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lunedì 10 giugno 2013

Burundi in difficoltà /Permane la deriva autoritaria







Come in molti altri Paesi del continente africano anche in Burundi, di questi tempi, si vive, quanto a socialità allargata e qualità dell’esistenza, appena appena relativamente bene.

Omettendo volutamente le sofferenze che, in passato, i burundesi hanno patito, durante 15 anni di guerra civile e nel corso della tragica conflittualità, che ha visto, troppe volte, contrapposti in sanguinosi scontri hutu e tutsi, le due principali etnie, l’odierno potere politico (presidente Pierre Nkurunziza in carica) non lascia ai cittadini, né piccoli e meno che mai grandi, margini di espressione libera.

Per chi osa: scattano ,infatti, arresti e/o accadono incomprensibili sparizioni con ritrovamento, magari, di un cadavere. E, solo, dopo giorni e giorni di ricerche.

Comportamenti e agire (quelli della corretta protesta), che sarebbero, semmai legittimi e legittimati in una società democratica, lì dove puoi manifestare il tuo dissenso, se e quando è necessario.

E le prime spese, nel “nostro” Burundi,stando così le cose, le fanno ovviamente gli uomini della comunicazione libera e, naturalmente, i professionisti di radio e carta stampata.

Ma non è della stampa o dei “media” in generale, che intendo parlare. Se non indirettamente.

E’ necessario e doveroso, oggi, nella maggior parte degli Stati africani, mettere ordine, ad esempio, al caos catastale per quanto concerne gli immobili e la proprietà dei terreni agricoli, che sono passati, ultimamente, con eccessiva disinvoltura, attraverso (se così si può dire) troppi proprietari.

Il Burundi, per altro, è un paese prevalentemente agricolo.

La terra per i burundesi significa affrancamento dalla fame e dignità di vita per sé e per i propri figli.

Ora si può verificare, come è accaduto nel quartiere di Ngagara, giorni addietro, che una famiglia tutsi sia stata obbligata a lasciare con la forza l’abitazione,che un tempo apparteneva ad una famiglia hutu, fuggita dal Burundi durante i massacri degli anni ’72-’73, la quale intende, com’è giusto che sia, riappropriarsene.

Situazione normale e legittima, dunque, in un “altrove”. Probabilmente,al massimo, ricorso legale e stop.

A Ngagara, invece, sono tafferugli con l’intervento della polizia locale e arresti conseguenti dei manifestanti.

Non c’è dubbio che occorra il rispetto della Commissione nazionale delle terre e altri beni(Cntb).

 Certamente.

Ma la stampa del luogo è del parere che il pugno di ferro adoperato dal “sistema”(l’operato, anche quello pregresso, della Cntb è molto contestato nel Paese dalla gente comune) possa arrecare soltanto nuovi danni e favorire tensioni etniche, forse mai del tutto sopite.

Radicalizzare, inoltre, le posizioni e alimentare, tout court, la sfiducia dei cittadini.

E le questioni da dirimere sono tantissime.

Specie se si considera che il rientro dei rifugiati hutu ammonta a più di 700 mila persone.

Ma nel paese di Nkurunziza, pure nella consapevolezza che l’argomento è estremamente delicato, di quelli insomma da maneggiare con estrema cura, non si può né parlare, né scrivere di queste cose.

Ordine e bavaglio, insomma. E assenza di qualsiasi forma di dialogo con il potere in ogni campo.


          a cura di Marianna Micheluzzi (Ukundimana)

ndr.) Nella foto in alto Pierre Nkurunziza, presidente del Burundi

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