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lunedì 10 giugno 2013

Khartoum (Sudan) / Il petrolio continua a essere l'arma di ricatto per Juba










In una riunione speciale il presidente sudanese Al Bashir ha reso noto, al termine dei lavori, e senza il minimo tentennamento che, entro brevissimo tempo, il governo di Juba deve assolutamente cessare di offrire qualsiasi appoggio a possibili formazioni di ribelli anti-Kharthoum.

Diversamente cesserà nell’immediato la disponibilità a consentire il transito del petrolio dai territori sud-sudanesi fino ai porti del Mar Rosso attraverso i propri impianti.

L’accordo, raggiunto con enormi difficoltà mesi addietro, potrebbe, se alle intimidazioni non seguissero subito i fatti da parte di Juba, saltare in pieno.

E il discorso non si limiterebbe solo al petrolio ma anche alla sicurezza nazionale (così parla Al Bashir) dello stesso Sud Sudan,paese decisamente fragile al momento, che ha raggiunto la propria indipendenza dal nord appena nel luglio del 2011.

E dove c’è moltissimo lavoro da fare in tutti i settori della vita civile, a partire dalle infrastrutture del tutto mancanti, e poi nell’istruzione e nella sanità.

E questo dopo un ventennio di pesante guerra civile, che ha lasciato dietro di sé, quanto ai danni alla popolazione, parecchi rancori, morti e devastazioni. Dall’una e dall’altra parte.

Come sappiamo petrolio, gas naturale e altri minerali pregiati sono tutti concentrati in quella che è la zona meridionale di quello che una volta fu il grande Sudan .Cuore nero dell’Africa.

Ma la popolazione meridionale, in prevalenza cattolica rispetto al nord di confessione musulmana, è dedita a occupazioni come l’agricoltura e la pastorizia ed è lontana anni luce da una certa familiarità con le moderne tecnologie.

Si spiega, pertanto, così il tono imperativo adoperato da Khartoum, che sa benissimo che petrolio equivale a denaro in termini di entrate.

E che il denaro è assolutamente necessario a Juba per cominciare soltanto a pensare di poter camminare con le proprie gambe.

Al Bashir( non senza ricavare ovviamente il suo di profitto) fa momentaneamente da stampella.

Una stampella che però, alla prima disobbedienza, può anche venire meno.

E, come sempre, a farne poi realmente le spese sarà la gente comune, che già oggi, specie quelli che hanno lasciato il nord in tutta fretta nel luglio 2011, si barcamena come può.

Senza casa spesso (molti alloggiano in totale promiscuità nei campi-profughi) e senza certezze occupazionali in prospettiva.

           a cura di Marianna Micheluzzi (Ukundimana)

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