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martedì 25 giugno 2013

L'immigrato non è il"problema" /Il problema siamo noi





Urge integrazione per l’immigrato. Basta, infatti, con i vuoti e assurdi giri di parole con cui ci assolviamo di continuo.

E, peggio che mai, con i triti pregiudizi razziali .

Esternati ,persino ,negli stadi.

Pena l’aggravarsi inevitabile di una situazione già, socialmente, parecchio difficile per tutta una serie di concause che, sommate, potrebbero portare anche alla deflagrazione del Sistema”.

In quanto è provato, e da studi non di oggi, che colui o colei (immigrati), che nel fatidico “click day” non è riuscito, a suo tempo, a regolarizzare la propria posizione per ottenere il permesso di soggiorno nel nostro paese, possa commettere più facilmente di altri delle azioni illegali.

Dati alla mano, al 10% degli immigrati illegali nel pianeta è attribuibile, secondo ricerche serie, il 70% di quelli che sono i reati compiuti, nello specifico, appunto, dagli immigrati.

Quegli immigrati, di cui, a casa nostra, lamentiamo, ma senza mai individuare un minimo di soluzioni, che sono piene le carceri.

Puntare sulla regolarizzazione certo che non è la panacea .Ma un buon passo in avanti lo è.

Tenderebbero a scomparire, per esempio, ricatti come quelli del lavoro in nero e dell’affitto dell’alloggio a cifre da strozzinaggio.

E sappiamo tutti cosa è anche se, per miope egoismo o semplice superficialità, facciamo finta poi di non sapere.

E il vantaggio del paese ospitante, con l’auspicata regolarizzazione (e cioè “non ci sono più stranieri) , sarebbe, semmai, subito quello delle maggiori entrate fiscali.

Che non è poco,vista la situazione in cui versa l’Italia ,con le casse dello Stato un tantino “anemiche” o in costante dieta dimagrante.

Occorrono politiche, insomma, improntante alla razionalità. Questo se si vuole uscire dall’impasse.

E sono tutte cose che,da vent’anni a questa parte, si dicevano già negli ambienti delle organizzazioni non governative(ong), delle varie “caritas” o comunque associazioni umanitarie.

E lo si diceva,se si vuole, anche con una sottile vena di egoismo, pensando allora a quel futuro che è l’oggi ,che sarebbe venuto e che noi stiamo vivendo nient’affatto bene.

E, per di più, il cammino d’integrazione dello “straniero”, del migrante, andrebbe vissuto(grande merito a chi lo ha già messo in pratica) in tutte le nostre città ,e nei nostri ambienti , con quel supplemento di umanità, tanto a livello individuale che comunitario, che è indispensabile per vincere legittime paure, le forti solitudini e l’ atrofizzazione dei rapporti umani.

Come, spesso, é.

Questo, però, significa sapersi confrontare con culture e religioni differenti (istruzione e formazione), mettendo in gioco tutte le proprie competenze e la propria esperienza di persona.

E bisogna farlo .

Tramandare, semmai, è il “non senso”.


           a cura di Marianna Micheluzzi (Ukundimana)

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