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lunedì 30 luglio 2012

ETIOPIA SENZA PACE / FUGA DA MOYALE





Quelli che i media occidentali definiscono, con superficialità ottica, scontri etnici sono in corso nella regione di Moyale e, per questo, migliaia di uomini, di donne, di anziani e di bambini (all’incirca 20 mila) si stanno allontanando precipitosamente, in queste ore, a piedi o con mezzi di fortuna reperiti a caso, dalla principale città di questo territorio etiopico e dai villaggi rurali circostanti in direzione Kenya.
Il computo dei morti,a quel che riferiscono fonti attendibili (Bbc), sarebbe arrivato in un solo giorno, quello di sabato scorso ad esempio, ad almeno diciotto persone con l’aggiunta di dozzine e dozzine di feriti anche piuttosto gravi.
Con tutte le difficoltà inerenti per prestare i dovuti soccorsi (l’impegno della Croce Rossa è stato ed è sempre notevole oltre che esemplare in circostanze come queste) e/o arrivare almeno a seppellire i morti prima di proseguire.
E la cosa non si fermerà qui.
Quasi certamente di questa conflittualità ne sentiremo ancora parlare per giorni e per mesi.
I militari etiopici, a quel che è dato sapere, sono stati costretti ad intervenire per separare le due comunità dei Borana e dei Garri dalla violenza, scatenatasi da una disputa sulla proprietà della terra. La verità, invece, è che tra i due litiganti il terzo gode.
E cioè quello che si vuol far passare agli occhi del mondo esterno come il “consueto” conflitto etnico tra agricoltori sedentari e pastori itineranti, altro non è che un’astuta mossa del Governo per impossessarsi dei terreni,espropriandoli agevolmente, e vendendoli poi, a caro prezzo, al migliore offerente in tempi di “land grabbing” sull’Africa.
Molto più banale l’operazione di quanto possa essere immaginabile.
Ma, noi di Jambo Africa, abbiamo imparato a diffidare subito quando sentiamo riferire di presunti conflitti etnici nel continente africano.
Apprendiamo la notizia con “mica salis”, perché ci è abbastanza noto che lo “stupro”, quello peggiore, che si è compiuto e si sta continuando a compiere nei confronti dell’Africa, per sottrarle i suoi “tesori” e senza contraccambio, è una vecchia e brutta storia, che non ci piace affatto.
E sempre più difficile da mandare in soffitta.
Specie ai nostri giorni quando fame e povertà reale cominciano ad essere una “certa” qual certezza anche del cosiddetto mondo “ricco”.
Ricchezza e povertà –recita un antico e noto adagio – non durano cento anni.
Ed esso vale per gli uomini ma anche per le nazioni e per i continenti.
La scomparsa di alcune antiche e prestigiose civiltà sul pianeta , se qualcuno fosse scettico, ne sono testimonianza.

a cura di Marianna Micheluzzi (Ukundimana)

domenica 29 luglio 2012

NEW-YORK/ FALLISCE ALL'ONU L' INTESA SUL TRATTATO PER IL COMMERCIO DELLE ARMI CONVENZIONALI







Si pensava di essere ad una svolta storica con un accordo, il primo a memoria d’uomo, tra i 193 Paesi presenti all’Onu su alcune regole ben precise in merito al commercio delle armi convenzionali ma così,con rabbia e delusione da parte di chi ci aveva creduto e sperato, non è accaduto.
Tutto come prima, dunque.
E non lo è stato perché la lobby dei produttori del settore è così potente nel mondo che, persino l’amministrazione Obama, in attesa delle nuove elezioni Usa di novembre, è stata la prima,senza preavviso, deludendo fortemente ogni aspettativa democratica, a dare forfait.
Subito dopo gli Stati Uniti è seguito il”no” più che convinto della Russia,anch’essa produttrice e esportatrice di materiale bellico. E poi ancora Cina, India, Indonesia ed Egitto.
Queste ultime ,come le prime due, hanno motivato il diniego con il semplice rimando per poter usufruire di più tempo per riflettere.
La cosa più vera è che si tratta di un giro d’affari di almeno 60 miliardi di dollari a livello mondiale, cui difficilmente si rinuncerà.
Che poi le armi finiscano in Africa ad alimentare guerre civili o genocidi oppure in America latina a favorire la grande e la piccola criminalità,legata al miliardario giro del narcotraffico poco importa.
E ugualmente per le altre parti del mondo dove non mancano certo focolai bellici voluti, dall’Afghanistan alla Siria, solo per citare le due piaghe più purulente del momento, sull’alimentazione delle quali l’opinione pubblica comune sa comunque poco e niente se non quello che i media generalisti e la voce dell’ufficialità fa sapere.
Insomma, morto più morto meno, quello che conta sono gli affari. Lo abbiamo capito.
Se poi qualcuno, tra i distratti lettori di mezza estate, volesse approfondire la cosa per quel che riguarda un po’ più da vicino anche il nostro amato Paese (Brescia, ad esempio) e sapere magari di quella “bestia strana”, che ha nome cultura della “nonviolenza”, non ho che il suggerimento della quinta edizione dell’annuario curato dall’Osservatorio permanente sulle armi leggere e politiche di sicurezza e difesa (Opal), presentato proprio a Brescia lo scorso 21 giugno.
All’interno del volume meritano in particolare due articoli : “Le esportazioni europee di armi alla Libia” e”Nove anni d’inchieste sulle pistole fantasma di Beretta”.
Non è proprio una lettura da ombrellone ma almeno favorirà una certa presa di coscienza su quanto accade intorno a noi.
Non solo foot-ball, insomma.

Marianna Micheluzzi (Ukundimana)

sabato 28 luglio 2012

L'INTELLIGENTE FUGA DEL LEOPARDO DALLA PRIGIONE DEL LEONE /L'ANGOLO DEL GRIOT







Sempre ai margini del nostro villaggio africano, in savana, viveva tempo addietro un leone e la sua graziosa mogliettina, la leonessa, che era in verità un po’ troppo civettuola.
Un giorno il leone decide di allontanarsi per una battuta di caccia e raccomanda la sua famiglia al leopardo, che aveva investito della carica di suo consigliere particolare.
Durante quell’assenza però accade che la civettuola leonessa provoca il leopardo con le sue consuete moine e lui naturalmente,l’allocco, senza farsi pregare, ci casca.
Al rientro del marito la civetta, che conosceva bene tutte le arti della seduzione, riferisce d’essere stata lei importunata sessualmente dal leopardo.
Il marito-leone, che la conosce bene, non le crede ma, comunque, deve fare qualcosa anche per non perdere di prestigio di fronte agli altri animali della savana.
Così decide per una punizione esemplare nei confronti dello sciocco leopardo.
E la punizione consiste nell’essere rinchiuso in una cella quadrata, delimitata da due sole porte,una di fronte all’altra, quali possibili eventuali vie di fuga.
A guardia delle due porte, all’interno,vengono posti rispettivamente due rinoceronti,cioè guardie fidatissime del leone e, all’esterno di una delle due, ci sono dodici sanguinarie iene, che non si sarebbero fatte pregare due volte nel ridurre a brandelli il leopardo se fosse passato da quelle parti.
Prima però di essere pienamente convinto che la pena di morte dovesse essere assolutamente scontata dal leopardo per quello che egli aveva commesso, il leone dice al ragno, l’animale più astuto del gruppo, di andare a suggerire al leopardo che per lui la salvezza sarebbe venuta solo se avesse indovinato da quale porta della prigione era possibile fuggire senza incorrere in pericolo di vita.
Era l’unica chance che il leone concedeva, in questa difficile circostanza, al leopardo.
Il ragno immantinente riferisce e il leopardo riflette e agisce di conseguenza.
L’importante, era chiarissimo per lui, di non fidarsi affatto delle risposte che avrebbero dato le due guardie-rinoceronti. Questo lo aveva da subito intuito.
E così si comporta.
Chiede ad una, infatti, da dove sarebbe stato meglio uscire senza imbattersi nelle iene. E poi chiede all’altra.
Ma non si fida di nessuna delle due. Se non del suo istinto. E fa esattamente il contrario dei suggerimenti ricevuti, ritrovando alla fine, con una fuga super-veloce, nuovamente la sua amata libertà.
La lezione, a proposito delle conseguenze delle civettuole moine, l’ha appresa ormai.
E gli è bastata.
Sceglie così, con grande convinzione, la via libera della savana in cui, senza condizionamenti altrui, sarà sempre e solo lui a scegliere il da farsi, nel bene e nel male.

a cura di Marianna Micheluzzi (Ukundimana)

venerdì 27 luglio 2012

ZANZIBAR / IN CUCINA DA MAMA MPICHI /PWEWA WA NAZI





E’ quasi ora di pranzo e ho bisogno di risolvermi in cucina piuttosto rapidamente.
Mama Mpichi è la mia ciambella di salvataggio,sempre, in circostanze come queste.
Ieri mio figlio ha pescato nel nostro mare tre splendidi polipi di piccola taglia, ottimi per il fabbisogno.
Le patate in casa non mancano mai,anche perché io ne sono ghiotta e le cucino in tutte le maniere possibili e immaginabili.
Cipolla, aglio, cannella in pezzi, cardamomo, curry,concentrato di pomodoro sono in dispensa in quanto amo e tutti amiamo in famiglia odori e spezie.
Corro solo dal negozietto di frutta e verdura all’angolo per procurarmi una noce di cocco.
Non resta, così, che mettermi all’opera.
Faccio lessare i polipi a mezza cottura con acqua e sale e, nel mentre, spacco la noce di cocco di cui raschio la polpa con un coltello adatto. Polpa che strizzo con forza per ottenerne il latte, che metto da parte.
In una casseruola dispongo i polipi tagliati a pezzetti insieme al latte di cocco,le patate, tagliate a piccoli tocchi,e pure la cipolla e l’aglio, anch’essi ridotti a tocchetti.
Quando mi accorgerò che siamo già a metà cottura del tutto, aggiungiungerò il concentrato di pomodoro e le spezie (i semi di cardamomo devono essere schiacciati con la lama del coltello).
Intanto continuerò a fare cuocere e aggiungerò man mano il restante latte di cocco.
In finale, a cottura terminata(le patate dovranno essere completamente spappolate), spargerò del succo di limone e del sale quanto basta.
Considerata la stagione calda, lascerò a lungo riposare l’insieme da parte, in modo da servirlo alla giusta temperatura senza ricorrere al frigo.
Sono certa che per i miei sarà un’autentica ghiottoneria.
Grazie, mama Mpichi.

a cura di Marianna Micheluzzi (Ukundimana)

"LA REGINA CHE FACEVA LA COLF" di NANA KONADU YADOM & ANDREA PASQUALETTO /MARSILIO EDITORE/ READING






"Abbiamo fatto una scuola, una clinica e un pozzo.E' solo l'inizio della corsa che ci aspetta. Non so dove andremo. Perché a forza di fare si comincia a correre e quando si corre troppo non ci si ferma più.Un giorno forse non si guarderà più il cielo come fai tu Kofi, come fa tuo padre Kwaku, come faceva mia nonna Yaa Serwaa.Questo è il destino del mondo" (pag.103)

giovedì 26 luglio 2012

LONDRA 2012 / ATTENDENDO LE OLIMPIADI / OLA SESAY (SIERRA LEONE)



Ola Sesay, la prima atleta della Sierra Leone a qualificarsi per meriti sportivi alle Olimpiadi di Londra, che hanno inizio domani, 27 luglio, prosegue i suoi allenamenti ad Hastings, cittadina inglese, gemella in un certo senso della Hastings alle porte di Freetown, che durante l'ultima guerra civile fu distrutta dai bombardamenti e che, adesso, prova a rinascere con quella tenacia e forza di volontà che è propria di chi ha perso tutto e sa di dover contare solo sulle proprie forze.



Ola Sesay arriva alle Olimpiadi di Londra dagli Usa, dove era riparata negli anni '90 con la propria famiglia appunto per sfuggire alla guerra in Sierra Leone.



Ola ha cominciato a dedicarsi all'attività sportiva prima a scuola e poi al college.



Come professionista la sua specialità è il salto in lungo.






a cura di Marianna Micheluzzi (Ukundimana)



mercoledì 25 luglio 2012

GHANA / UNA DIFFICILE EREDITA' PER IL SUCCESSORE DI ATTA MILLS







Non ci sono dubbi che chi prenderà la guida di una nazione come il Ghana, morto e sono solo poche ore Atta Mills , dovrà avere ampie spalle e ottime capacità strategiche e progettuali in finanza e in politica per mantenere in piedi quell’equilibrio faticosamente raggiunto dal Paese africano, grazie alle doti indiscusse del predecessore.
Candidato favorito è al momento certamente John Dramani Mahama, vice di Mills, un uomo giovane (54 anni) e un autentico politico di razza.
John Dramani Mahama , che ha già preso in mano, com’è consuetudine secondo il diritto del Ghana, la situazione, e resterà facenti funzioni sino a dicembre, data delle prossime elezioni, piace moltissimo, per esempio, alle giovani generazioni,con le quali ha un franco dialogo, in ogni occasione, sia attraverso i “media” che nelle cerimonie ufficiali quando si rivolge loro.
In un Paese, con 24 milioni di abitanti e almeno 100 etnie, nel quale i giovani, come in quasi tutte le nazioni africane, sono senza dubbio numericamente i più, questo non è certo un dato da sottovalutare in vista della prossima campagna elettorale e di una eventuale possibile vittoria politica dell’uomo.
Anche se c’è da fare i conti con l’opposizione e cioè con il Nuovo partito patriottico (Npp), che sta già dando gas ai suoi motori tanta è la voglia di vincere.
Ma cosa si chiede in concreto al successore Evans Atta Mills?
Essenzialmente di conservare la stabilità politica ed economica del Ghana.
Ci riuscirà?
Noi ci auguriamo che il cammino di sviluppo democratico, iniziato da Mills, prosegua senza eccessivi intoppi. Ma in Africa, e quindi anche in Ghana, le incognite sono sempre molteplici.
A proposito di giovani bisognerà impegnarsi soprattutto sul fronte dell’occupazione (sono troppi i giovanissimi disoccupati pur in possesso di un titolo di studio), e ciò pur essendo il Ghana attualmente un buon esportatore di petrolio,di oro e di manganese.
Con una bilancia commerciale in attivo.
Anche le esportazioni di cacao in Ghana si difendono bene ma, tanto nel settore dell’agricoltura che in quello delle materie prime legate all’industria, occorre fare i conti sempre con il mercato internazionale e l’altalena dei prezzi, in una situazione di crisi economico-finanziaria mondiale, che non pratica sconti a nessuno. E la stessa Europa, ad esempio, lo constata, ahimé, giornalmente.
Pur godendo buona parte della popolazione del Ghana di un reddito medio, non mancano nel Paese coloro che stentano a portare avanti dignitosamente la propria famiglia.
E non è un piangersi addosso.
Pertanto occorrerà che chi succederà a Mills sia in grado di mantenere almeno il discreto benessere raggiunto in questi ultimi anni ma anche di apportare, se è possibile, gli opportuni correttivi, perché tutti usufruiscano di una corretta distribuzione del benessere della nazione.
Sarà possibile a patto che si vigili, senza distrazioni di sorta, sulla corruzione, un male endemico, presente nelle alte “sfere” non solo in Ghana o in Africa e, comunque, molto difficile, quasi dappertutto, da estirpare.
Specie se i “giochi” sono pesanti.
Italia docet.


a cura di Marianna Micheluzzi (Ukundimana)

martedì 24 luglio 2012

BUNJU (TANZANIA) /"ENENDENI"- LUGLIO-AGOSTO 2012





Rieccoci a parlare nuovamente di “Enendeni”, la rivista dei Missionari della Consolata, che operano in Tanzania.
Appuntamento in preventivo per Jambo Africa, che intende farla conoscere anche in Italia per coloro che, ad esempio, studiano o conoscono il swahili.
Parto laborioso comunque, quest’ultima uscita, parola di p. Francesco Bernardi, il direttore, perché in tipografia le macchine questa volta (e non il solito tipografo “pole pole”) hanno fatto, all’ultimo momento, un po’ di capricci.
Alla fine, però, “Enendeni” è fresco di stampa, in redazione, al “Consolata Mission Centre” di Bunju, pronto per intraprendere il suo cammino e raggiungere le case e le famiglie del Tanzania.
In tutto sono 32 pagine a colori con una tiratura di 3500 copie- precisa, alla mia domanda, p. Bernardi.
E’ un giornale modesto e povero economicamente, nato solo sei anni fa- continua il direttore- ma è letto parecchio negli ambienti cattolici e non del Tanzania.
La collaborazione dei redattori è a carattere internazionale. Ci sono italiani, keniani,spagnoli, portoghesi, brasiliani, congolesi, colombiani e tanzaniani.
Proprio una bella famiglia,animata da spirito missionario, e che intende dire la “sua” quanto a crescita educativa e impegno politico nel e del Paese.
Il numero ultimo è particolarmente interessante, perché propone in swahili il documento sunteggiato delle “disposizioni”conclusive del Secondo Sinodo dei vescovi africani, svoltosi a Roma nell’ottobre del 2009.
La proposta, dopo tre anni, scaturisce necessariamente dal fatto che la traduzione in swahili è recentissima.
Titolo del documento al completo, in swahili, è “Ari ya Afrika” e cioè “L’impegno dell’Africa” inteso come compito e cammino di giustizia e pace.
Nello specifico del sunto, proposto da “Enendeni” è “Afrika,Familia ya Mungu” (Africa, famiglia di Dio), nel quale si chiariscono (in Africa è fondamentale) i compiti specifici di vescovi, sacerdoti, catechisti e fedeli laici.
Sempre nell’ultimo numero di “Enendeni” si affronta l’argomento tabù dell’Aids , che è ancora un flagello, e quello molto più complesso della stregoneria, difficile da cancellare nelle culture autoctone africane in generale, e quindi anche in Tanzania.
Non manca l’altro spinoso tema del dialogo con i musulmani, specie da quando a Zanzibar i fedeli di Allah bruciano le chiese…
E, ancora, la storia di Regia, una donna che è stata membro del parlamento in Tanzania, una donna politicamente impegnata ma diversamente abile, morta a trent’anni in seguito ad un incidente stradale che, in vita, ha donato sempre parte del suo stipendio, ogni mese, per aiutare i bambini portatori di handicap come lei.
Anche con poco, quando si vuole, si può fare molto.


A cura di Marianna Micheluzzi (Ukundimana)

IO A LONDRA FARO' IL TIFO PER GUOR MARIAL ATLETA DEL SUD-SUDAN





Guor Marial ,pur essendo nativo del Sudan meridionale, alle ormai prossime e vicine Olimpiadi di Londra, correrà (così è stato stabilito) da maratoneta, con i cinque cerchi olimpici sulla maglia, come un “atleta indipendente”.
Gli organizzatori dei giochi avrebbero voluto che il giovane sudanese corresse, addirittura, per i colori di Khartoum ma lui ha rifiutato.
Infatti, per quanto in un certo senso sia stata parzialmente soddisfacente l’opzione (come Marial sono nelle stesse condizioni anche altri tre atleti provenienti dalle Antille Olandesi ) e il “nostro” manifesta, senza risparmio, tutta la gratitudine possibile e immaginabile nei confronti dell’organizzazione olimpica, sarebbe stato senz’altro molto più esaltante vedere in gara, nei prossimi giorni, il giovanissimo “Sud-Sudan”, l’ultimo Stato nato in casa d’Africa, lo scorso anno. Esattamente il 9 luglio 2011.
Purtroppo conosciamo le traversie di Juba e della gente di tutto il Sudan meridionale (una guerra frontaliera ancora oggi per l’accaparramento dei pozzi di petrolio, che contrappone nord a sud di un immenso paese, in cui ci sarebbe pacificamente posto per tutti, se non prevalesse l’ingordigia e la sete di potere di uno a scapito di un altro) e l’impossibilità, dunque, di creare in tempi brevi un comitato olimpico e di potersi poi iscrivere ai giochi.
Anche 28 anni addietro, quando Marial nacque e la sua famiglia fu costretta alla fuga negli Usa, c’era in corso in Sudan un’atroce guerra civile ,che contrapponeva musulmani a cristiani, celando, per gli allocchi, le autentiche motivazioni del conflitto dietro il fragile paravento di una guerra di religione.
A quel tempo- racconta l’atleta – morirono, per il conflitto in corso, parecchie persone appartenenti al suo parentado. Perciò è difficile dimenticare.
Ma negli Stati Uniti, dove è cresciuto e si è formato quale atleta, Marial gode ancora e soltanto dello stato di rifugiato politico. E questo significa per lui niente simbolo Usa sulla maglia.
Parlare di Guor Marial significa riflettere, al di là dei suoi meriti sportivi, che ci sono tutti, di una condizione di “guerra infinita” in Sudan e di tantissime altre guerre combattute e che si combattono in tanti altri Stati africani,anche adesso mentre scriviamo, guerre che nascono, spesso, solo per soddisfare i bisogni egoistici dell’Occidente e di cui l’Occidente ignora tutto. O comunque così cerca di fare credere.
Significa ,soprattutto, mettere il dito nella piaga a proposito delle condizioni di vita di tanti migranti dall’Africa e non solo ( i luoghi di accoglienza sono generalmente ghetti luridi e sovraffollati), in giro per il mondo, e giunti avventurosamente (quando magari non l’inghiotte il Mediterraneo) anche nel nostro Paese.
Condizione che significa, pur se tutto è in regola, ostacoli burocratici notevoli per ottenere l’agognata condizione di asilo e/o di rifugiato politico, in particolare.
E’ bene pensare, osservando le potenzialità in atto di un giovane africano, in questo caso parliamo di uno sportivo, Guor Marial, quanto spreco di risorse umane si compiono giornalmente in Africa e potrebbe non essere, se solo la solidarietà e la fratellanza autentica riuscissero ad avere la meglio sugli “egoismi” dell’umanità.
Egoismi che, comunque, sono uguali a tutte le latitudini e che non fanno “distinguo” in base al colore della pelle, della lingua e/o della cultura di riferimento.
El Bashir a Khartoum e Assad e i suoi sgherri in Siria non sono poi molto differenti.
Non lo erano Hitler in Germania e Stalin nella Russia di allora.
Non lo sono le lobby finanziarie, che si celano dietro le multinazionali che sfruttano uomini, donne e bambini nelle miniere del Kivu e/o comunque di mezza Africa.
L’augurio a Guor Marial è, allora, che possa certamente distinguersi a Londra con una vittoria ma arrivare molto presto, prestissimo, a difendere i colori della “sua” terra, il Sud-Sudan.
Com’è giusto che sia.
A noi “umani” di non smettere di tentare di ammorbidire il “nostro” cuore di pietra.

a cura di Marianna Micheluzzi (ukundimana)

lunedì 23 luglio 2012

CAMPO ESTIVO LVIA -PALERMO /EDUCAZIONE ALLA PACE E ALLA MONDIALITA'



Mancano pochi giorni al 31 luglio, data di scadenza per l'iscrizione alla settima edizione del Campo estivo ,organizzato dall'LVIA-Palermo al Parco delle Madonie, con visite guidate a San Giuseppe Jato.



Una settimana di "vacanze intelligenti" immersi nelle bellezze del parco con incontri e dibattiti sul tema "Cantiere di educazione alla pace e alla mondialità" insieme ai volontari delle associazioni ,che lavorano quotidianamente sul territorio siciliano con azioni e progetti di solidarietà e di giustizia.



Nel corso della settimana sono previsti anche approfondimenti e dibattiti su tematiche economiche, sociali politiche e culturali.



Per informazioni più dettagliate andare a consultare il sito on line http://www.lvia.it/.






a cura di Marianna Micheluzzi (Ukundimana)

domenica 22 luglio 2012

'ORIGINE DEL TUONO / RACCONTO HAUSA /L'ANGOLO DEL GRIOT







Cari amici della domenica, ritornando nel solito villaggio in Africa, incontriamo quest’oggi tre personaggi molto interessanti.
Il primo è quello che noi, dalle nostre parti, definiamo, senza mezzi termini, uno sbruffone.
Il secondo è il “Gigante della foresta”, un personaggio dalla connotazione decisamente mitologica.
Il terzo è, infine, un”Uomo fra gli uomini”.
Almeno così vengono definiti laggiù gli uomini vigorosi e dotati di super-poteri.
Accade che un giorno, uno come tanti, il” nostro” sbruffone voglia dimostrare a sua moglie, donna deboluccia secondo lui, le proprie capacità di uomo forzuto, recandosi con lei a prendere l’acqua per gli usi domestici in un pozzo molto lontano chilometri e chilometri dalla loro casa.
La moglie,che non gli crede affatto, lo lascia fare comunque. E poi, in situazione, gli dimostra che il vero figlio dell’”Uomo fra gli uomini”, quello che il marito presume di essere e che non è, e cioè appena un bambino, quello sì che è sul serio capace di aiutarla, attingendo pesanti secchi , colmi d’acqua, dal pozzo.
E, ancora, per far cessare per sempre le vanterie dello sbruffone, invita il marito a seguirla per cerziorarsi della reale esistenza, appunto, de l”Uomo fra gli uomini” fin nella casa di lui.
Ma, una volta sul posto, dopo aver seguito pazientemente le orme del bambino incontrato al pozzo, lo sbruffone è costretto, gioco forza, a nascondersi in modo tale da non farsi scoprire da l’”Uomo fra gli uomini”, il quale, che adesso dorme, può divenire, al risveglio, sul serio molto pericoloso.
Infatti, dopo alcune ore, ecco che l’”Uomo fra gli uomini”, sbadiglia e apre gli occhi e subito, inquieto, avverte la presenza di un estraneo nella sua dimora.
Lo sbruffone, allora, fugge cautamente dal suo nascondiglio, che era poi la dispensa della casa, ma è inevitabilmente inseguito.
Macina affannosamente tantissimi chilometri nella fuga attraverso i campi.
Incontra ovviamente diversi contadini intenti al lavoro, ma ogni volta,anche se stremato, deve continuare a correre, inseguito com’è da l’”Uomo fra gli uomini”.
Fino a quando non s’imbatte fortunatamente nel “Gigante della foresta”.
Questi lo accoglie subito, non lo manda via e, anzi, lo prende con benevolenza sotto la sua protezione.
Arriva, però, l”Uomo fra gli uomini” e i due vegliardi, nonché entrambi insigni personaggi della foresta , ingaggiano all’istante tra loro due una terribile lotta, al termine della quale non ci sono né vinti, né vincitori.
C’è solo una benefica pioggia che irrora tutta la vegetazione.
Per chi non avesse ancora le idee chiare l”Uomo tra gli uomini” altri non è che il tuono, capace di scatenare con la sua forza, mentre lotta con la “natura” e cioè con il”Gigante della foresta”, violenti temporali, che mitigano poi l’arsura della terra d’Africa e regalano così agli uomini, alle donne, agli anziani e ai bambini copiosi frutti.
Infatti, tutti, al termine della “lotta”, altro non sono che solo felici e contenti.
C’è cibo per tutti.

Marianna Micheluzzi (Ukundimana)

sabato 21 luglio 2012

BUNJU (TANZANIA) /BABA FRANCESCO E L'ALBERO DI "QUARANTA "






E'un albero che mi ha sempre incuriosito e incantato.
È tenacissimo. Resiste alla siccità come pochissimi.
Ha una vitalità che non conosce remore. I suoi rami entrano persino in casa, se non li ridimensioni debitamente. Però la gente lo massacra, quando lo pota, e lo abbandona con “moncherini” che gridano pietà.
Ma, poco dopo, è nuovo garrulo e ridente nei suo verde lussureggiante.
- Come si chiama quest’albero? - chiedo finalmente un giorno.
- Si chiama “Di quaranta” - mi risponde un anziano.
- Come?
- Di quaranta - mi urla quel vecchio (credendomi sordo), mostrando tutti i suoi denti ancora immacolati.

Proprio così: “Di quaranta” (Mwa arobaini, in swahili), non semplicemente “quaranta”.
- Quaranta persone o cose? - insisto ancora.
- Quaranta malattie.
Meraviglioso e provvidenziale. Le foglie e la corteccia di quest’albero, tramutate in decotto o masticate pazientemente, guariscono da ben quaranta malattie.
Inoltre le donne ne ricavavano legna per cucinare la benedetta polenta o carbonella da accendere la sera, porre nel braciere e trovare un po’ di calore nelle notti ventose e fredde.
Gli uomini, poi, ne ricavano assi per sedie o letti: un po’ rozzi, ma sempre meglio della nuda terra.
A me, tuttavia, impressionano le “quaranta malattie”. Praticamente tutti i malanni del mondo.
Ma sarà proprio vero?
Prima di rispondere, il mio anziano interlocutore si concede una pausa di silenzio. Infine dichiara: “Veramente oggi gli uomini e donne sono cambiati molto, troppo, e forse anche gli alberi non sono più come un tempo. Da quando l’uomo è andato sulla luna, tutto è mutato. Per esempio: al presente moltissimi si parlano da lontano, senza vedersi e senza nemmeno alzare la voce, portandosi all’orecchio una cosa che chiamano “cellulare”. Non chiedermi che cos’è, perché non solo…”.
- Allora, bwana, “Di quaranta” guarisce o non guarisce 40 malattie?
- Ah, Dio solo lo sa!






Francesco Bernardi (IMC)

venerdì 20 luglio 2012

I COLORI DELL'INCONSCIO SPECCHIO DEL MONDO





La pittura di Josep Segui Rico, artista alcoiano contemporaneo, nativo della città di Valencia,
che in questi ultimi tempi espone anche in Francia, spazia essenzialmente dalla monocromìa alla diacronìa, non disdegnando talvolta l’inserimento, nella campitura del quadro, di una qualche figura, che però si percepisce appena, ad occhio attento, attraverso le morbide trasparenze dell’insieme dell’opera, trasparenze dovute essenzialmente ad un sapiente utilizzo che l’artista fa della luce.
Ovvero le tele,che hanno per protagonista assoluto quasi sempre solo il colore o i colori (più di uno) nelle diverse tonalità e sfumature,sono giocate su entrambi i versanti.
A volte è il colore unico, prepotente,che digrada e si propone con voluttà. Oppure, altre volte, i colori sono due. E si confrontano,si sfidano contrapponendosi addirittura. E poi ancora ecco apparire dei “graffi” di colore, improvvisi,inaspettati, quasi ferite volutamente inferte alla tela.
A differenza di Mark Rothko, insigne maestro di scuola americana ,da cui Segui ha comunque mutuato insegnamenti sia per formazione artistica che per la sua permanenza negli Stati Uniti , il “nostro” non delimita mai l’opera. Non realizza rettangoli o quadrati ben definiti.Nessun geometrismo.
Dà, invece, ampio spazio ai colori. Li accompagna lasciandoli dolcemente scivolare senza impedimento.
Gli stessi talora si presentano, a tratti, sotto forma di grumi. La ruvidezza del vivere appunto. Il dramma dell’essere nel mondo. Ieri e oggi. Sangue e carne viva. Nascita e morte. Tempi di guerra e tempi di pace. Ricchezza e povertà .Esemplificazioni concettuali da dipanare
Non quindi assenza completa dell’oggetto come nella pittura di Malevic, il pittore russo, che all’inizio del secolo scorso aveva decretato, con un suo “manifesto”, la “fine della pittura” e la nascita del“suprematismo” ma qualcosa di nuovo e di diverso, che merita tutta l’attenzione del fruitore. L’ennesima sfida che ci viene dal mondo dell’ARTE. Un laboratorio, quello di Segui, in continua e costante sperimentazione, di cui egli non è mai pago.
Colori prediletti il rosso e il nero. Amore e morte. La roulette della vita. Ma anche il viola(malinconia), il blu (voglia di andare), il verde (desiderio di pace-contemplazione -amore della natura) e poi il bianco, limitatamente,che possiamo leggere come atarassia dinanzi all’incubo dell’eterno presente. Una messa tra parentesi del soggetto agente di husserliana memoria.
La misura dell’utilizzo dei diversi colori nel progetto dell’artista è, in sostanza, la “storia” stessa che egli ci racconta e che noi siamo invitati a saper leggere..
La lettura dei colori nell’insieme della struttura del quadro, ogni volta, è una vicenda diversa, alternativa, magari, alla precedente.
Vicenda personale dell’artista ? Forse. O forse no. Ma anche e soprattutto “storia” di chi è spettatore partecipante.
Perché questa è l’universalità della “vera” arte. Riuscire a parlare agli uomini degli uomini tutti, cioè dell’umano in sé, al di là del tempo storico e della contingenza.
E la pittura di Josep Segui lo fa molto egregiamente.


Marianna Micheluzzi

NO ALL'INFIBULAZIONE DA PARTE DEL TRIBUNALE IN COSTA D'AVORIO / ACCADE A KATIOLA







La Corte di Katiola, una città nel nord della Costa d’Avorio ha condannato ad un anno di carcere e ad una salatissima multa ben 9 donne del luogo, tutte di differente età (da 46 a 91 anni), in quanto colpevoli d’infibulazione o comunque di aver assistito e partecipato a tale cerimonia rituale,che si rivolge a donne-bambine.
Una pratica, questa,ormai considerata nell’Africa moderna qualcosa di ancestrale e di terribilmente pericoloso. Rifiutata spesso dalle stesse donne, le madri delle preadolescenti.
E’ la prima volta che accade una cosa del genere e, senza ombra di dubbio, può essere considerata davvero una condanna esemplare da parte di un tribunale se si tiene conto che in Costa d’Avorio, da moltissimo tempo, si combatte ufficialmente contro tale pratica con numerosi programmi di sensibilizzazione, rivolti sopratutto al mondo femminile ma anche maschile.
E chiaramente nel corso degli incontri i formatori e le formatrici non fanno altro che evidenziare la pericolosità dell’infibulazione e dei danni conseguenti, nonché permanenti, alla salute della donna.
In precedenza tuttavia, sempre in Costa d’Avorio, quando si scoprivano le responsabili di tali pratiche, in genere donne, c’era solo un’ammonizione pubblica presso un posto di polizia locale o comunque, volendo, si chiudeva addirittura un occhio se non tutti e due.
Ecco perché, fermo restando la difficoltà di mandare nel dimenticatoio certe disumane tradizioni,oggi non più ammissibili, è da salutare con un grande plauso quanto è accaduto a Katiola.
Esiste un divieto del parlamento già dal 1998 ma le cifre ci dicono che nel Paese, specie nel nord e nell’ovest, la percentuale delle donne-bambine, che si sottopongono all’infibulazione oscilla ancora tra il 36% e il 42%.
E non è raro che comunità trasferitesi da quelle aree la pratichino anche ad Abidjan.
Accanto all’infibulazione, secondo il ministro ivoriano della Famiglia, la donna è inoltre oggetto di troppe violenze fisiche anche nell’ambito familiare. E poi non mancano gli stupri e le violenze psicologiche, cicatrici difficilmente cancellabili nell’esistenza di una persona, per quanto si faccia il possibile per far dimenticare.
Quest’ultimo tema, cioé la violenza contro la donna nel suo ampio spettro, sarà proposta di legge a breve in quanto, durante i disordini seguiti alle ultime elezioni, più di 14 mila donne, a conti fatti, pare ne siano rimaste vittime. Di queste alcune hanno avuto il coraggio di denunciare e altre no.


a cura di Marianna Micheluzzi (Ukundimana)

giovedì 19 luglio 2012

"FORMA DI PROBABILITA' " DI WAFAA LAMRANI /SPAZIO POESIA







Dissemino le stelle intorno al mio corpo
Comunicando con ogni fibra sensibile,con ogni cellula:
che cosa sono il nome,il verbo, l’identità?
Né il divieto mi annulla
né l’imperativo mi plasma
né il nome mi contiene.


a cura di Marianna Micheluzzi (Ukundimana)






Il dipinto a lato del testo "LA TERRA BRUCIA" è del pittore spagnolo Joseph Segui Rico

mercoledì 18 luglio 2012

PARIGI (ROLAND TOPOR) /READING





Tutti innamorati di Parigi, felici di farsi ingiuriare dal fornaio, scacciare dal droghiere, tassare dai portieri d’albergo e portinai.
Il flic cui viene chiesta un’informazione li precipita in un altro pianeta, il giornalaio nega un giornale diverso dicendo :”Vous croyez que je n’ai que ça à faire ?”



Il barista tenta di avvelenarli con un pessimo beaujolais.
Ma perché malgrado tutto uomini e donne amano Parigi ?
Perché è il luogo dove vengono ad espiare i loro peccati locali, la loro origine, la loro differente cultura, i problemi personali, l’infanzia, la storia del loro paese d’origine.
Parigi è la Lourdes, la Mecca, la Gerusalemme di tutti quelli che hanno cattiva coscienza.

a cura di Marianna Micheluzzi

sabato 14 luglio 2012

ORIGINE DELLA CREAZIONE IN UN RACCONTO NEPE (NIGERIA) / ANGOLO DEL GRIOT







Dio creò la tartaruga, gli uomini e le pietre. Di ognuno creò i maschi e le femmine. E diede vita a tutti, tranne alle pietre.
Nessuno poteva avere figli e, una volta invecchiati, non sarebbero morti ma ritornati tutti giovani.
La , però, voleva avere figli e si recò da Dio.
E Dio le disse: “Ti ho dato la vita ma non il permesso di avere figli”.
La tartaruga continuò a insistere e a tormentare Dio fino a che Dio rispose: “Tu vieni sempre qui a chiedermi dei figli. Non hai ancora capito che quando gli esseri viventi hanno dei figli, poi devono morire?”.
E la tartaruga prontamente rispose:”Lascia che io veda i miei figli e poi che io muoia”.
Dio, allora, per non averla più d’attorno, esaudì i suoi desideri.
Quando l’uomo, però, vide che la tartaruga aveva figli , anche lui desiderò averne.
Dio avvertì l’uomo comunque, come aveva fatto prima con la tartaruga, che sarebbe morto.
Ma anche l’uomo replicò : “Lascia che io veda i miei figli e poi che io muoia”.
Così i bambini e la morte arrivarono nel mondo.
Solo le pietre non vollero avere figli.
Per questo motivo esse, le pietre, non muoiono mai.

a cura di Marianna Micheluzzi (Ukundimana)

"I MORTI NON SONO MORTI" ( BIRAGO DIOP-POETA E SCRITTORE SENEGALESE) / SPAZIO POESIA





Ascolta più spesso ciò che vive
ascolta la voce del fuoco
ascolta la voce dell’acqua
e ascolta nel vento
i singhiozzi della boscaglia :
sono il soffio degli antenati.
I morti esistono,essi non sono mai partiti,
sono nell’ombra che s’illumina,
e nell’ombra che scende
nella profonda oscurità.
Sono nell’albero minaccioso
e nel bosco che geme,
sono nell’acqua che scorre,
sono nell’acqua stagnante,
sono nelle capanne, sono nelle piroghe.
I morti non sono morti.
I morti esistono,non sono mai partiti,
sono nei seni della donna
sono nel bimbo portato dal suo corpo
sono nel tizzone che si accende
non sono sottoterra
sono nell’incendio che divampa
sono nelle erbe che piangono
sono nelle rocce che gemono
sono nella foresta, nelle abitazioni, nelle barche.
I morti non sono morti.






a cura di Marianna Micheluzzi (Ukundimana)

venerdì 13 luglio 2012

CCM-TORINO / MEDICI PER L'AFRICA / BILANCI IN POSITIVO





Il Comitato di Collaborazione Medica di Torino ,di cui per altro abbiamo già parlato in altre occasioni, ha fatto , appena pochi giorni fa, un primo bilancio del periodo 2011-2012 in merito alla propria attività medico-sanitaria in Africa,in seno all’assemblea dei soci.
Intanto occorre premettere che tutti i progetti, quelli passati e quelli in corso di attuazione del CCM, si realizzano sempre attraverso l’impegno di medici e personale infermieristico africano, supportati solo alla bisogna da omologhi italiani.
Ma soltanto questo, in quanto l’obiettivo è quello di dare , per gradi, autonomia ai piccoli ospedali, ai presidi o alle case della salute presenti sul territorio del continente nero attraverso una formazione adeguata e un buon coordinamento.
L’anno 2011 ha visto il CCM – si è detto nell’incontro del 30 giugno – molto attivo specie in Burundi, Etiopia, Kenya, Mali, Somalia, Sud-Sudan e in Italia per la popolazione degli immigrati nel nostro paese (Progetto Aracne realizzato in collaborazione con”Mamre” e”Tavola di Babele”).
Tutti i medici del CCM è noto, inoltre, che trascorrono ovviamente periodi più o meno lunghi di servizio nei luoghi di missione, al termine dei quali mettono il personale africano in grado di agire con maggiore sicurezza di prima e lo forniscono di quanto indispensabile (denaro) per l’acquisto di farmaci e/o altro oppure di somme destinate al pagamento degli stipendi.
Fondamentale per l’Africa, e quindi per il CCM, è la continuità del servizio nei luoghi,in cui la gente, magari dopo avere macinato chilometri e chilometri con grande disagio, si reca in cerca di aiuto.
Come quelle donne in attesa di un bimbo, per le quali, sempre nel 2011, è stata lanciata in Italia la campagna”Sorrisi di madri africane”,andata a buon fine.
Facendo alcuni altri esempi dell’attività svolta lo scorso anno, sempre nel corso dell’incontro del 30 giugno, si è parlato anche del progetto triennale per il Burundi, finanziato dalla Commissione Europea, per la cura delle donne vittime della violenza sessuale. E poi anche dell’impegno in Etiopia nella zona di confine con la Somalia, affollata da profughi che hanno cercato e cercano, ancora oggi, di fuggire dai conflitti armati, dalla fame e dalla sete.
Concludendo l’impegno dei medici e del personale sanitario del CCM di Torino è decisamente meritorio di lode e, per questo, andrebbe clonato (scherzosamente) in altre realtà territoriali della nostra penisola,perché altri medici, animati da spirito di servizio, possano mettere la propria piccola o grande esperienza a disposizione di chi la richiede.
L’Africa( e non solo) è una terra immensa, appunto un continente, e i problemi laggiù (lo sappiamo bene) non si contano certo sulle dita di una sola mano.
Perciò, coraggio. Nulla è impossibile .Anche in questa Italia che sta vivendo momenti critici.
Collaborare è bello .E “spirito di servizio” è qualcosa d’impagabile.
Diamoci una “mossa”.Impariamo a fare da chi già fa e con intelligenza e ottimi risultati.


a cura di Marianna Micheluzzi (Ukundimana)

giovedì 12 luglio 2012

LEGGERE "AFRICA" SOTTO L'OMBRELLONE (PER LUI & PER LEI )





Uno sguardo sulle contraddizioni che governano le politiche migratorie nel mondo.
E’quanto ci propone con stile agile, e che si presta ad una lettura scorrevole, Vittorio Longhi in “La rivolta dei migranti”- Duepunti edizioni/ 2012.
Nei paesi industrializzati-scrive Longhi – e notorio che c’è bisogno di forza lavoro per compiti che gli”indigeni” rifiutano di fare. Tuttavia è difficilissimo per un “migrante” passare un confine, entrare e lavorare in modo legale e dignitoso.
Soffermandosi su quanto avviene nel Golfo Persico, negli Usa, in Franca e in Italia, Longhi, che è giornalista specializzato in politiche internazionali del lavoro individua un nuovo protagonismo sociale dei migranti, che rivendicano di ritti e si battono per questo.

Susanna Fontani ne “L’amore ai giorni del coraggio”-(Albatros editore /2011) racconta, invece, la storia di Vincent, un giovane arrivato dal Kenya con tanti sogni nella testa,come accade, che si ritrova a fare il “vu cumprà” nelle nostre strade e nei nostri mercati.
Ma il destino di Vincent, supportato da una grande forza di volontà e tenacia, cambia completamente il giorno in cui incontra Viola, una ragazza italiana di cui s’innamora.
Entrambi, infatti, e insieme cominciano a guardare all’Africa e a progettare un vita in due laggiù.
E sarà tutta un’altra “storia”. Un’autentica “love story”.Africa inclusa.

a cura di Marianna Micheluzzi (Ukundimana)

L'ABISSO / SPAZIO POESIA





L’uomo scivola lungo
la ripida parete di ghiaccio
e laggiù nel fondo dell’abisso
spirali sempre più strette
come cerchi concentrici
che rimpiccioliscono
(fino a chiudersi del tutto)
lo abbracciano stretto a imbuto.
Qualche giorno dopo nel verde
gialle margherite di campo
sono per lui bonaria coltre.
I bimbi giocano a girotondo.
E nessuno più ricorda.


Marianna Micheluzzi (Ukundimana)

CINEMA ITALIANO PREMIATO IN CAMERUN / NEMO PROPHETA IN PATRIA







Dopo aver ricevuto l’Oscar in Cina , il film italiano “Ainom” di Lorenzo Ceva Valla e Mario Garofano ha bissato con successo e ricevuto il premio come miglior film straniero al Festival nazionale del cinema camerunense “Ecrans noirs”.
La motivazione che ha fatto preferire “Ainom” ad altri film in concorso (canadesi, argentini, francesi, spagnoli) è stata quella di un’integrazione reale in Italia degli immigrati, la qual cosa ben traspare da ogni fotogramma della vicenda narrata nella finzione cinematografica.
La storia è ,infatti, quella di una giovane donna africana, ex-guerrigliera eritrea, che si rifugia fortunosamente in Italia per poter cominciare a vivere nuovamente.
Avere cioè un’esistenza serena e normale, come quella di tante altre donne della sua età e della sua condizione.
Anche se poi le peripezie intrigate che vive, in un paesino ai confini con la Francia, una stazione sciistica dove la giovane ha trovato lavoro, non fanno inizialmente ben sperare.
Ma il desiderio più grande è per lei, risolti i primi inevitabili problemi, quello di ricongiungersi al marito e al figlioletto, richiamando anch’essi nel nostro Paese.
Un film che merita d’essere visto non fosse altro che per avere conferma e/o smentita del vecchio adagio: “Nessuno è profeta in patria!”.
E ,comunque ,complimenti agli autori e regista.

a cura di Marianna Micheluzzi (Ukundimana)

mercoledì 11 luglio 2012

ETIOPIA /UNA NUOVA FERROVIA OPERA DI UNA AZIENDA TURCA E DI UNA CINESE







Mi riferisco ad una ferrovia nuova di zecca, che collegherà a breve le miniere di sali di potassio dell’Etiopia nord-orientale con Gibuti e il Mar Rosso.
La notizia è stata diffusa ufficialmente, giorni fa, dall’amministratore delegato della società diStato Ethiopian Railways Corporation (Erc).
Le due società che si occuperanno dei lavori sono rispettivamente la cinese China Communications Construction Company e la turca Yapi Merzeki.
La sua costruzione è stata decisa con la firma di due separati contratti ad Addis Abeba, la capitale etiope, per un valore in denaro di oltre due miliardi e mezzo di euro.
Le miniere di potassio sono quelle note dell’Afar, che sono per altro gestite anche da una società canadese e cioè la Allana Potash Corporation.
L’infrastruttura rientra in un piano di ampliamento della rete dei trasporti in Etiopia, annunciato in precedenza dal governo etiope, che per il piano nazionale dei trasporti prevede la costruzione di cinquemila chilometri di rotaie entro il 2020, dei quali seicento dovrebbero essere realizzati entro i prossimi tre anni.

a cura di Marianna Micheluzzi (Ukundimana)

THOMAS LUBANGA / GIUSTA LA CONDANNA MA TROPPO MITE LA PENA





Thomas Lubanga è stato condannato dal Tribunale penale internazionale de l’Aja, prima condanna del genere, per aver arruolato bambini-soldati nella regione dell’Ituri, nella Repubblica democratica del Congo, negli anni 2002-2003, durante una guerra civile alimentata ad arte tra Hema e Lendu.
Una guerra scatenata da signori della guerra del luogo, tra cui Lubanga, bramosi esclusivamente d’impossessarsi delle ricchezze del sottosuolo(oro e minerali pregiati), approfittando dei contrasti mai sopiti tra le due etnìe allo scopo unico di divenire forti, ricchi e potenti.
La pena comminata è di appena di quattordici anni, di cui Lubanga sicuramente ne sconterà appena otto, per aver collaborato con abilità (possiede una laurea in Psicologia, rilasciata dall’università di Kisangani), dall’inizio, con i giudici. Si tratta di una pena molto mite, specie se si considera i danni permanenti effettivamente arrecati e difficilmente cancellabili nell’esistenza di quei bambini e di quelle bambine, oggi uomini e donne comunque disorientati(è un eufemismo), fantasmi di se stessi.
Se non addirittura,in alcuni casi,molto peggio.
Si sperava, infatti, in un ergastolo esemplare.
La critica mossa al Tribunale de L’Aja, inoltre ,è stata anche quella di una lungaggine eccessiva per giungere alla sentenza definitiva e con costi di gestione, che sono noti, cifre alla mano, per essere molto elevati.
Questo considerando che ci sono in attesa di giudizio per lo stesso tipo di reato ancora molti altri imputati. Tutti africani e tutti coinvolti nelle loro assurde e orrende guerre fratricide.

a cura di Marianna Micheluzzi (Ukundimana)

martedì 10 luglio 2012

PARIGI /PROTESTE IN CENTRO CITTA ' DEI CONGOLESI NATURALIZZATI FRANCESI CONTRO GLI I PAD










Nei giorni scorsi una significativa manifestazione di protesta di un gruppo di parigini di origine congolese si è svolta a Parigi, di fronte al centralissimo e lussuosissimo “Apple Store”,inaugurato di recente nella piazza dell’Opera.
Lo slogan della protesta recitava :”Otto milioni di morti Congolesi per i vostri i Pad”.
L’obiettivo dei manifestanti era ed è quello di sensibilizzare l’opinione pubblica, la gente e soprattutto i consumatori di prodotti ad alta tecnologia,oggetti presenti ormai in quasi tutte le case, sul traffico di minerali come il coltan e la cassiterite , materie prime estratte in condizioni disumane anche dai bambini nelle miniere congolesi, che sono utilizzate per la fabbricazione di innumerevoli strumenti elettronici tra cui il pc, i telefoni cellulari, gli i Pad, gli hi fi , i televisori, i decoder, gli scanner e le stampanti.
La provocazione plateale non è certo il rifiuto delle tecnologie, che è antistorico oltre che impossibile, ma rendere consapevoli le persone dell’alto prezzo che le tecnologie, che noi usiamo con disinvoltura, comportano a migliaia di uomini, donne e bambini in Congo, perché purtroppo il traffico delle materie prime alimenta la destabilizzazione del Paese tramite rivenditori congolesi collegati alle Fdlr ribelli.
Dunque, ancora sangue, tanto sangue. In Africa. In Congo. Anche con il nostro involontario e magari inconsapevole concorso.
E, perciò, sarebbe il caso di porre momentaneamente un solenne alt!!!!
In poche parole rivedere (rivolto ai produttori di tecnologie), per un attimo, le modalità delle transazioni (come? /con chi?) all’interno di questo genere di commercio.

a cura di Marianna Micheluzzi (Ukundimana)

lunedì 9 luglio 2012

MAURITANIA / AGEVOLAZIONI FISCALI PER FAVORIRE I PESCATORI DI NOUADHIBOU





La Mauritania, in questi ultimi mesi, ha deciso a livello governativo di offrire un regime fiscale preferenziale alla città di Nouadhibou , porto importantissimo, per favorire lo sviluppo dell’industria della pesca.
Trattandosi, infatti, di una baia con notevoli potenzialità sia naturali che strategiche, il Consiglio dei ministri ne ha reso ufficiale l’iniziativa, per altro lodevole, attraverso i media locali.
L’obiettivo, infatti, è quello di mettere in piedi una zona di libero scambio e un autentico polo di sviluppo privilegiato per il Paese.
Il che, considerando la grave crisi economico-alimentare che attanaglia l’area dei paesi saheliani, Mauritania inclusa, non è affatto un’idea malvagia.
La sopravvivenza, cioè,tanto in termini di occupazione che di alimentazione autonoma e a buon mercato, per buona parte della popolazione può così venire dal mare e da questo antico mestiere.

a cura di Marianna Micheluzzi (Ukundimana)

SUD-SUDAN /OBIETTIVO DESTABILIZZAZIONE /ARMI CINESI E UCRAINE ALIMENTANO IL CONFLITTO





Armi e uomini provenienti da Cina, Ucraina e Sudan del Nord, quello di Al Bashir, stanno notevolmente alimentando il conflitto nel Sud-Sudan.
La denuncia è stata fatta da Amnesty International, che ha pubblicato un significativo Rapporto dal titolo : “Conflict,Arm Suplies fuel violations in Mayom County,Unity State”.
Lo studio prende in esame il flusso di armamenti nel Paese,il Sud- Sudan, concentrandosi in particolare sulla contea di Mayom.
La zona è quella a nord-ovest dello stato di Unity.
Per saperne di più consultare anche, e soprattutto, il Rapporto Sipri 2011 e l’articolo di Gianni Ballarini, sul numero di maggio scorso di “Nigrizia”, il mensile dei Comboniani di Verona,che analizza il panorama mondiale del lucroso traffico d’armi a partire dallo specifico dell’Africa, con una crescita del volume d’affari dell’8,6% rispetto agli anni precedenti e dove la corsa agli armamenti non è frenata nemmeno dalla povertà più estrema.

a cura di Marianna Micheluzzi (Ukundimana)

domenica 8 luglio 2012

AFFARI E POLITICA / IN ATTESA DELLA NUOVA LIBIA







Oltre duecento miliardi di dollari di commesse, legate a petrolio e gas naturale ,è questa la posta in gioco,che riguarda anche il nostro Paese e ,quindi, le nostre imprese.
Un affare che definire ghiotto per quella che dovrà essere una ricostruzione, che in Libia in effetti è indispensabile, è solo un inappropriato eufemismo
In attesa di una ufficialità ufficiale pare che i risultati delle urne abbiano dato ragione al “vecchio” corso politico sul nuovo, cioè quello liberale e conservatore rispetto al nuovo e molto temuto di un Islam intransigente (l’applicazione della sharìa),fosse pure quello di”Giustizia e sviluppo” dei Fratelli Musulmani,leggermente più morbido.
Il tutto, a quanto parrebbe, in controtendenza con le note “primavere arabe”.
Tanto che già da ieri il presidente USA, Obama , ha fatto pervenire il suo plauso ai libici per come si sono svolte le operazioni di voto .E cioè senza notevoli inconvenienti come piuttosto aleggiava nel cielo, specie dopo le minacce secessioniste della Cirenaica e i malumori del Fezzan.
Le elezioni sono state le prime multipartitiche dal 1952.
Ciò che un po’ disturba è la decisione, non prevista da parte degli occidentali, del Consiglio Nazionale di Transizione (CNT) di affidare ancora a successive elezioni la composizione della commissione che avrà il compito di scrivere la Costituzione.
Tempi lunghi, insomma. Troppo lunghi per dialogare, alla pari, con un partner decisamente troppo importante.

A cura di Marianna Micheluzzi (Ukundimana)

sabato 7 luglio 2012

PERCHE' IL CANE E' IL MIGLIORE AMICO DELL' UOMO / L'ANGOLO DEL GRIOT /





Ai margini dell’ormai noto villaggio africano, che abbiamo preso a frequentare, abitano un leopardo e sua moglie insieme a un cane, che vive da sempre con loro.
Ma il cane ha un cruccio. Non è trattato dai due proprio come si dovrebbe a un collaboratore.
Non lo tengono cioè in nessuna considerazione se non per imporgli comandi.
Un giorno, quando ormai la stagione delle grandi piogge è imminente, il leopardo chiede con imperio al cane di andare con lui a stanare le succose formiche dal formicaio dei paraggi per farne un delizioso pranzetto, una volta che poi sua moglie si fosse messa ai fornelli.
E così accade. Anzi,ad operazione compiuta e a tantissime formiche avanzate dalla tavola, la moglie del leopardo, previdente e parsimoniosa com’è, provvede inoltre a fare delle rimanenti un’abbondante frittura da mandare in dono, per generosità e magari anche per un po’ di ostentazione, ai suoi parenti lontani.
L’indomani, infatti, partono in viaggio il leopardo e il cane.
E il cane, piccolo servo qual è , ha il compito scontato di custodire in una bisaccia il prezioso carico mentre il padrone si diletta con la sua arpa e anzi si esibisce per la gioia di chi, lungo la via, gli domanda, su due piedi, l’esecuzione di un’aria.
Il leopardo è, infatti, un valente musicista.
Macinati un po’ di chilometri , il cane,ad un tratto, chiede al leopardo di potersi allontanare nell’erba per fare un “bisognino”.
Così si defila dalla strada maestra, apre in fretta la bisaccia e, in meno che si possa dire, mangia tutte le formiche fritte, sostituendole nella stessa con dei ciuffi d’erba secca strappati al momento.
Quando però, arrivati dai parenti, l’inganno è palese e manifesto, il cane è costretto immantinente alla fuga su tutte e quattro le sue zampe, se non vuole avere la peggio e, per giunta, da un leopardo che certo non perdona chi osa fargli uno sgarbo. Fosse pure suo fratello.
Così il “nostro” cane ripara, fortunosamente, nell’alloggio di una pecora, che lo ospita molto benevolmente.
Un giorno , però, si viene a sapere di una festa nell’abitazione del leopardo, perché sua moglie ha avuto in parto due bei gemelli.
La pecora vuole partecipare anch’essa ai festeggiamenti e convince l’amico cane a fare altrettanto , promettendogli protezione.
Che tipo di protezione?
“E’ semplice – dice lei al cane – ti nasconderò nella mia coda”.
I due si avviano e la festa a casa dei leopardi non si può non dire che non sia sfarzosa.
C’è ogni ben di Dio da mangiare e da bere e, soprattutto, tantissima musica da potersi scatenare nelle danze fino a notte fonda.
Anche la pecora, allora, si lascia coinvolgere dalla musica, dimentica del cane che custodiva nella coda.
Con un movimento brusco di troppo, ecco all’improvviso che il cane fuoriesce dalla coda della pecora ed è subito intercettato dall’antico padrone che, senza pensarci neanche un attimo, prende ad inseguirlo per fargliela pagare.
Corri, corri, scappa, scappa, il cane arriva, in cima ad un pianoro, alla capanna dell’uomo solitario, una specie di stregone cui tutti, era noto, dovevano da sempre rispetto, anche i leopardi.
E da lì ,da quel momento in poi, gli è chiarissimo, una volta per tutte, che egli può convivere solo con l’uomo ed essergli amico.
Proprio come la Storia di ogni parte del mondo ci insegna, ormai, da millenni.

Marianna Micheluzzi (Ukundimana)

STORIE D'ALGERIA / KHALIDA





La sua storia, quella di Khalida, è una come le tante storie,di cui talvolta si legge sui giornali, di chi è riuscita fortunosamente a fuggire dalla tirannia di un contesto e di una cultura, quella di un certo islam fondamentalista, che intende privarti per tutta la vita della libertà di persona, e vive, oggi, in Europa, finalmente una vita serena e gratificante come tante altre donne della sua stessa età.
Premettiamo che Khalida è stata da sempre una bellissima ragazza. Di quelle , cioè , che per il suo fisico slanciato, la grazia leggiadra della sua andatura e i suoi profondi e meravigliosi occhi verdi non passava e non passa, neanche adesso che ha qualche anno di più, inosservata tra la gente.
La sua gioventù però è stata costretta a viverla anagraficamente durante gli anni dell’integralismo islamico, quello feroce e sanguinario, in un’Algeria, un tempo giardino d’Europa, che agli stessi occhi degli occidentali pareva poi irriconoscibile per le ripetute mattanze.
Il padre, un imprenditore benestante, è stato con lei un uomo molto protettivo e da subito.
Un mix di padre premuroso e/o padre- padrone che, per timore dei rischi che Khalida potesse correre a causa della sua disinvoltura giovanile, come per esempio quella d’indossare jeans e camicetta anziché il tradizionale e consueto hijab, le impediva persino le amicizie al femminile.
Quelle, almeno, che portano una giovane donna fuori dalla casa e dalla famiglia allargata, all’interno della quale Khalida è sollecitata ripetutamente, quasi plagio, a vivere proprio come il frutto in un baccello.
Arriva, infatti, prestissimo anche il matrimonio tradizionale e con un uomo scelto dai suoi. E successivamente un figlio. Un figlio maschio.
Il cerchio in tal modo pare essersi chiuso completamente e i sogni di fanciulla di Khalida sono finiti nel classico cassetto, di cui parrebbe sia andata perduta la chiave.
Ma così non è e non sarà.
La ciambella di salvataggio,inaspettata, le viene da una cugina, Aisha, algerina anch’essa, che deve sposarsi in Francia e ha bisogno di lei e del suo aiuto per organizzare i festeggiamenti.
Khalida, chiesto il permesso al marito –padrone, che ha sostituito in questo ruolo suo padre, parte da Algeri, e riesce anche a strappare il consenso di portare con sé il figlioletto.
A Parigi, la giovane algerina, la nostra Khalida, ritrova improvvisamente, guardandosi intorno e respirando l’aria giusta, tutto l’antico entusiasmo di vita di quando era giovanissima.
Sia pure nel modestissimo quartiere d’immigrati, nell’abitazione della cugina, inizia a pensare che forse qualcosa di buono può ancora accadere nella sua esistenza.
Per farla breve, si cerca e trova un lavoro al “Lapin agile”, un antico e storico bistrot nel quartiere di Montmartre, e di notte, vincendo la stanchezza,ricorrendo anche a secchiate d’acqua fredda, se necessario, riprende con tenacia gli studi abbandonati dopo il matrimonio.
Moltissime sono le controversie giudiziarie con il marito, che reclama, come è costume, diritto e legge islamica, il figlio. Ma l’aiuto e il sostegno morale di un abile legale fanno in modo che Khalida, dopo tanti pianti e tante amarezze,dribblando nella maniera giusta, abbia finalmente partita vinta. E per sempre.
Oggi Khalida, che è ancora una donna di un certo fascino, insegna in una scuola per immigrati nella periferia parigina e lavora in una radio libera, dove tratta con le sue interlocutrici sopratutto temi quali quelli dell’emancipazione femminile, della famiglia e del diritto allo studio e al lavoro.
E ogni sera ad attenderla ,al termine della trasmissione, quando la notte parigina potrebbe celare insidie, c’è sempre suo figlio Amhid, che ora frequenta il primo anno della facoltà di architettura e alimenta in sé, giorno dopo giorno,tenace come sua madre, il sogno di divenire un grande progettista d’interni.
E, quasi certamente, riuscirà.
Il lieto fine di questa storia ci dice semplicemente una cosa e cioè che, con tutte le difficoltà, anche quelle apparentemente terribili e insormontabili, chi vuole sul serio, realizza comunque.
E non si tratta affatto di miracolo. Perché miracolo è la persona.


Marianna Micheluzzi (Ukundimana)

(ndr.)- Non c'è nella storia narrata riferimento alcuno, per quanto esperienze similari, alle vicende personali di Khalida Messaoudi.L'immagine del libro della Messaoudi ,che affianca la testimonianza dell'altra Khalida, è soltanto una  possibile proposta di lettura.

venerdì 6 luglio 2012

"PREGHIERA DELL'ARTISTA" DI GIORGIO DE CHIRICO / PASSIONE E IRONIA DI UN GRANDE MAESTRO



Mio Dio, fate che il mio mestiere di pittore /Sempre più si perfezioni./Fate, mio Dio, che per mezzo della materia pittorica/Fino all’ultimo giorno della mia vita, /Io faccia grandi progressi./Datemi, mio Dio,ancora intelligenza,/Ancora forza, salute, volontà,/Perché io possa migliorare le mie emulsioni ed il mio olio emplastico/ Che possano divenire essi sempre più aiutanti,/Che possano essi dare alla materia della mia pittura,/Sempre maggiore trasparenza e densità, Sempre maggiore splendore e fluidità./Insomma, mio Dio, aiutatemi/Ed ispiratemi sopra ed anzitutto/ A risolvere i problemi materiali/ Del mio lavoro di pittore,/Perché io possa ridare alla pittura/Quel lustro che da più di un secolo / Essa ha perduto./Aiutatemi, mio Dio , a ridare tale lustro, /Risolvendo in pittura i problemi materiali,/Perché ai problemi metafisici e spirituali / Ci pensano ormai i critici /E gl’intellettuali. /Amen”.

martedì 3 luglio 2012

AMORE E' LIBERTA'




Amore è libertà.
Caparbia sinfonia di note
sul pentagramma della vita
Passione è allegretto con brio
cui seguono fraseggi altri,
piacevolissimi momenti,
e poi , com’è da sempre,
l’inevitabile finale,
magari con plauso.
O forse no.
Amore è carezza furtiva
accoglienza sempre gioiosa.
Sorriso che sconfina nell’abbraccio.
Passione è temporanea esaltante
tempesta emotiva che non dura.
Il bianco e il nero del gioco degli scacchi.
Re, regina, fante, alfiere e, in finale ,
scacco matto per tutti gli umani.
Amore è sguardo di chi guarda lontano,
è attento e sereno
e non teme di fare la strada.


Marianna Micheluzzi (Ukundimana)


L'immagine che accompagna il testo è un dipinto del pittore spagnolo Joseph Segui Rico