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giovedì 13 settembre 2012

PAROLE CHIARE E (FORSE )CHIARIFICATRICI / IN MARGINE AI FATTI DI LIBIA








E' in margine ai gravissimi fatti di Libia (morte e sangue), fatti che per efferatezza premeditata si commentano tragicamente da sé e, andando subito oltre ogni ideologismo o deleterio fanatismo religioso di maniera,che io plaudo alle parole del presidente americano Obama (qualcuno ironicamente potrebbe probabilmente dirmi che è facile farlo circostanze come queste) che io sottolineo, semmai, con lui e insieme a lui l’importanza della comunione delle differenze religiose per la pace.
Senza dialogo e senza intesa(e non sono certo io a dirlo) non può esserci pace alcuna. Il dialogo è l’unico ponte possibile per andare incontro all’altro, incontro alla sua umanità.
Tendenziosamente si legge di questi tempi, sempre più spesso e da più parti, che il cristianesimo non solo non ha o non dovrebbe avere più posto nella società post-moderna, super-tecnologizzata, trionfo indiscusso e indiscutibile della scienza-totem, per la quale “Dio non è” e che l’uomo, protagonista assoluto sulla scena del teatro-mondo, pago della sua “apparente” libertà, è capace ormai di ogni progresso senza nessun ricorso ad altro se non a se stesso.
Ma, addirittura, s’insinua che il cristianesimo istigherebbe al male (e lo avrebbe fatto naturalmente sopratutto anche in passato) nel momento in cui pretenderebbe o avrebbe preteso d’essere l’unica e/o la migliore delle religioni possibili al mondo.
Le crociate in Terra Santa, per esempio. Esse sono il classico coniglio, che fuoriesce dal cilindro del “prestigiatore”.
Ma leggiamo attentamente cosa scrive piuttosto Michel de Certeau (1925-1986) e ricordiamo magari lo spirito di Assisi.
Gesuita, storico e filosofo francese e anche di notevole spessore culturale, egli evidenzia,a chiare lettere un concetto che noi tutti dovremmo tenere bene in mente e a partire, possibilmente ,da subito.
L’esperienza cristiana rifiuta –dice de Certeau – la riduzione alla legge del gruppo (i cristiani non sono e non sono mai stati una setta) e questo significa dinamismo in progress. Ricerca di orizzonti ampi e mai di spazi angusti o di un’identità definita una volta per tutte. E il dinamismo è assicurato – egli continua – proprio dalla venuta dello straniero,cioè da una solidarietà che è sempre articolata al rispetto della differenza.
E, se nascessero dubbi in merito, come è anche giusto che possa essere, si può sempre leggere o a rileggere del “nostro” “L’Etranger ou l’union dans la différence,Paris, 1969)”.
Queste cose , scritte da un prete,che non era certo un curato di campagna (con tutto il rispetto per i curati di campagna spessissimo esemplari quanto indispensabili nel loro “servizio”) si leggevano tanti anni fa, nel clima post-conciliare del Vaticano II e ai tempi della famosa contestazione studentesca.
Le stesse si ripropongono , in tutta la loro attualità, in un mondo con troppe ferite che, per la complessità del “garbuglio” in cui è avviluppato, ne ha più bisogno oggi di allora.

Marianna Micheluzzi (Ukundimana)


Il dipinto, a corredo del testo, è del pittore spagnolo Joseph Segui Rico

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