venerdì 11 gennaio 2013
"HOMO SAPIENS" DOPO ROMA E TRENTO ARRIVA A NOVARA / SPAZIO MOSTRE
Sta per chiudere i battenti tra due giorni, il 13 gennaio, a Trento, la mostra “Homo sapiens. La grande storia della diversità umana”.
Ma niente paura in quanto, subito dopo, essa, iniziativa davvero encomiabile, sarà ospite della città di Novara per la gioia di tutti coloro che amano la preistoria dell’umanità e sono incuriositi e attratti da ricerche documentali e studi in merito .
E ciò, almeno in Italia, è avvenuto sopratutto dopo la scoperta di Ozi, l’uomo del Brennero, riemerso dal ghiaccio e che riposa definitivamente a Bolzano e che,a suo tempo, fece tanto parlare di sé e alimentò fantasie le più disparate.
Perché allora parlarne su Jambo Africa e sollecitare chi può ad andare a visitare questa mostra?
Perché l’ allestimento ci mette finalmente dinanzi e un po’ più in concreto (stavo per usare il verbo “spiattellare”) quella espressione che solo come slogan abbiamo sentito più volte ripetere o abbiamo ripetuto anche noi stessi e cioè che cosa realmente è ed è stata (è il caso di dire) questa “unità nella diversità”.
Infatti, proprio come in una fantascientifica macchina del tempo, è possibile essere catapultati, durante il percorso della mostra, in un Africa di tre milioni e mezzo di anni fa. E lì ci spingiamo fino a Laetoli, nella lontana Tanzania, nel bel mezzo di un’eruzione vulcanica, che ci racconta che nel suo fango hanno transitato i nostri primi antenati. I “sapiens”, appunto.
E dopo “Mal d’Africa”, nome della sezione,dove i nostri antenati si affollano in mille modi e da mille luoghi diversi a venirci incontro, si salta d’un balzo all’Eurasia, perché deve essere chiaro al visitatore che “La solitudine è un’invenzione recente”,didascalia del secondo step.
Ed è qui che c’è la rievocazione della nascita della nostra specie e si narra di un “qualcosa” che arriva indietro nel tempo fino a duecentomila anni fa e della sua convivenza con altre forme umane presenti almeno fino a dodicimila anni fa.
E sorpresa ,ma proprio pochissimo sorpresa, l’homo sapiens amava molto spostarsi da un luogo all’altro e lo faceva sempre, a piedi, per centinaia e centinaia di quelli che sono i nostri chilometri odierni.
Socializzava con i nuovi incontri, quelli che potremmo definire suoi e nostri “cugini”.
Inoltre egli possedeva senz’altro la “parola” e amava la musica, che gli ha sempre tenuto compagnia nel corso di giornate e notti interminabili.
Lo testimonia ,nella mostra, il flauto ch è stato ritrovato in Slovenia nel corso di uno scavo abbastanza recente.
Lasciando per un attimo l’articolazione del percorso espositivo al piacere e alla scoperta di chi si recherà a visitare la mostra,anche per non ridimensionarlo troppo, sottolineamo semmai l’importanza dell’evento per i nostri giorni.
Un evento che lo scorso anno, nella prima edizione di Roma, fece qualcosa come duecentomila visitatori di numero.
L’homo sapiens inizia il suo viaggio, si è detto ed è noto, da una piccola valle d’Etiopia e, successivamente, per gradi, colonizza l’intero pianeta.
Ciò che dobbiamo fare nostro ,da quanto visto e osservato in mostra, è essenzialmente il concetto di forte unità biologica della nostra specie insieme alla straordinaria diversità culturale interna.
Nessuna meraviglia pertanto se, dopo quelle che si possono definire fino dalla preistoria età delle diaspore, oggi le nuove diaspore, quelle che tanto ci spaventano, capaci di creare meticciati tanto biologici che culturali, possono condurre anche a risorgenti conflitti.
E’ normale.
Tocca, dunque, a noi saper costruire un futuro migliore.
Siamo, in effetti, dei “divenienti umani” più che degli “esseri” come ci insegna la scienza e ci ricordano i curatori della mostra.
Il tema dell’unità nella diversità, letto secondo più registri, parte, infatti, da quei famosi passi nel tufo di Laetoli, in Tanzania, 3.75 milioni di anni fa e certamente andrà oltre , molto oltre, quegli altri passi , che furono importantissimi anch’essi, dell’uomo sulla Luna nel secolo appena trascorso.
I calcoli a ritroso in milioni di anni danno di certo il capogiro ma il capogiro lo procura anche solo immaginare gli scenari futuri e molto probabili di un’umanità differentissima da quella cui oggi siamo abituati.E che non sarà affatto peggiore di noi.
a cura di Marianna Micheluzzi (Ukundimana)
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