Personalmente ho un debito con p. Silvano Sabatini , missionario della Consolata perché, quando lo conobbi, a Torino, molti anni fa (oggi Sabatini è novantenne), mi fece innamorare della causa degli indios brasiliani e lo fece inizialmente attraverso il solo racconto verbale, vivacissimo, delle sue esperienze di 40 anni di Amazzonia brasiliana.
E non poteva essere diversamente perché p.Silvano è un uomo di grande fede ma anche di grande comunicativa.
L’altro, ogni altro, dinanzi a lui è sempre importante.
Si cerca, infatti l’uomo per poter incontrare Dio – lui sostiene- e viceversa.
Il nostro missionario è inoltre uno studioso e uno scrittore (ha al suo attivo diverse pubblicazioni con le maggiori case editrici italiane ) la cui ultima fatica, redatta in collaborazione con l’antropologa Silvia Zaccaria, “Il prete e l’antropologo”, è stata di recente pubblicata da Ediesse-editrice.
Per inciso, p.Sabatini è stato anche un validissimo fotografo e molte foto, quelle che illustrano i suoi libri, sono suoi scatti.
E anche uno dei miei primi articoli su “Missioni Consolata” fu corredato da foto scattate da lui.
Per suggerire la lettura del libro, che merita, e dare un piccolo flash, un’istantanea di chi è ed è stato Silvano Sabatini, prima uomo e poi prete, proprio come voleva Giuseppe Allamano, il fondatore dei Missionari della Consolata, riporto quanto segue, estrapolato da un articolo- intervista di Adista del febbraio scorso.
“Non abbiamo mai battezzato – precisa Sabatini per sé e per gli altri missionari che all’epoca con lui collaboravano – uno yanomami , perché eravamo convinti che non avesse senso battezzare la persona fuori della comunità e che è la cultura che deve essere evangelizzata e deve trovare in essa la forma per esprimersi in modo cristiano. Il discorso ovviamente vale anche per le missioni e i popoli d’Africa. Battezzare fuori della comunità è un assurdo , avrebbe significato solo creare nel battezzato una doppia personalità”.
Io dico uno “straniamento” di sé a sé, che è letale per questi uomini e queste donne, che hanno una loro dignità di persona e una loro cultura di riferimento, che va rispettata.
Inutile pertanto domandare a p.Silvano quanti yanomami ha battezzato nella sua vita di missionario, perché la risposta schietta è :”Per grazia del Buon Dio neanche uno”.
Per chiudere voglio ancora ricordare quello che potrebbe essere un aneddoto a proposito della sua scelta di vita sacerdotale e missionaria e forse non lo é.
Alla mia domanda, di tanti anni fa, egli mi rispose che tutto per lui era cominciato da chierichetto, ruolo che svolgeva con grande serietà e piacere perché, dietro l’altare, poteva giocare anche a biglie con gli altri compagni.
Questo è l’uomo, questo è il missionario.
Simpatico, brillante, intelligente e sovente un po’ provocatorio.
Ma, naturalmente, p.Silvano Sabatini è anche tante altre cose che si possono scoprire solo leggendo i suoi libri.
A cura di Marianna Micheluzzi (Ukundimana)
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