Il Tribunale penale internazionale per il Rwanda (Tpir), la cui sede è ad Arusha , in Tanzania, ha finalmente emesso la sentenza di condanna ,cioè la detenzione a vita, nei confronti di Idelphonse Nizeyimana, ex-dirigente dei servizi segreti ruandese durante gli anni in cui nel Paese era presidente Juvenal Habyarimanana, riconosciuto responsabile dell’uccisione di Dowanger Rosalie Gicanda, regina dei tutsi e figura simbolo per moltissimi ruandesi.
Naturalmente la condanna non riguarda solo la morte della regina dei tutsi ma anche l’assassinio di centinaia di altre persone all’epoca di quell’inferno che fu il “genocidio” del Rwanda, a partire dall’aprile del ’94, con circa un milione di morti barbaramente ammazzati.
Nizeyimana non salda, però, il conto per gli stupri commessi da lui e dai suoi sgherri.
Il Tribunale in merito non l’ha riconosciuto colpevole.
D’altra parte un “duro” ergastolo può bastare al quarantottenne, a suo tempo ufficiale eccellente della scuola militare di Butare e membro attivo di Akazu, una loggia segreta ruandese, una specie di mafia all’africana, che aveva pianificato a tavolino lo sterminio di tutti i tutsi, rei semplicemente d’essersi distinti,almeno in buona parte ,durante e dopo il periodo coloniale, per ruoli professionali di grande responsabilità e altamente qualificati.
Il Tribunale penale internazionale per il Rwanda (Tpir) al momento ha esaminato solo 72 casi.
La mole di lavoro è ovviamente notevole e i tempi sono necessariamente quelli africani.
Condanne e pene comminate riguardano in tutto appena17 persone.
Il problema purtroppo è anche quello che molti degli imputati, a sentenza emessa, ricorrono in appello.
Per chi volesse avere un’idea, in presa diretta dell’impegno di lavoro del Tpir, c’è un libro-testimonianza di Silvana Arbia, oggi capo della cancelleria della Corte Penale Internazionale de L’Aja, che è stata magistrato in alcuni di questi processi, anni addietro, prima brevemente a Kigali e poi ad Arusha.
L’Arbia, nelle sue pagine infatti, racconta con dovizia di particolari la sua complessa battaglia di donna magistrato, perché giustizia fosse fatta nel rispetto di quelle migliaia di vittime innocenti.
E non esita a mettere a nudo, per quella che è stata la sua esperienza, le autentiche responsabilità dei carnefici nonché quelle “altre” molto gravi e strettamente collegate alla criminalità internazionale.
Senza nulla omettere.
Marianna Micheluzzi (Ukundimana)
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