tracciano segni grafici su carta, pelle,legno, dando vita a forme nuove,un mix d’antico e moderno, che intrigano. E non solo, dunque,l’andare nei musei, spesso fruibili da risicate minoranze acculturate. // (m.m.)
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