Piccola donna e mamma di Tanzania di te io non so nulla.
T’immagino di certo giovane e bella
con la tua pelle d’ebano , i capelli ricciuti e il passo elastico e sicuro.
Ti penso, a quanto dicono, avviluppata tra le spire di un male antico quanto oscuro.
Creatura impotente e smarrita.
Mentre impietosi occhi indagatori ti squadrano
senza poter far nulla.
Fragile sei come il bimbo, che stringi tra le braccia.
Io mi domando, senza risposta, che ne sarà di te a breve?
Confusa ti dimeni, seminando ancestrali paure tra gli astanti
E tuttavia le tue grida infrangono un cielo sordo.
Raccolgo il tuo dolore solo per affiancarlo ai tanti
di tutte le altre donne, bambine, giovani o vecchie,avvezze
da sempre a sofferenze in terra d’Africa.
Lo condivido sì , lo rendo noto ma, senza soluzione, è proprio poca cosa.
Anzi pochissima.
Farà il dottore bianco, nel grande ospedale di città, quel qualcosa per te ?
Sempre più spesso sento raccontare di altre come te.
Tutte uguali e compagne nel dolore.
Che accade laggiù?
L’Africa sta cambiando e noi non vogliamo vedere.
Parliamo di riti, di stregonerie, di magie e di accidenti vari.
Giusto per tacitare la coscienza.
La verità è altrove e forse più semplice che mai.
Piccola donna di Tanzania, e donne tue compagne nel dolore,
siete voi invece che state aprendo gli occhi e ciò che vedete non vi piace.
Non vi piace proprio più.
E lo gridate scompostamente purché qualcuno presti orecchio.
di Marianna Micheluzzi
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