L’editore Rizzoli, lo scorso gennaio, ha mandato in libreria il libro - testimonianza “Spezzare le catene” di suor Eugenia Bonetti, missionaria della Consolata, e notissima anche fuori dagli ambienti strettamente cattolici per il suo impegno civile, in Italia, a Torino soprattutto, a favore delle donne vittime della tratta delle schiave.
E’un libro che suor Eugenia ha scritto in collaborazione con la giornalista Anna Pozzi, redattrice nei periodici “Jesus” e “Famiglia cristiana” della San Paolo -editrice di Alba(CN).
Un libro, che per noi è proprio il classico pugno nello stomaco e che non poteva più, secondo la religiosa, essere ulteriormente tramandato.
Il testo, frutto di molti anni di esperienza a contatto diretto con il mondo giovanile in Africa (24 anni) e in patria, scaturisce dall’esigenza di dover necessariamente affrontare, dato il moltiplicarsi esponenziale del fenomeno con le sue inevitabili e dannose conseguenze negative sulle vittime prima e poi e sulla società stessa, un tema , quello della “schiavitù” delle donne africane, che arrivano in Europa con l’allettante promessa di un lavoro certo e finiscono, sotto costanti minacce e ricatti (quando non perdono addirittura la vita), quali prostitute sui marciapiedi delle nostre città.
Ma tutto questo lo si trova ampiamente argomentato nel libro, che, senza taccia di bacchettoneria, merita lettura e riflessione attente.
E consente anche a noi,che ne siamo in un certo senso fuori, di valutare fino a che punto possiamo davvero ritenerci estranei del tutto a questo genere di fatti.
Vi propongo, hic et nunc, invece il ritratto della donna africana, quello che suor Eugenia Bonetti con grande simpatia e obiettività disegna nel corso di un’intervista, proprio lei che ha avuto anni ed anni di familiarità e feconda convivenza in Italia, e in missione in Africa, con queste donne, giovani e meno giovani, sane o ammalate(aids?), istruite e no.
Fortunate o meno fortunate insomma, che esse fossero. E sotto qualunque cielo esse si trovassero.
Le donne africane- racconta con amore suor Eugenia – sono ricche di valori umani ma sovente instabili e vulnerabili più di altre. E in questo vanno capite e affiancate. Mai lasciate sole.
Cercano certamente l’emancipazione ma nel percorso sono sempre piuttosto bisognose d’aiuto.
Sono aperte, socievoli, serene e gioiose.
Sono- diciamo (è sempre suor Eugenia che parla) - l’ottimismo in persona anche nei momenti di grosse difficoltà.
Hanno poi forte il senso dell’accoglienza, e sono disponibili all’ascolto e alla condivisione.
Esse insieme alla popolazione giovanile – precisa la religiosa - costituiscono in effetti un grosso potenziale per tutto il continente africano sempre se riusciranno a svincolarsi appunto dai condizionamenti economici, politici e tribali dei loro contesti di riferimento.
E questo- aggiunge - sarà possibile solo con l’istruzione , che significa poi , e non va dimenticato mai, anche formazione della persona e quindi ricchezza spirituale.
Le donne africane potrebbero essere proprio loro la forza trainante di quel mondo più umano e solidale, che vorremmo vedere costruito e nel quale ci piacerebbe vivere.
E, concludendo, il monito di suor Eugenia è che il nostro mondo occidentale, affetto in prevalenza da consumismo esasperato ma soprattutto dall’assunto metabolizzato ormai dell’ “usa e getta”, non deve più permettersi di distruggere, e farlo impunemente, ciò che non è affatto solo un corpo da vendere e da comperare.
Quelle sono ferite, che si rimarginano con grosse difficoltà, le peggiori in assoluto, per la donna africana e no, e lei, suor Eugenia, nei centri che ha costituito in città per guarirle, lo sa molto bene.
A cura di Marianna Micheluzzi (Ukundimana)
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