Sono trascorsi parecchi giorni dal colpo di Stato in Mali (22 marzo scorso),quando un manipolo di militari,guidati dal capitano Amadou Sanogo, si sono impossessati appunto del Paese, motivando la violenza del gesto e le devastazioni, che ne sono seguite, casa per casa, con le precarissime condizioni in cui l’esercito regolare, da un governo in odore di forte e palese corruzione, veniva inviato a combattere al nord contro i ribelli dell’Azawad.
I partigiani golpisti dicevano, infatti, di voler rivendicare i morti. I soldati cioè i loro fratelli mandati allo sbaraglio e uccisi dal nemico in quanto male armati e male equipaggiati.
C’è stata poi, subito dopo, cessate finalmente per la buona pace della gente le ostilità più cruente, anche una scelta. Una scelta in verità non malvagia, concordata con i militari e approvatasuccessivamente dall’Ecowas ossia di un presidente ad interim, un civile,tale Dioncounda Traoré.
Ma il caos, a quanto è dato vedere e sapere, continua a tutt’oggi ad essere padrone indiscusso della situazione.
E soprattutto il rischio grosso, accanto ad una secessione molto discutibile tra nord e sud,che minerebbe pericolosamente l’unità di un Paese, il cui tessuto connettivo è sostanzialmente pacifico, è quello rappresentato da un islam intransigente, l’al quaida maghrebino, anche piuttosto diviso al suo interno che, dietro le rivendicazioni di facciata del popolo Tuareg, porta avanti la sua penetrazione di natura politico-religiosa nei territori sub-sahariani con tutto quello che ciò nei fatti può significare.
La ciliegina sulla torta poi è stata, in ultimo, la partenza improvvisa del presidente Traoré, l’uomo nuovo ma non troppo, per Parigi, giorni fa, ufficialmente per ragioni di salute, che sta consentendo in queste ore purtroppo ulteriore confusione e disorientamento.
In parole povere è vuoto di potere.
E’ inoltre l’occasione buona, a quanto parrebbe, per far rialzare la cresta di nuovo ai partigiani golpisti, uomini che caldeggiano per Amadou Sanogo la nomina a presidente del Mali.
In conclusione ci troviamo, in Mali, in una situazione fortemente instabile.
Da una parte abbiamo la popolazione divisa nella scelta e nell’appoggio politico a due diversissimi presidenti,un militare, che però deve ancora ricevere lo “stabat” dall’Ecowas(semmai lo riceverà), e il civile Traoré, pericolosamente fuori dal Paese.
Dall’altra c’è il grosso pericolo niente affatto da sottovalutare, a nord, degli islamisti, che avanzano equipaggiati di tutto punto, quanto ad armi e munizioni, grazie alle provvidenziali forniture di una vicina Libia ormai in dismissione.
E chi sta peggio di tutti in questo baillame è ovviamente la popolazione civile.
A nord, accanto ad agguati, violenze e rappresaglie per chi è contro gli islamisti, c’è anche la fame.
Infatti gli aiuti umanitari, internazionali e no, non sempre riescono ad arrivare a destinazione.
Nel sud, a Bamako e dintorni, c’è (ristrettezze economiche a parte ) una parvenza di normalità anche con la riapertura delle scuole e la ripresa delle attività commerciali. Ma si vive ugualmente nell’angoscia che qualcosa di imprevedibile e di terribile possa sempreaccadere da un momento all’altro.
Manca insomma la necessaria serenità del quotidiano. E non si sa ancora quando questa condizione cederà il passo soprattutto a quella che si chiama stabilità politica.
A cura di Marianna Micheluzzi (Ukundimana)
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