lunedì 25 marzo 2013
Una cartolina da Lilongwe (Malawi)
Ultimamente ,in relazione alla pesante crisi del debito estero del paese africano, abbiamo riferito più di una volta del Malawi e della situazione economica attuale, che strangola pesantemente la quotidianità della gente comune.
E ne frena di conseguenza ogni possibile aspettativa e/o eventuale crescita e sviluppo.
Ma io penso( e mi è sorto questo dubbio proprio perché non parliamo di Kenya , di Senegal o di Sudafrica ) che la parola Malawi per molti (anche quelli che hanno la pazienza di leggermi ogni giorno) sia appena solo un nome.
Un nome, magari, che si dimentica anche piuttosto facilmente.
Ci soccorre allo scopo ,allora ,almeno per oggi, un articolo del corrispondente di Nigrizia, Angelo Turco che , nel numero di marzo, propone in apertura del suo “pezzo” la descrizione efficace, appunto, di Lilongwe e cioè della capitale del Malawi.
Lilongwe -scrive Turco – è una città evanescente. Niente a che fare con Blantyre, il polmone – finanziario del Malawi, o con Mzuzu o altre città dotate di un loro profilo urbanistico, più o meno compatto.
Lilongwe è una specie di metafora geografica del governo – egli continua. Si sa che c’è ma non si vede, annegata com’è nei verdi scintillanti del pianalto centrale.
Una capitale artificiale sviluppatasi a partire dal 1974 sul sito di un antico villaggio di pescatori per volere di Hastings Kamuzu Banda.
Prende il posto di Zomba, la vecchia capitale coloniale che aveva conservato il suo ruolo nel primo decennio d’indipendenza (6 luglio 1964, data dell’indipendenza raggiunta dalla Gran Bretagna).
Poche strade denominate, per lo più grandi arterie asfaltate.
Una divisione in aree numerate che denotano tipicamente gli insediamenti privi di spessore storico. E di personalità urbana.
Old Town sul vecchio abitato a ridosso del fiume da cui la città prende il nome e appare densa a tratti, grazie anche a un commercio cosmopolita animato da indiani, cinesi, nigeriani.
New Town, a sua volta, dà segni di vita per punti sparsi, in coincidenza dei centri commerciali il cui emblema è Shoprite, il tempio sudafricano dei consumi per la middle class malawiana e, ormai, dell’intera Africa australe.
Le ville milionarie per i funzionari internazionali, i ricchi commercianti asiatici, le classi agiate, sono mimetizzate dietro le loro recinzioni murate e coperte di vegetazione.
I quartieri popolari,dal canto loro, sono infrattati nelle vallecole e depressioni, dove il costo dei terreni è molto più abbordabile, le case alquanto approssimative, più aleatori i servizi urbani (fogne,acqua potabile,elettricità).Qui e là si staglia il profilo di qualche palazzo per uffici in vetrocemento. O di qualche edificio pubblico.
Come il nuovo parlamento, costruito con fondi di Pechino, che fonde architettonicamente i motivi squadrati e circolari che simbolizzano tradizionalmente la Terra e il Cielo nell’immaginario cinese.
A fianco del parlamento, dimesso ma dignitoso, si erge poi il mausoleo dedicato al dr.Banda, il padre-padrone del Malawi tra il 1961 e il 1994. Pioniere del nazionalismo africano ma anche promotore dei diritti delle donne e della qualità del sistema scolastico. Artefice della modernizzazione delle infrastrutture del paese ma al tempo stesso emblema di un regime repressivo, tenuto a distanza dai suoi vicini per aver mantenuto buone relazioni, anche diplomatiche con il Sudafrica dell’apartheid.
Qui ,però, mi fermo io con l’articolo di Angelo Turco (ritengo sia bastante come saccheggio per una descrizione minuziosa),il quale prosegue, invece, affiancando, in un quadro ben articolato, come più volte abbiamo avuto modo di leggerlo, la figura dell’attuale presidentessa del Malawi ai dictat imperiosi del Fondo Monetario Internazionale.
E passo così, semmai, a chiarire il perché di questa odierna “cartolina”.
Avendo a disposizione internet che fornisce informazioni e immagini a iosa, cari amici di JAMBO AFRICA, ora tocca a voi, dopo l’input dell’articolo di Nigrizia, proseguire (se siete d’accordo e la cosa vi solletica) nella conoscenza e nell’approfondimento del Malawi.
Solitamente accade proprio così.
E da uno spunto casuale, da un piccolo particolare, che possono nascere parecchie volte degli interessi mirati.
Inoltre abbiamo in Italia l’EMI di Bologna, un’editrice missionaria,che non si rivolge più ormai ad un esclusivo pubblico di nicchia ( è rintracciabile persino in facebook) , che ha compiuto i suoi “quarant’anni” molto ben portati e che può facilmente guidarci nella scelta di una varietà di testi (romanzi,documenti o saggi), riguardanti questo genere di realtà solo apparentemente lontane.
Impariamo a servircene.
Come scrive nel dossier”40 anni EMI”, sempre in Nigrizia di marzo, Lorenzo Fazzini,direttore editoriale dell'EMI, il rapporto,in questo caso specifico, tra cultura, editoria e mondo missionario è qualcosa di molto significativo. E non va disconosciuto per partito preso.
E non riguarda necessariamente il mondo dei “credenti” tout court ( magari annusassimo odore d'incenso), in quanto si riconosce alle testimonianze e al buon giornalismo di certi missionari grande valore culturale a tutti gli effetti.
E ciò anche da parte , ad esempio, di antropologi professionisti. Come lo è stato in passato da parte di un Lévi-Strauss o da uno scrittore quale Emilio Salgari, che non perdeva mai occasione d’intervistare,ogni volta, i missionari di rientro per conto del proprio giornale.
Detto questo,l’invito schietto per tutti, in un mondo sempre più interdipendente, è quello di continuare ad informarsi. Africa in primis nel mio e, forse, nel vostro caso.
Ma non solo.
Per essere poi , in definitiva, componente seriamente responsabile di una società civile, che supera ormai di necessità le frontiere. E che oggi ha pure tutti gli strumenti per poterlo fare anche rimanendo a casa.
Dal libro al computer ,agli altri media.
In attesa del "viaggio", dell'esperienza sul campo, che più avanti nel tempo, magari, arriverà.
a cura di Marianna Micheluzzi (Ukundimana)
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento