E'un albero che mi ha sempre incuriosito e incantato.
È tenacissimo. Resiste alla siccità come pochissimi.
Ha una vitalità che non conosce remore. I suoi rami entrano persino in casa, se non li ridimensioni debitamente. Però la gente lo massacra, quando lo pota, e lo abbandona con “moncherini” che gridano pietà.
Ma, poco dopo, è nuovo garrulo e ridente nei suo verde lussureggiante.
- Come si chiama quest’albero? - chiedo finalmente un giorno.
- Si chiama “Di quaranta” - mi risponde un anziano.
- Come?
- Di quaranta - mi urla quel vecchio (credendomi sordo), mostrando tutti i suoi denti ancora immacolati.
Proprio così: “Di quaranta” (Mwa arobaini, in swahili), non semplicemente “quaranta”.
- Quaranta persone o cose? - insisto ancora.
- Quaranta malattie.
Meraviglioso e provvidenziale. Le foglie e la corteccia di quest’albero, tramutate in decotto o masticate pazientemente, guariscono da ben quaranta malattie.
Inoltre le donne ne ricavavano legna per cucinare la benedetta polenta o carbonella da accendere la sera, porre nel braciere e trovare un po’ di calore nelle notti ventose e fredde.
Gli uomini, poi, ne ricavano assi per sedie o letti: un po’ rozzi, ma sempre meglio della nuda terra.
A me, tuttavia, impressionano le “quaranta malattie”. Praticamente tutti i malanni del mondo.
Ma sarà proprio vero?
Prima di rispondere, il mio anziano interlocutore si concede una pausa di silenzio. Infine dichiara: “Veramente oggi gli uomini e donne sono cambiati molto, troppo, e forse anche gli alberi non sono più come un tempo. Da quando l’uomo è andato sulla luna, tutto è mutato. Per esempio: al presente moltissimi si parlano da lontano, senza vedersi e senza nemmeno alzare la voce, portandosi all’orecchio una cosa che chiamano “cellulare”. Non chiedermi che cos’è, perché non solo…”.
- Allora, bwana, “Di quaranta” guarisce o non guarisce 40 malattie?
- Ah, Dio solo lo sa!
È tenacissimo. Resiste alla siccità come pochissimi.
Ha una vitalità che non conosce remore. I suoi rami entrano persino in casa, se non li ridimensioni debitamente. Però la gente lo massacra, quando lo pota, e lo abbandona con “moncherini” che gridano pietà.
Ma, poco dopo, è nuovo garrulo e ridente nei suo verde lussureggiante.
- Come si chiama quest’albero? - chiedo finalmente un giorno.
- Si chiama “Di quaranta” - mi risponde un anziano.
- Come?
- Di quaranta - mi urla quel vecchio (credendomi sordo), mostrando tutti i suoi denti ancora immacolati.
Proprio così: “Di quaranta” (Mwa arobaini, in swahili), non semplicemente “quaranta”.
- Quaranta persone o cose? - insisto ancora.
- Quaranta malattie.
Meraviglioso e provvidenziale. Le foglie e la corteccia di quest’albero, tramutate in decotto o masticate pazientemente, guariscono da ben quaranta malattie.
Inoltre le donne ne ricavavano legna per cucinare la benedetta polenta o carbonella da accendere la sera, porre nel braciere e trovare un po’ di calore nelle notti ventose e fredde.
Gli uomini, poi, ne ricavano assi per sedie o letti: un po’ rozzi, ma sempre meglio della nuda terra.
A me, tuttavia, impressionano le “quaranta malattie”. Praticamente tutti i malanni del mondo.
Ma sarà proprio vero?
Prima di rispondere, il mio anziano interlocutore si concede una pausa di silenzio. Infine dichiara: “Veramente oggi gli uomini e donne sono cambiati molto, troppo, e forse anche gli alberi non sono più come un tempo. Da quando l’uomo è andato sulla luna, tutto è mutato. Per esempio: al presente moltissimi si parlano da lontano, senza vedersi e senza nemmeno alzare la voce, portandosi all’orecchio una cosa che chiamano “cellulare”. Non chiedermi che cos’è, perché non solo…”.
- Allora, bwana, “Di quaranta” guarisce o non guarisce 40 malattie?
- Ah, Dio solo lo sa!
Francesco Bernardi (IMC)
Nessun commento:
Posta un commento