Certamente nessuno lo sa ma, un tempo, e cioè tanti e tanti anni fa, in Africa, il leone aveva ali e zampe con unghia di ferro.
Quando non andava a caccia ed era in passeggiata, le sue ali erano ripiegate lungo i fianchi.
Diversamente,quando avvistava la preda come poteva essere, ad esempio, quella presente in un branco di gazzelle o di zebre, si levava scattante nel cielo africano e, roteando in alto,come un uccello predatore, con estrema precisione, la ghermiva.
Intanto si venne a sapere, perché le voci corrono anche in savana, che il leone custodiva in una grotta, lontano da occhi indiscreti , tutte le ossa delle sue vittime e, a guardia del “prezioso” tesoro (magia? stregoneria? esoterismo?), aveva collocato delle cornacchie dal capo bianco, che lui stesso di persona allevava e addestrava per quello scopo.
Le cornacchie aveva ricevuto, loro e le loro madri prima e le nonne e le bisnonne e le trisavole, l’ordine perentorio di non lasciare per nessuna ragione al mondo il nascondiglio. Erano insomma, tutto sommato, delle affidabili guardie.
Ma un ranocchio dispettoso, uscito dal suo stagno fangoso, un bel giorno pensò bene di fare visita alla grotta e di sfidare la potenza del leone.
E, con mille parole suadenti,una volta sul posto, fece capire alle cornacchie dal capo bianco che, se avevano voglia di andare a volare, facessero pure.
Sarebbe rimasto lui a guardia della grotta. E, soprattutto che non avessero fretta di fare ritorno.
E le cornacchie, lusingate da tanta disponibilità, accettarono su “due zampe”.
Una volta lontane, il ranocchio si diede da fare a cercare il tesoro del leone e cioè le ossa delle vittime, che il re della savana conservava con maniacale e, io direi, quasi religiosa cura.
Trovatele, le fece in mille pezzettini e poi, con tutta destrezza, riprese la via del “suo” stagno fangoso per non farsi trovare con le “zampe” in pasto.
Disperate le cornacchie al loro rientro, dovettero sorbirsi poi l’ ira del leone.
Ira ,che si propagò dappertutto con tremendi ruggiti, che raggiunsero persino l’assolato cielo africano di color senape,quando questi si accorse del terribile accaduto.
Le spiegazioni delle poverine gabbate furono,infatti,del tutto inutili.
Come inutile fu l’incursione allo stagno fangoso da parte del leone.
Il ranocchio, saltellando qua e là, e nascondendosi alla vista del leone nelle acque dello stagno, continuava a prendersi gioco di tutto e di tutti.
Soprattutto però dell’altezzoso leone,il quale, ad un tratto, avvertì chiaramente che le sue ali ormai sarebbero rimaste per sempre lungo i fianchi e che lui non avrebbe mai più potuto volare.
Perciò, impossibilitato e rassegnato, dovette arrendersi.
E da quel momento in avanti poté, sempre solo, inseguire, dopo affannose e complicatissime corse, le sue future ed eventuali prede.
A cura di Marianna Micheluzzi (Ukundimana)
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