1 - Che cosa hai provato tornando in Tanzania? Cosa più ti ha sorpreso?
Risiedo in Tanzania da 15 mesi: troppo poco per esprimere giudizi e fare bilanci.
Pertanto le mie considerazioni sono impressioni. Quanto scrivo oggi, domani potrebbe essere diverso, senza escludere che possa aver preso qualche grosso granchio…
Sono ritornato in Tanzania dopo 35 anni di assenza. Lasciai il paese nel 1976 e vi ho rimesso piede nel 2011. La mia prima presenza durò dal 1973 al 1976.
Sapevo che il reinserimento in Tanzania sarebbe stato complesso. Così è stato e così è: a cominciare dalla lingua swahili, che si è arricchita di tanti e nuovi vocaboli. Fra questi, changamoto (sfida). Per me tutto è “changamoto” a 360 gradi, perché il tanzaniano pensa, parla e agisce a “modo suo”, in modo… sorprendente.
La prima sorpresa sono proprio i tanzaniani, oggi circa 44 milioni, mentre nel 1976 erano 14 milioni. Con loro ho la possibilità di “rinascere”, passando però attraverso “le doglie del parto” dell’incontro-scontro culturale.
Sorprendente è il numero dei loro giornali quotidiani. Negli anni 70 erano due, oggi una ventina. Ma molto più sorprendente è qualche voce critica della stampa. “Ci siamo stufati della propaganda dei politici che non vogliono il cambiamento” titolava, il 23 marzo 2011, il quotidiano Mwananchi. The Citizen, il 12 dicembre 2011, stigmatizzava: 32 milioni di euro sono “sfumati” nella celebrazione del cinquantesimo dell’indipendenza della Tanzania (1961-2011).
Le sorprese continuano: ad esempio, la pubblica denuncia di incesto subito da una figlia da parte del padre (programma radiofonico del 23-24 febbraio 2011).
“Ai miei tempi” fatti del genere venivano sepolti nell’omertà generale.
Omertà che avvolge ancora l’aids. L’uomo della strada non ne parla. Qualcuno, incalzato da eventi tragici, incomincia ad alludervi come “malattia di questi giorni”. La stampa si sofferma sulla vicenda di qualche sieropositivo, senza tuttavia raccontare come si contrae il virus. Però qualcuno incomincia a dire: “Sconfiggeremo l’aids se muteremo i nostri costumi sessuali”.
Ricordo, infine, la nozione di “ovvio”. Ciò che per me è “ovvio” non sempre lo è e nella stessa misura per il tanzaniano. L’“ovvio tanzaniano” è changamoto!
2 - Come vedi il futuro del Tanzania?
Pensando al futuro, non bisogna avere fretta né, tanto meno, invocare colpi di bacchetta magica di fronte ai mali che affliggono la società tanzaniana. Ciò vale per tutti i paesi in ogni angolo del mondo.
Chi può dire che la crisi economica italiana e mondiale finirà domani o dopo domani?
Personalmente scommetto nel futuro positivo del Tanzania. La buona volontà c’è. Le risorse pure: gas naturale, ferro, oro, pietre preziose, uranio. Grandi le possibilità nel settore turistico. Per non parlare della risorsa di sempre: l’agricoltura, anche se in balia della pioggia. Però la ricchezza delle ricchezze sono i 44 milioni di tanzaniani e tanzaniane (soprattutto). Moltissimi sono giovani, che studiano.
Recita un proverbio swahili: elimu ni mali (la conoscenza è un capitale).
Non basta il canto, il tamburo, la danza. Bisogna leggere, pensare, capire, scrivere e “formarsi”: soprattutto alla stregua del Vangelo. Carestie, guerre e aids sono emergenze crudeli. La “formazione” è prevenzione e cura di ogni miseria. Anche della “stregoneria”.
3 - Della stregoneria che dici?
Qual è il flagello dell’Africa subsahariana? La povertà generalizzata o la ricorrente siccità? La corruzione politica o la mancanza di progettazione? Oppure l’aids?
“L’aids” sembrerebbe la risposta più immediata e pertinente oggi. Invece no.
La grande calamità dell’Africa (e del Tanzania) è la stregoneria. Oggi come ieri.
Lo sostiene Gabriel Ruhumbika, scrittore tanzaniano, nel suo romanzo storico Janga sugu la wazawa (La piaga contagiosa degli indigeni).
Chi sono i clienti dello stregone? Sono i pezzi da novanta del governo, della finanza, del commercio, delle miniere d’oro e diamanti, della polizia, non esclusi preti e suore. Vanno da “lui” per sconfiggere il loro avversario o per aumentare il prestigio: la loro ricchezza, specialmente.
Contro il fenomeno della stregoneria è in atto una tortuosa guerra psicosociale. Si arriverà alla vittoria? Un proverbio swahili recita: penye nia pana njia (se c’è la volontà, c’è la strada).
4 - Come sta muovendosi la Chiesa locale?
La Chiesa gode di prestigio e di autorevolezza. Però preti e vescovi sono troppo assillati dal problema “soldi” per le loro attività. Le collette di denaro diventano sempre più frequenti: anche tre in una sola messa. I cattolici capiscono e rispondono bene, ma incominciano ad essere stanchi, perché la vita è costosa, dato il costante aumento del prezzo dei generi alimentari.
Pure le feste religiose (ordinazioni di sacerdoti, consacrazioni di vescovi, giubilei, ecc.) sono esageratamente costose. Non mancano i fedeli che si indebitano per partecipare ad una celebrazione. Tuttavia c’è un aspetto positivo: i cattolici, di fronte ad una iniziativa della comunità, non si tirano indietro, perché sanno che “la chiesa siamo noi”.
In genere i messaggi dell’episcopato cattolico sono incisivi anche politicamente. Nel presente dibattito per la nuova costituzione politica, i vescovi ammoniscono: “Alcuni leaders politici, invece di impegnarsi a scrivere una costituzione che difenda i beni e i diritti di tutti, specialmente dei bisognosi, cercano di tutelare solo il loro interesse; inoltre, introducono nella nuova costituzione idee contrarie al piano di Dio”.
5 - La posizione del cardinale Pengo e di padre Massawe
Attento e critico verso le forze politiche è, soprattutto, il cardinale Polycarp Pengo, arcivescovo di Dar Es Salaam. Nel 2011, in occasione del cinquantenario di indipendenza del Tanzania, dichiarò: “Durante questi 50 anni abbiamo ottenuto numerosi successi. Ora dobbiamo far sì che, quando celebreremo i 100 anni, non si dica: ‘Era meglio al tempo dei colonialisti!’. Oggi la nazione conta gruppi di traditori, egoisti, vanagloriosi, pronti anche ad uccidere chi si oppone al loro progetto” (cfr. il quotidiano Mwananchi 14 agosto, 2011).
A proposito del cinquantenario, non meno forte è padre Lello Massawe, superiore dei missionari della Consolata in Tanzania, che dichiara: “In questi giorni, prima della festa dei 50 anni, sentiamo ripetere dalla radio e dalla televisione: ‘Abbiamo avuto coraggio, siamo capaci, andiamo avanti’. Sono parole frutto di una politica sporca. Io non vedo alcuna verità in esse. Abbiamo avuto il coraggio di far che cosa? Abbiamo avuto il coraggio di mungere la gente, abbiamo avuto il coraggio di rubare ai poveri più di quanto abbiamo loro dato per aiutarli ad uscire dalla povertà” (cfr. la rivista Enendeni, dicembre 2011).
6 - Il rapporto con gli altri cristiani: luterani, anglicani, “salvati” (walokole)…
È un tema molto significativo per noi missionari. Cito ancora il cardinale Pengo, da me intervistato. Il presule ritiene che il rapporto fra cattolici, luterani e anglicani sia buono. Ad esempio, le “tre Chiese”, nell’università di Dar Es Salaam, pregano nella stessa chiesa, come pure condividono la cappella dell’ospedale Muhimbili, sempre a Dar. Ma con il gruppo dei “salvati” (walokole) il discorso cambia: costoro vanno a caccia dei loro fedeli ovunque, attingendo da una chiesa all’altra e ingannando le persone. “Meglio il rapporto con i musulmani, perché sappiamo come sono”.
7 - Parliamo, allora, dei musulmani…
Molti musulmani rivendicano dallo stato la costituzione del “tribunale islamico” secondo la legge coranica. Però il presidente Jakaya Kikwete, musulmano, ha risposto: “Se volete questo tribunale, costituitevelo voi stessi. Lo stato non può intervenire nei problemi religiosi delle varie religioni”. Però tanti musulmani non accettano questa posizione e ritornano alla carica nello stesso parlamento.
Ciò che maggiormente preoccupa, secondo il cardinale Pengo, è il disprezzo verso i cristiani. Alcuni musulmani insultano i cattolici apertamente, anche di fronte alle forze dell’ordine, che fingono di non sentire. I cattolici, pro bono pacis, sopportano tutto in silenzio senza reagire. Fino a quando?
8 - Che cosa fai a Bunju?
A Bunju opero nel Consolata Mission Centre, a metà strada tra Dar Es Salaam e Bagamoyo, con altri 3 confratelli.
Il Centro viene additato come un faro che illumina presente e futuro, tutto e tutti. E veramente tutti ne usufruiscono: uomini e donne a livello personale o in movimenti, professori e studenti, catechisti e seminaristi, vescovi e preti. Tante le suore. Tantissimi i giovani, con prezzi scontati. La luce che il faro sprigiona è pure ecumenica, giacché il Centro ha aperto i cancelli anche a non cattolici: ai luterani, per esempio. Non mancano ambientalisti né leaders politici, tra cui musulmani.
Dopo una complessa gestazione, nel 2008 i missionari della Consolata diedero alla luce il Consolata Mission Centre: per pregare, pensare e cambiare. È un Centro che parla all’intero Tanzania, con la “missione ” sempre protagonista.
Il Centro ospita pure la redazione della rivista Enendeni (Andate), di cui sono direttore. È modesta nella veste tipografica, ma si impegna ad essere propositiva nei contenuti, specialmente in tema di formazione evangelica, giustizia e pace. L’editoriale di marzo scorso recita: “Se manchi di giustizia verso l’altro, le tue preghiere, i tuoi digiuni e le tue offerte della quaresima sono ipocrisia…”.
È, però, paradossale che un mzungu (straniero), dallo swahili quasi indecente, diriga una rivista in tale lingua… Ancora una volta sono di fronte ad un changamoto, una sfida: rinascere in Tanzania a quasi 70 anni, con i capelli bianchi e la schiena già incurvata dalle intemperie della vita.
Tuttavia ringrazio la Madonna Consolata.
p. Francesco Bernardi
Bunju, 10 maggio 2012
Foto:
- Il cardinale Pengo con i padri Makokha e Ishengoma.
- Salone affollato di luterani durante un seminar.
- Sala da pranzo: musulmane e musulmani.
- Una ragazza sfoglia la rivista “Enendeni”
Tutte le foro si riferiscono al “Consolata Mission Centre” di Bunju.
A proposito di stregoneria
LA GRANDE CALAMITà
di Francesco Bernardi
Qual è il flagello dell’Africa bantu?
La povertà generalizzata o la ricorrente siccità?
La corruzione politica o la mancanza di progettazione? Oppure l’aids?
“L’aids” sembrerebbe la risposta più pertinente oggi. Ed invece no.
La grande calamità dell’Africa (e del Tanzania) è la stregoneria. Oggi come ieri.
Lo sostiene Gabriel Ruhumbika, scrittore tanzaniano di 73 anni, nel suo romanzo Janga Sugu la Wazawa (La piaga contagiosa degli indigeni) / (1).
Il romanzo è sociologico e si addentra in uno dei meandri più affascinanti ed inquietanti della cultura bantu: la stregoneria, appunto.
L’intera famiglia dell’anziano Ninalwo viene sterminata (misteriosamente sterminata) da eventi oscuri. A nulla servono i tradizionali riti propiziatori per arrestare un morbo crudele ed endemico come la peste. O le voraci cavallette.
“Stregoneria” è un termine astratto, dietro al quale si muovono, però, losche figure in carne ed ossa, temute da tutti, eppure assai ricercate.
Eccolo “lo stregone” del romanzo di Ruhumbika. Non ha un nome solo, bensì tre: è, nello stesso tempo, padre Joni (sacerdote cattolico), Alhaji Sheikh Isa (musulmano) e Simba Mbiti (presunto professore).
Joni è un giovane prete, troppo… disinvolto verso le donne. Però un giorno incontra una vergine che gli si oppone con veemenza, ferendolo in testa con la pietra con cui sta macinando la farina. Il prete, deriso da tutti, si vendica contro… la religione cattolica del papa di Roma: aderisce all’islam e si trasferisce in Senegal.
Nel nuovo contesto socio-religioso il personaggio non è più soltanto padre Joni, bensì il musulmano Alhaji Sheikh Isa. Gode di quattro mogli. La prima, la più importante, è ricca e bellissima. Però, con la menopausa, diventa brutta, cicciona e le spunta persino la barba. Il consorte si consola “passeggiando” con altre donne. Ma l’ex bella non accetta l’affronto: con l’ausilio di alcune esperte comari immobilizza il marito infedele, lo denuda e minaccia di castrarlo.
Padre Joni-Alhaji Sheikh, intimorito, abbandona il Senegal e ritorna in Tanzania, dopo aver derubato la facoltosa moglie di tutti i suoi quattrini.
Ora padre Joni-Alhaji Sheikh è pure il professor Simba Mbiti, stregone potente, famoso e temuto, con un codazzo di manutengoli, assassini, che eseguono i suoi ordini malvagi. Ad esempio: attaccano la donna che, anni prima, ha svergognato il loro padrone; la uccidono e recano allo stregone, come trofeo, l’intero basso ventre della vittima. Misfatti del genere si susseguono a catena. Organi sessuali, cuori, nasi, orecchi e altre parti del corpo umano vengono venduti, a caro prezzo, dal losco stregone. Sono i suoi farmaci miracolosi, i suoi portafortuna infallibili, i suoi amuleti onnipotenti.
I clienti chi sono? Sono i pezzi da novanta del governo, della finanza, del commercio, delle miniere d’oro e diamanti, della polizia. Frequentano padre Joni-Alhaji Sheikh-Simba Mbiti per aumentare il loro prestigio: la loro ricchezza, soprattutto.
Il romanzo di Ruhumbika è anche uno specchio della società politica del Tanzania.
Nel 1985 l’onesto Julius Nyerere lascia di sua volontà la presidenza della repubblica. Gli succede Hassan Mwinyi, proveniente dall’isola di Zanzibar. I tanzaniani del continente gli appioppano il termine ruksa (o rushwa): ossia “bustarelle”, corruzione, denaro facile a palate. Chi è corruttore-corrotto affonda le mani nelle casse dello stato e le ritrae piene di bigliettoni. È anche così che sperpera il denaro pubblico. Al governo non restano che debiti.
Tra gli arricchiti spicca Joni-Alhaji Sheikh-Simba Mbiti, prete-musulmano-professore, che esercita “il commercio della stregoneria”.
Questo traffico - scrive Ruhumbika - cresce nell’arricchire i personaggi del potere. Non sono molti, tuttavia determinano le sorti dell’intera comunità. Però è un traffico molto rischioso. Tutto può repentinamente mutare: e si piomba nella povertà o si affoga in un mare di guai. A prescindere dal fatto che la stregoneria rappresenta una grave minaccia per la vita e la sicurezza della famiglia (2). Figli e figlie, mariti e mogli scompaiono “misteriosamente”.
A lungo andare e dopo cocenti delusioni da parte dei clienti dello stregone, può scattare la caccia allo stesso stregone e la feroce vendetta.
Tale sorte non risparmia neppure padre Joni-Alhaji Sheikh-Mbiti Simba: stanato dal suo ufficio criminoso, viene linciato in pubblica piazza da alcuni suoi ex clienti, tragicamente delusi dal professor Mbiti Simba. Naturalmente gli astanti non vedono, non sentono, né sanno nulla (3).
Contro il fenomeno della stregoneria - termina il romanzo di Ruhumbika - è in corso una lunga e complessa guerra psicosociale. Però la vittoria arriverà, perché il proverbio recita: penye nia pana njia (se c’è la volontà, c’è la strada).
Così in Africa nascerà la famiglia della speranza. Ognuno potrà coricarsi alla sera e alzarsi al mattino senza il terrore dello stregone.
Tutti potranno soddisfare il loro ideale di progresso: in pace, serenità e sicurezza.
1) Cfr. Gabriel Ruhumbika, Janga Sugu la Wazawa, E&D Limited, Dar es Salaam 2001.
Del romanzo non esistono traduzioni in italiano, né in altre lingue.
2) Cfr. Gabriel Ruhumbika, op. cit., p. 187
3) Cfr. Ibid, pp.173-175
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