mercoledì 5 giugno 2013
Tanzania Mission /La pazienza genera bravi figli? /Una "contabilità" differente
“Nos numerus sumus”. Così scriveva il poeta latino Orazio, oltre 2.000 anni fa, per deplorare la triste condizione sociale di tanti uomini e donne “senza personalità”. Sono “numeri”, utili solo per riempire caselle, compilare statistiche e comporre grafici da consegnare ai registri, riposti in scaffali già polverosi, o ai data base dei computers.
Tuttavia i numeri parlano: perché un conto è intascare 10 euro e un altro è contarne 10.000. Un conto è avvalersi di 100 collaboratori e un altro doversi accontentare di 10...
Nel 2011 i missionari della Consolata in Tanzania erano 65, mentre oggi sono 53. È un impoverimento. Alcuni missionari hanno lasciato il paese per ragioni di salute e altri sono deceduti. Perdita certamente gravissima fu quella di padre Salutaris Lello Massawe, superiore della Regione Tanzania, annegato il 25 ottobre 2012 nell’Oceano Indiano.
Il successore, padre Erasto Mgalama, ha raccolto un’eredità spinosa. Ma non mancano coraggio e speranza. Segno eloquente è stata l’apertura della nuova parrocchia di Mjimwema, “figlia” della comunità di Kigamboni, pur con il personale ridotto all’osso. Ora sono entrambe parrocchie, con due parroci e stop!
“Ringrazio tutti i missionari per il loro buon servizio, nonostante le difficoltà - scrive il nuovo superiore, padre Mgalama -. Visitando le varie comunità, ho trovato cuori generosi nel vivere la vita religiosa e nell’impegno di evangelizzazione. Ringrazio pure quanti hanno contribuito economicamente alle necessità della nostra Regione”.
Ciò detto, padre Mgalama si toglie qualche sassolino dalla scarpa domandando: “Come mai alcune parrocchie, gestite da Istituti missionari, devolvono alla propria Congregazione un terzo delle loro entrate, mentre le nostre comunità non donano neppure le offerte delle Messe?”.
Al riguardo, è opportuno ricordare che, ogni mese, tutte le parrocchie del Tanzania devono versare alle diocesi di appartenenza il 10 per cento di tutte entrate. Senza scordare che alcune questue sono ipso facto proprietà del vescovo. E se sua eccellenza viene in parrocchia per le cresime, non può mancare il grazie pecuniario finale.
“Auri sacra fames” sentenziava un altro poeta latino, di nome Virgilio, amico del citato Orazio. È una frase da tradursi correttamente: la fame dell’oro-denaro non è “sacra”, ma “esecranda”! Però le ristrettezze economiche sono un problema vero. E non lo si può risolvere battendo solo cassa presso i fedeli in chiesa, già vessati dallo stato.
“Enendeni” (l’unica rivista missionaria del Tanzania, prodotta da missionari della Consolata) ha domamdato all’anziano padre Egidio Crema: “Dopo 62 anni di Tanzania, segnalaci qualche pecca del paese”. E la risposta del vecchio ma perspicace padre Egidio è stata: “Alla mia età, a che pro ricordare le magagne del Tanzania? Magagne che tutti hanno... Con i miei 90 anni alle porte, è assai meglio che mi metta nelle mani del buon Dio, e basta”.
Padre Crema sa, soprattutto, guardare lontano. E che significa “guardare lontano”? Risponde il superiore padre Mgalama.
“Guardare lontano è individuare le difficoltà autentiche, cogliendone con coraggio le sfide; questo è già l’inizio della risoluzione dei problemi. Guardare lontano è prenderci come siamo, con i nostri pregi e difetti, per poi puntare maggiormente sui primi che sui secondi. Guardare lontano è prendere decisioni forti, pur con perplessità. È inutile aspettare il tempo della chiarezza assoluta per decidere. Guardare lontano è ricordare che in noi opera lo Spirito Santo, che non può essere sopraffatto da niente e da nessuno...” (Cfr. Enendeni, machi-aprili 2013).
In altre parole, “guardare lontano” è far spazio alla verità e alla giustizia. Istanza stravecchia e ripetuta a iosa, ma di scottante attualità in Tanzania.
Arusha, 5 aprile 2013: il nunzio apostolico, arcivescovo Francisco Padilla, sta consacrando una nuova chiesa in citta’. Scoppia una bomba: 4 morti, circa 60 feriti, panico inenarrabile. E domande angoscianti: perché è stato scagliato quell’ordigno e per colpire chi? È il gesto sporadico di uno solo o, alle sue spalle, c’è una rete con tante maglie? L’assassino è cristiano, ebreo, musulmano, induista?
Il cardinale Polycarp Pengo, arcivescovo di Dar Es Salaam, esclude la matrice religiosa in quel gesto criminale.
E al sottoscritto, piace saperee che a scagliare quella bomba vergognosa non sia stato un fratello luterano, né un sunnita, né un ortodosso, né nessun altro credente. Sarebbe una disgrazia all’ennesima potenza se, ancora una volta, Caino uccidesse Abele.
“Pero la verità, anche se scomoda, deve emergere ed essere detta” afferma pure Pengo.
E la verità è che, da troppo tempo, il governo del Tanzania ha la bocca cucita di fronte ad un susseguirsi di pubblici misfatti in ambito religioso. Per esempio:
- 12 ottobre 2012: poiché un ragazzo urina sul Corano, le chiese di Mbagala (Dar Es Salaam) vengono saccheggiate;
- 26 dicembre 2012: a Zanzibar ignoti feriscono padre Ambrose Mkenda con armi da fuoco, mentre esce di chiesa;
- 17 febbraio 2013: ancora a Zanzibar, altri ignoti assassinano padre Evarist Mushi, mentre si reca in chiesa...
Infine la bomba del 5 aprile scorso ad Arusha, senza scordare che anche varie chiese protestanti sono state attaccate.
“La pazienza è madre di bravi figli” recita un proverbio swahili (“Subira huzaa bwana mwema”). Un proverbio certamente saggio, come tutti i proverbi, ma secondo la cultura del “domani”. Mentre Il vangelo di Luca afferma: “oggi” si compie la profezia (cfr. Luca 4, 21). E il missionario Paolo incalza: “ora” è il tempo della grazia e della salvezza, non domani.
Ebbene, ragazzo mio, non dormire (cfr. 2 Corinti 6, 2 e Romani 13, 11).
La pazienza è madre di bravi figli? Non è detto. È sicuro, invece, che la giustizia e la verità generino ottimi rampolli.
di Francesco Bernardi (IMC)
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