giovedì 6 giugno 2013
Ricordo di Kamiriithu (Kenya) /Teatro per tutti /Cultura che fa centro ma non piace
Kamirrthu è il nome di un villaggio kikuyu, situato a circa trenta chilometri a nord-ovest da Nairobi, la capitale del Kenya.
La maggior parte degli uomini e delle donne,spesso anche i bambini,qui lavorano nelle piantagioni di caffè o in qualche fabbrica fantasma (oggi c’è e domani non più) delle multinazionali occidentali.
Oppure c’è solo disoccupazione,quindi fame, e si vive alla giornata con espedienti occasionali.
In questo villaggio, negli anni ’70 del secolo appena passato, alcuni maestri di scuola e dei professori dell’università di Nairobi crearono un centro culturale per alfabetizzare gli adulti.
E, con la collaborazione degli abitanti del posto, spicciolo dopo spicciolo, nacque anche un teatro all’aperto, capace di ospitare almeno duemila persone.
Tra i docenti universitari di allora, insegnanti degli adulti, c’era anche il noto scrittore keniano Ngugi wa Thiong’o, il quale scrisse il primo testo teatrale in lingua kikuyu (I will Marry when i want), che viene poi subito messo in scena,grazie all’impegno e alla disponibilità, di tutti i partecipanti della scuola.
La trama della pièce è ,appunto, un esproprio di terreno a poveri contadini da parte di una multinazionale.
Qualcosa di cui le persone avevano fatto o stavano facendo esperienza diretta o, quanto meno, ne avevano sentito raccontare da parenti e conoscenti.
Dopo ben nove rappresentazioni Ngugi viene, tuttavia, incarcerato e dal carcere ne uscirà dopo un anno, alla morte di Kenyatta.
Nel 1981 Ngugi wa Thiong’o scrive di nuovo, sempre per il teatro, un altro testo dal titolo “Maito Njugira (Mother,Sing for Me).
Qui si racconta l’ambiguità della libertà scaturita dall’indipendenza dal colonialismo. Secondo Ngugi,infatti, finito il colonialismo, con la nuova classe politica indigena è cambiato per la gente soltanto il colore dell’oppressione.
Lo spettacolo fu realizzato con l’apporto collettivo di diverse danze tradizionali e non solo del Kenya, canzoni in differenti lingue africane e tanti proverbi, intercalati nella recitazione, a dimostrazione di un effettivo patrimonio di antica saggezza popolare dell’intero continente.
Ma la “cosa”, come prevedibile, non piacque di nuovo alle autorità.
Ci furono espulsioni dal Paese e al centro culturale di Kamiriithu fu messa definitivamente la parola”fine”.
a cura di Marianna Micheluzzi (Ukundimana)
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