Non ti conoscevo p. Valentim ma eri compagno di lavoro ed amico di p. Fabio e, soprattutto, eri un “figlio” dell’Allamano in terra d’Africa, quel testardo di un prete piemontese, che ha voluto, in una Torino dei tempi di “vacche magre” quanto a vocazioni, dare vita agli inizi del ‘900, nonostante mille ostacoli, ad un Istituto missionario .
Questo mi basta per amarti.
E so quel che dico.
Per te, messo tra parentesi momentaneamente il dolore, perché noi credenti sappiamo che il martirio è parte integrante della scelta di vita missionaria, io cercherò con queste poche parole di spiegare, a chi tra noi ha perso di vista la fede o non l’hai mai avuta, chi è il ”missionario”.E la pienezza gioiosa d’esserlo.
Nella speranza fondata che il tuo sacrificio della vita, perpetrato assurdamente per mano dei tuoi stessi fratelli mozambicani, non sia stato e non sia mai del tutto inutile.
Che il seme caduto insomma dia nuovi germogli e la pianta frutti.
“Bisogna che io diminuisca e che lui cresca” (Gv.3,30) è scritto nel Vangelo di Giovanni, l’apostolo prediletto di Gesù, che fu con Lui e con Maria sotto la croce.
Chissà quante volte l’avrai letto e riletto.
Ebbene il missionario vive questa dimensione ogni giorno.
Diminuisce volontariamente nel dono di sé nei confronti di chi ha più bisogno di lui della “parola” e del”gesto”.
E’ colui che non va mai alla ricerca della propria affermazione ma, in questo cammino , si spoglia di sé e di quelli che potrebbero essere i suoi progetti personali.
Ha come solo e unico riferimento Cristo Gesù.
E’ Lui per il missionario il Signore della vita, l’incontro autentico, la vera “libertà”.
So che non è un concetto facile né da comunicare, né da percepire in chi ascolta, perché appunto non si tratta di concetto ma di una “scelta”, che poi quella che si definisce la classica chiamata.
Allora mi fermo giustamente qui.
Anche perché non voglio fare violenza a chi fosse di altro parere.
Aggiungo solo che tu, Valentim, avevi scelto, anni addietro e con le idee ben chiare, lasciando definitivamente la tua famiglia, che in Africa è importante per ogni uomo a livello identitario, e ti eri fatto consapevolmente “faro”.
Un faro che doveva spargere e ha sparso luce, perché tutti venissero a conoscenza, in ogni luogo, di un annuncio intramandabile.
Grazie. Ti sia lieve la terra.
Il tuo essere stato prete e missionario con fede sincera (questo soltanto io voglio pensare in questo momento) e il tuo ritorno alla casa del Padre, che accoglie e mai respinge alcuno ,perché Lui è Amore vero, sia preghiera di fratellanza autentica, perdono alla mano assassina e occasione di nuove “chiamate” nella giovane Africa alla sequela di Cristo.
A cura di Marianna Micheluzzi (Ukundimana)
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