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lunedì 18 giugno 2012

BABA FRANCESCO ON THE ROAD / APPUNTI DI VIAGGIO














Approfitto , cari amici ,delle prime ore del giorno per allontanarmi tempestivo da Iringa,dove mi trovo nella Casa Madre dei Missionari della Consolata in Tanzania, anche perché il macinare una manciata di chilometri”africani” (esattamente una sessantina),sia pure in fuoristrada, è preferibile farlo approfittando del fresco del mattino.
Ho lasciato Bunju e padre Giuseppe Inverardi, amico e confratello, da più di una settimana , per seguire, a Iringa, i lavori del Congresso Eucaristico Nazionale, un evento importante per i cattolici di questo Paese, scattare magari qualche foto decente e fare una o due interviste interessanti per il nuovo numero di“Enendeni”.
E nell’occasione, al Congresso ( circa seimila persone presenti e partecipanti) ho anche azzardato un breve intervento in swahili, per sottolineare l’ importanza dell’impegno politico di una Chiesa, che dice di voler difendere i poveri dalle ingiustizie.
Ma adesso è il momento d’incamminarsi alla volta di Ilamba. Regione di Udzungwa.
Si tratta di un appuntamento che è in agenda da troppo tempo. Ed è’ la prima volta poi che mi avventuro, da quando sono qui, in Tanzania, in un territorio di montagna.
”Dall’oceano all’altipiano e il suo contrario. Già fatto e quindi già dato. E adesso anche alle propaggini di una zona montuosa” – ripeto con qualche perplessità tra me e me.
Ma bando a pensieri disturbatori.
Inserisco la chiave , accendo il motore e, dopo qualche rinculo d’obbligo, sto proprio partendo.
Man mano che la mia Toyota s’inerpica,con una velocità che è quella consentita dal codice della strada locale, che severissimi poliziotti si premurano di fare assolutamente rispettare, pena salatissime multe, il paesaggio intorno inizia, in effetti, a cambiare.
Me lo avevano preannunciato.
E me ne rendo conto io stesso, chilometro dopo chilometro.
L’aria si fa più fine, molto più gradevole. C’è quasi fresco.
Si respira meglio e un anfiteatro di lussureggiante verde mi accoglie con piante spettacolari. Sono felci strepitose di almeno cinque metri di altezza.
E ancora altre specie endemiche, che farebbero la gioia di qualsiasi botanico delle nostre parti.
Mi attendono le suore della Consolata, il ramo femminile dell’Istituto, anch’esso presente ormai da parecchi anni in Tanzania.
Lo scopo della mia visita è quello di rendermi conto di persona, per poi raccontarlo in “Enendeni”, di quanto impegnativo lavoro, giorno dopo giorno, anno dopo anno , e con l’aiuto e la collaborazione di tanti amici, anche dall’Italia, è stato fatto da queste donne a Ilamba.
Personcine, che dire di loro straordinarie e coraggiose, è assolutamente riduttivo.
Samaritane che non si risparmiano in niente per la gente del posto e che potremmo definire un mix di “madre-coraggio”e/o di abili donne dell’organizzazione.
L’accoglienza è perfetta.
Fatta, com’è consuetudine, per mettere a proprio agio l’ospite.
Ma il mio intento è quello di visitare subito il nuovo liceo.
Liceo che queste “sante” donne e madri hanno aperto per i giovani del luogo e dei villaggi circostanti, quando ne hanno ravvisato l’urgenza.
Certamente sono venute prima le strutture (appunto con l’impegno solidale anche degli amici italiani,alcuni dei quali sono venuti fin qui a prestare manualmente la propria opera) e poi c’è stata la scuola materna funzionante per i bambini, i più piccini, che da queste parti sono tantissimi, le scuole primarie per i preadolescenti, quelle professionali per chi volesse imparare un mestiere e, infine, il sospirato liceo.
Ritornando al liceo, c’è da dire qualcosa di molto importante.
L’esigenza-urgenza della sua apertura si è manifestata intramandabile quando alcuni giovani e ragazze di Ilamba non riuscivano più a superare le classi, frequentando le normali scuole statali.
Quello delle scuole, in Tanzania ,come un po’ in tutta l’Africa, è un argomento complesso. E coinvolge anche le università.
Gli intoppi sono tanti e di natura diversa. Sia per i maschi che per le femmine.
Ma ci sono e sono reali.
Senza contare il costo oneroso degli studi, in termini di tasse scolastiche e di corredo, che ho constatato io stesso a Makambako, dove ho insegnato per qualche tempo in un liceo .
Anche se bisogna dire che molte famiglie in Africa, e quindi anche in Tanzania, fanno sacrifici enormi pur di far studiare i propri figli.
Pur essendo il liceo della missione “Stella del mattino”, in swahili ”Nyota ya asubuhi” , gestito interamente da personale tanzaniano, dal preside fino all’ultimo insegnante e al personale non-docente, l’accompagnamento didattico e formativo degli alunni consente a questi di raggiungere la conclusione degli studi, quasi sempre in maniera agevole e senza brutte sorprese e, anzi, con un buon profitto.
Le “nostre” suore sono attente vigilatrici dell’andamento.
E la disciplina ,che si esige, è rigida.
Tanzaniana, appunto.
Non si fanno sconti a nessuno. E per nessun motivo.
E “ i frutti”sono buoni”- mi previene una sorella africana, che affianca in molteplici attività il gruppo di lavoro .
E la dimostrazione mi viene incontro proprio mentre discuto con la superiora dell’argomento.
E’ un giovane docente del liceo, un tempo un ragazzo poco motivato, forse perché frustrato.
Oggi insegna invece, e con ruolo statale riconosciuto, nel liceo della missione di “Nyota ya asubuhi” delle suore della Consolata di Ilamba.
Parlo con lui, visibilmente orgoglioso della sua rivincita. La sua disponibilità ad aprirsi con me, per raccontarmi delle sue disavventure scolastiche passate, e della sferzata di motivazione e d’ impegno sopraggiunto poi a “Stella del mattino”, in un certo senso mi commuove.
E mi consente di apprezzare ulteriormente il valore di tutto quanto è stato fatto da queste “madri-coraggio”,tenere sì ma anche decise a non lasciare mai nulla d’intentato proprio come degli strateghi in battaglia , senza le quali, l’abbandono scolastico, il bighellonaggio e l’emarginazione, in questo luogo e nei territori limitrofi, sarebbero stati la regola.
Chi proprio tra i giovani preferisce piuttosto la manualità e desidera anche metterla a frutto, magari imparando un mestiere, trova qui (è sempre la superiora che mi racconta) una scuola professionale per divenire un buon falegname o un discreto meccanico. Oppure, ancora, può imparare ad allevare il bestiame, a tirare su muri e a curare i giardini.
E per le ragazze non mancano corsi di cucina e di taglio e cucito.
Tutto fatto con spirito di collaborazione e in buona armonia,dando una mano, nel tempo libero dagli studi, pratici e no, alla comunità delle suore che li ha accolti e adottati come figli.
Dopo un pranzo frugale ma condito di tantissima autentica simpatia e buon umore, nel pomeriggio inoltrato saluto queste persone “speciali”, le “suorine” di Ilamba, alcune delle quali adesso sono native del Tanzania, e non posso non pensare che è proprio vero che il bene “ostinato”, alla lunga, paga sempre.
E che l’ andare, per chi sceglie la “missione”,non significa altro che il non fermarsi mai finché non si è arrivati.
E da quel punto preciso d’arrivo avere ancora la voglia di ripartire. Di nuovo. Se è necessario.
Anche se hai quasi settant’anni.
Le ombre della sera sono prossime. Monto in auto e saluto in tutta fretta e con un cenno della mano dal finestrino della Toyota, che ha il compito di riportarmi a Bunju, prima che la notte africana sia troppo nera.
E un coro di voci amiche, di ogni età e provenienza, ricambia simpaticamente con un canto augurale.
Ecco, allora, cari amici, un altro tangibile e concreto “miracolo” di Maria Vergine Consolata e di tutti quelli, uomini e donne indifferentemente, che sono stati e sono capaci, all’occorrenza, di rimboccarsi le maniche per fare un po’ di spazio al bene, senza ostentazione, e alla speranza cristiana.
Anche lì dove l’impresa parrebbe impossibile.


A cura di Marianna Micheluzzi (Ukundimana)



















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