Le storie di guerra dei nostri tempi sembrano tutte uguali, e non perché le circostanze sono analoghe,ma perché vengono raccontate nello stesso modo.
I comandanti si dichiarano sicuri di vincere, i diplomatici rendono dichiarazioni preoccupate e i combattenti – che siano soldati del governo o ribelli, che li si rappresenti come eroi o criminali – millantano, minacciano, brandiscono trofei raccapriccianti e sparano proiettili e stupidaggini in egual misura.
E sono sempre uomini.
Nel mio paese, la Liberia, la guerra civile è stata raccontata così.
Negli anni più duri del conflitto, gli inviati stranieri venivano spesso a documentarne gli orrori. Leggete i servizi, guardate i filmati : a fare da protagonista è sempre il potere della distruzione. Ragazzi, a petto nudo con mitragliatrici enormi, a piedi o a bordo di pick-up, sparano a tutto spiano, girano scatenati per le strade distrutte o si accalcano intorno a un cadavere con il cuore sanguinante della vittima in mano. Un giovane con gli occhiali da sole e il basco rosso guarda dritto nell’obiettivo della videocamera e dice con freddezza.”Vi uccideremo e vi divoreremo”.
Adesso guardate di nuovo le immagini, ma con più attenzione : osservate lo sfondo, perché è lì che trovate le donne.
Ci vedrete fuggire, piangere, inginocchiarci sulle tombe dei nostri figli.
Nei racconti tradizionali di guerra, noi donne siamo sempre in secondo piano La nostra sofferenza è solo una nota a margine della storia principale; quando parlano di noi è per citare casi umani. Se poi siamo africane, trovarci relegate dietro le quinte e descritte con compassione è ancora più possibile. Espressioni disperate, vestiti stracciati, seni cadenti. Vittime. E’ quella l’immagine cui il mondo è abituato, ed è quella che vuole vedere.
Un corrispondente dall’estero una volta mi ha chiesto :” Lei è stata stuprata durante la guerra liberiana?”
Quando ho risposto di no, ha perso ogni interesse per me.
Durante la guerra in Liberia, quasi nessuno ha descritto altri aspetti della vita delle donne : il fatto di nascondere figli e mariti ai soldati che li cercavano per reclutarli o per ucciderli, di percorrere chilometri a piedi in mezzo al caos alla ricerca di cibo e acqua per la famiglia, di andare avanti con la propria vita per avere qualcosa da cui ripartire quando la pace fosse tornata.
Quasi nessuno ha raccontato della forza che abbiamo trovato nella sorellanza, e di come abbiamo preteso la pace a nome di tutti i liberiani.
Tratto da "Grande sia il nostro potere"-Corbaccio editore
a cura di Marianna Micheluzzi (Ukundimana)
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