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giovedì 20 giugno 2013

Cameroun / Parliamo dei Kirdi / Ricordo di Jean Marc Ela








Il racconto, e con dovizia di particolari, dei Kirdi, una popolazione di contadini-pastori del nord-est del Camerun è opera del teologo e sociologo Jean Marc Ela ne “La mia fede d’africano”, uno scritto nato dopo la permanenza e l’esperienza fatta dall’abbé, stabilitosi dopo il completamento degli studi a Lovanio e a Parigi, per un certo lasso di tempo presso di loro, nei primi anni ’80, di quello che è stato, appunto, il secolo appena passato.

Oggi Jean Marc non è più con noi. Ha fatto ritorno alla casa del Padre.

Ma i suoi libri continuano ad essere letti con molto interesse in quanto monito e giusta provocazione per chi fosse scettico sulle reali possibilità di un cambiamento dell’Africa anche solo grazie all’ausilio di strumenti come può essere una spoglia fede evangelica.

Quella che Ela amava praticare da sempre e testimoniare nei suoi incontri.

Apriamo il libro a pag 136 (Edizioni Dehoniane Bologna-1987) e siamo in piena riunione di comunità.

La comunità, appunto, dei Kirdi.

Quella volutamente scelta da Jean Marc perché piuttosto tagliata fuori dal resto del Paese.

Idonea, per lui, più delle altre per la verifica di quanto il messaggio di Cristo possa incidere (senza mediazioni distraenti) e cambiare le cose, se lo si vuole.

E migliorare di conseguenza, in piena armonia, la qualità della vita della gente.

Omettendo, certo, le grandi pretese.

Si tenga presente, inoltre, che vivere la comunità è fondamentale sopratutto nelle società contadine.

E questo poi , specie in Africa, dove non necessariamente l’assemblea ha una connotazione politica, come è accaduto e può ancora accadere ,ai nostri giorni, per esempio, in America Latina.

Ma essa fa ugualmente scelte che potremmo definire “politiche”(è quello che Ela vuole dimostrare nell’esperienza dei fatti accaduti) in quanto connotate di buon senso e vantaggiose, in genere, per la collettività.

L’occasione iniziale dell’incontro è certo l’ascolto della “Parola” ma ai presenti, grandi e piccini, viene subito posta e (di rimbalzo essi stessi poi se la pongono) una domanda.

Perché siamo diversi ? Perché siamo così poveri?

Quando si è parlato in precedenza di Adamo ed Eva - Ela chiarisce - che subito i presenti hanno puntualizzato che loro, proprio loro, sono stati tra i primi, forse, di quelli cacciati fuori dal “giardino”. E mandati qui a espiare la propria colpa sulle montagne dall’agricoltura grama.

Ma poi –è sempre Ela che racconta – essi, tra un commento e l’altro, ad alta voce, hanno cominciato a riflettere su cose concrete, senza più piangersi addosso.

Per esempio, guardandosi intorno e pensando ai loro campi e al loro bestiame in difficoltà, hanno riflettuto sulla mancanza d’acqua.

Che cosa si poteva fare?

Ecco che la comunità decide che bisogna darsi da fare per scavare pozzi e, giorno dopo giorno, con fatica e con sudore, tutti o quasi tutti all’opera, qualcosa comincia a cambiare.

I villaggi circostanti,nonostante le distanze, addirittura, favoriscono l’impresa, aiutandoli ad installare le tubature per portare l’acqua nei luoghi in cui essa necessita maggiormente.

E poi , un discorso tira l’altro,spunta fuori anche il problema “salute”.

Si nomina,allora, un gruppo di saggi, e si pensa di contribuire un po’ tutti, autotassandosi, per l’acquisto di medicinali per la comunità, in modo da possedere finalmente in proprio, senza ricorrere a terzi, un’autentica piccola farmacia.

E stessa cosa vale per l’istruzione dei figli, seppure i genitori non siano mai andati a scuola.

Nasce infatti, in quattro e quattro otto, un comitato dei genitori degli studenti con un tesoriere, responsabile della cassa comune.

In che modo si realizza il denaro necessario?

Lavorando comunitariamente i campi ,si provvede in questo modo a pagare maestro , divisa e libro per tutti i bambini.

Ed è per Jean Marc un risultato assolutamente strepitoso .Lui, camerunense, figlio dell’Africa nera.

Gli adolescenti, i giovani, sanno poi che andare a lavorare in città significa guadagnare soldi da poter spendere a proprio piacimento e vorrebbero andare. E mordono il freno.

Ma, anche in questo caso, discorso dopo discorso, riflessione dopo riflessione, si decide (decidono essi stessi persuasi) che forse è meglio restare al villaggio e coltivare le arachidi da commerciare .

Le donne, invece, oltre che dare una mano con le arachidi per estrarre l’olio, hanno anche imparato a confezionare abiti, che possono vendere ad altre donne nei giorni di mercato.

        a cura di Marianna Micheluzzi (Ukundimana)

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