Al mercato del pesce festeggiammo per ore: canzoni, preghiere, lacrime. Per settimane, quando camminavamo per strada con la maglietta bianca della WIPNET,la gente si fermava a stringerci la mano e a ringraziarci.
A volte ci seguivano cantando allegramente gruppi di bambini :”Vogliamo la pace, basta con la guerra”.
Eppure la paura era lenta a scomparire.
Era finita davvero?
I guerriglieri avevano firmato più di dieci trattati durante la guerra, quindi era difficile credere che quest’ultimo avrebbe retto.
Una guerra di quattordici anni non passa e basta.
Quando nei momenti di calma ci guardavamo intorno, ci rendevamo conto del disastro accaduto in Liberia.
Duecentocinquantamila morti, di cui un quarto bambini. Una persona su tre rifugiata, con trecentocinquantamila che vivevano nei campi profughi e gli altri ovunque avessero trovato riparo.
Un milione di persone, per lo più donne e bambini, erano a rischio malnutrizione, diarrea,morbillo e colera a causa dell’infestazione dei pozzi.
Oltre il 75% delle infrastrutture del Paese, strade, ospedali e scuole. Erano stati completamente distrutti.
Il danno psicologico era quasi inimmaginabile.
Un’intera generazione di giovani non aveva idea di chi fosse senza un fucile in mano.
Diverse generazioni di donne erano rimaste vedove, erano state stuprate o avevano visto stuprare le proprie madri o le proprie figlie e visti i loro figli uccidere o essere uccisi.
I vicini si erano rivoltati gli uni contro gli altri; i giovani avevano perso la speranza e gli anziani tutto quello che si erano faticosamente guadagnato.
Eravamo tutti traumatizzati.
Eravamo sopravvissuti alla guerra ma ora dovevamo imparare di nuovo a vivere.
La pace non è un momento, è un processo lungo.
Reading da “Grande sia il nostro potere” di Leymah Gbowe, racconto autobiografico in cui la “donna” Leymah è espressione della resistenza e della riscossa della società civile nel suo Paese, a partire esclusivamente dall’universo femminile,sia pure povero e straccione , contro le sofferenze imposte dalla Storia degli uomini.
Grazie a Leymah, che non è stata né moglie e neanche tanto adeguata compagna dei suoi uomini-amati e amanti, né madre-stereotipo ma molto amorevole, certamente, verso i suoi “cuccioli”, è stato possibile portare avanti una lotta in Liberia,che non è stata solo di genere ma che ha coinvolto per gradi, e con tanto impiego di testarda tenacia, l’intera società .
Maschi compresi. E non è poco.
Pagine da leggere e su cui riflettere perché si tratta sopratutto di una testimonianza scritta che, oltre ad essere un’autentica “zoomata” sul continente africano, con tutti i suoi prevedibili pregi e anche i suoi difetti , cooperanti e organismi internazionali inclusi nel grande calderone, invita l’esitante all’emulazione. Anche perché, quando sembra che nulla possa essere fatto in una situazione di estrema negatività, emerge, a sorpresa, contro ogni previsione, la parte migliore dell’umanità.
A cura di Marianna Micheluzzi (Ukundimana)
A volte ci seguivano cantando allegramente gruppi di bambini :”Vogliamo la pace, basta con la guerra”.
Eppure la paura era lenta a scomparire.
Era finita davvero?
I guerriglieri avevano firmato più di dieci trattati durante la guerra, quindi era difficile credere che quest’ultimo avrebbe retto.
Una guerra di quattordici anni non passa e basta.
Quando nei momenti di calma ci guardavamo intorno, ci rendevamo conto del disastro accaduto in Liberia.
Duecentocinquantamila morti, di cui un quarto bambini. Una persona su tre rifugiata, con trecentocinquantamila che vivevano nei campi profughi e gli altri ovunque avessero trovato riparo.
Un milione di persone, per lo più donne e bambini, erano a rischio malnutrizione, diarrea,morbillo e colera a causa dell’infestazione dei pozzi.
Oltre il 75% delle infrastrutture del Paese, strade, ospedali e scuole. Erano stati completamente distrutti.
Il danno psicologico era quasi inimmaginabile.
Un’intera generazione di giovani non aveva idea di chi fosse senza un fucile in mano.
Diverse generazioni di donne erano rimaste vedove, erano state stuprate o avevano visto stuprare le proprie madri o le proprie figlie e visti i loro figli uccidere o essere uccisi.
I vicini si erano rivoltati gli uni contro gli altri; i giovani avevano perso la speranza e gli anziani tutto quello che si erano faticosamente guadagnato.
Eravamo tutti traumatizzati.
Eravamo sopravvissuti alla guerra ma ora dovevamo imparare di nuovo a vivere.
La pace non è un momento, è un processo lungo.
Reading da “Grande sia il nostro potere” di Leymah Gbowe, racconto autobiografico in cui la “donna” Leymah è espressione della resistenza e della riscossa della società civile nel suo Paese, a partire esclusivamente dall’universo femminile,sia pure povero e straccione , contro le sofferenze imposte dalla Storia degli uomini.
Grazie a Leymah, che non è stata né moglie e neanche tanto adeguata compagna dei suoi uomini-amati e amanti, né madre-stereotipo ma molto amorevole, certamente, verso i suoi “cuccioli”, è stato possibile portare avanti una lotta in Liberia,che non è stata solo di genere ma che ha coinvolto per gradi, e con tanto impiego di testarda tenacia, l’intera società .
Maschi compresi. E non è poco.
Pagine da leggere e su cui riflettere perché si tratta sopratutto di una testimonianza scritta che, oltre ad essere un’autentica “zoomata” sul continente africano, con tutti i suoi prevedibili pregi e anche i suoi difetti , cooperanti e organismi internazionali inclusi nel grande calderone, invita l’esitante all’emulazione. Anche perché, quando sembra che nulla possa essere fatto in una situazione di estrema negatività, emerge, a sorpresa, contro ogni previsione, la parte migliore dell’umanità.
A cura di Marianna Micheluzzi (Ukundimana)
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