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mercoledì 24 luglio 2013

Su "Parola e tempo" di G.Ripanti /Estratto da una recensione di Paola Mancinelli

Mentore di questo percorso è Franz Rosenzweig, che inaugura la sua idea di nuovo pensiero inteso come pensiero della parola, dove la Parola è Parola Rivelata, come capacità creatrice originaria per cui le cose vengono all'essere. Dabar, l'ebraico per Parola è altresì il termine che traduce cosa. Tale istanza evidenzia che il linguaggio è oltre la mera strumentalità e sottende invece la capacità di lasciar av-venire l'essere, divenire Ereignis, avvenimento. Proprio questo recupero permette all'autore di riflettere sulla connessione fra linguaggio e tempo. La Rivelazione è, infatti, evento originario, ma necessita della storia per articolarsi nella sua eccedenza, e questo è già un necessitare dell'alterità e del tempo. Da questo punto di vista, il pensiero della Parola è dialogico, ha bisogno di prendere sul serio il tempo, perché ciò implica prendere sul serio l'altro. In ogni caso la connessione fra Parola e tempo è già stata ravvisata da Agostino nel Libro XI delle Confessioni, cui Ripanti dedica un ampio capitolo. Agostino elabora una vera e propria fenomenologia della temporalità, come categoria propria dell'ens creatum. Su questa si gioca innanzi tutto il rapporto fra Parola divina e ed eternità da un lato e dall'altro fra incarnazione e storia della salvezza. La parola umana è tempo dinanzi all'eterno, essa è, in egual modo, messa in crisi dinanzi al Verbo divino. Questa è la conseguenza di una infinita differenza ontologica; tuttavia il Verbo di Dio si è articolato in parole nel tempo: esortazioni, ingiunzioni, consolazioni, per questo motivo l'accoglienza ex parte hominis diviene in Agostino ermeneutica, sia dell'audire che dell'intelligere. Il dire di Dio ad intra (nella circuminsessione trinitaria) è contemporaneo al Suo dire ad extra (nel Verbo che contiene la ratio delle cose); questa idea patristica serve ad Agostino, non solo come risposta polemica ai Manichei ma anche ad individuare l'articolazione dell'eterna Parola di Dio nella creazione che sola dà inizio al tempo, ed- analogicamente- anche ad evidenziare come lo stesso pensiero sia generato dal verbum mentis, per cui è possibile il concetto come successione di immagine-suono. Ripanti mostra come tale idea sia ripresa dall'ermeneutica gadameriana per cui il pensiero è una prospettiva del riverbero linguistico o anche da Beierwaltes per cui, invece, la linguisticità si dà grazie al fondamento del verbum che pre-esiste ad ogni temporalizzazione. Se le cose stanno così, il linguaggio stesso si fonda su un'istanza fenomenologica che attiene alla sua verità ed all'articolazione del senso, intesa come verità del dire, nel giudizio. Avvalendosi di un abbozzo di fenomenologia del linguaggio che Italo Mancini aveva solo abbozzato, il filosofo di Urbino cerca di evidenziare un altro nodo fondamentale che è quello concernente il rapporto fra ermeneutica e metafisica. Nonostante la legittimità della critica heideggeriana circa l'oblio dell'essere, non si può comunque escludere, e di questo lo stesso Heidegger è certo che la stessa metafisica sia una grande metafora ove il rapporto fra esse et verum è portato al linguaggio, ma ove pure non può venire eluso il rapporto con la trascendenza ed il mistero, così che l'ermeneutica può giungere in soccorso in questo andare oltre, come Gadamer asserisce in un libro intervista dal titolo: L'ultimo Dio. In ultima analisi, il linguaggio in quanto casa dell'essere e fenomeno dell'esser-ci non può non implicare la storicità nel senso di una domanda radicale circa il male e la morte. Tale domanda, però, si radica sul mistero ontologico della libertà che riguarda Dio quanto l'uomo. Ecco allora proporsi il dialogo con Schelling, Pareyson e Duns Scoto, tre autori che tanto si sono misurati con la libertà in Dio, cercando di elaborare un pensiero capace di essere fedele all'idea di un Dio divino, non irrigidito in catture metafisiche. I tre filosofi vengono chiamati in causa secondo un ordine più speculativo che cronologico, come si può vedere. In effetti, Duns Scoto sembra completare ed integrare Pareyson laddove l'ontologia della libertà del filosofo torinese sembra a Ripanti esibire alcune ombre. Per Pareyson Dio è Bene scelto, ed il male è possibilità vinta che solo l'uomo tragicamente sarebbe in grado di risvegliare, Duns Scoto recupera la bontà di Dio concependo un Deus sive charitas, evitando così che la libertà divina causi unhysteron proteron rispetto al Bene divino. La stessa charitas si coniuga con la trascendenza e la libertà, quella libertà che, paradossalmente, volgendosi ad extra nella creazione è contingentia, ma solo così esprime la Sua volontà creatrice. Ed ecco ancora una volta la fondamentale questione di eternità e tempo radicarsi nel pensiero di una gratuità che si dona al linguaggio perché quest'ultimo si erge sulla capacità acroamatica, donde il recupero della radice ebraica ed il volgersi a Gerusalemme, senza però abbandonare Atene, perché ambedue le radici hanno fatto e fanno l'Occidente.

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