Dopo il fallimento dei negoziati della scorsa estate, per regolamentare il commercio delle armi nel mondo (2-27 luglio), presso la sede dell’Onu, a New York, e nell’attesa autunnale della ripresa, comunque scettica,del dibattito ecco alcune cifre per rifletterci su a mo’ di post it .
Il mercato delle armi, di cui la stessa Unione Europea (UE) riconosce l’importanza in termini di occupazione, e quindi di posti di lavoro certi e di crescita economica, sul giro internazionale conta 875 milioni di pezzi in circolazione di armi leggere, prodotti da circa un migliaio di aziende e in 100 Paesi del mondo. E con un fatturato che oscilla tra i 60 e i 70 miliardi di euro.
Con cifre del genere, per altro, si risolverebbero parecchie crisi in corso nel nostro pianeta.
Ogni anno si producono nel mondo 12 miliardi di pallottole.
La spesa militare complessiva, secondo il Sipri, è di 1740 miliardi di dollari, pari al 2,5% del prodotto interno lordo globale.
Capperi!!! Proprio bei soldoni!!!!
Responsabili del fallimento del Trattato dello scorso luglio, a New York, in primis Stati Uniti, seguiti a ruota da Russia e Cina, le quali con Germania, Francia e Regno Unito , producono circa il 74% degli ordigni bellici in circolazione.
L’Italia poi, solita “furbetta”, che si è dichiarata impegnata a rafforzare il sistema internazionale di protezione dei diritti umani e quindi le norme concernenti il diritto internazionale umanitario, ha chiesto che nel Trattato fossero inserite soltanto le armi leggere militari, lasciando fuori piuttosto quelle ad uso civile (lobby dei cacciatori).
Molto spesso, però, sappiamo bene che proprio queste stesse armi leggere, anche di fabbricazione italiana, finiscono con l’essere nelle più disparate aree di crisi (leggi lì dove si fa la guerra).
Concludendo,a proposito di armi leggere e di quello che consente al comune cittadino la Costituzione Usa, se il primato di strage di persone inermi per gli Stati Uniti è, proprio grazie al possesso di queste armi, di 162.767 mila individui,in Italia le vittime sono 6.311mila.
Cifre destinate senz’altro a crescere, perché i dati, di cui sopra, si riferiscono agli anni 2001-2010.
a cura di Marianna Micheluzzi (Ukundimana)
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