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venerdì 14 giugno 2013

Chi sono le "spose" di Dio in Ghana ? / Religione o barbarie?








Grazie alla mostra organizzata dalla Rivista Africa dei Padri Bianchi, dal titolo “Spezziamo le catene”, di cui “Missioni Consolata”, nel numero di giugno, ha redatto un dossier interessante e, attraverso la serie più che realistica d’immagini fotografiche, che la mostra stessa propone, è possibile, ancora una volta, riflettere su certe realtà terribili, che credevamo scomparse definitivamente.

E che, invece, così non è.

E mi riferisco, in particolare,una per tutte, a quanto accade normalmente, ad esempio, nei villaggi del popolo “ewé”, in Ghana.

Qui centinaia di bambine e adolescenti sono offerte con grande disinvoltura, dalle proprie rispettive famiglie, ai “sommi” sacerdoti dell’antica religione tradizionale locale.

Il motivo è che bisogna espiare colpe commesse in precedenza da uno qualsiasi dei familiari. E, naturalmente, a compiere questo sacrificio devono essere proprio le figlie femmine.

In questo modo si placano le ire del dio Troxovi, una potente ed esigente divinità, secondo gli “ewé”, che alberga lungo le sponde del fiume Volta.

Le fanciulle ,fin da piccolissime, e per tutto il resto poi della propria esistenza, sono costrette a lavorare come schiave per i sacerdoti di questa religione tradizionale e a soddisfare, nel caso, anche i loro bisogni sessuali,mettendo al mondo numerosi bambini, la cui sorte è pari a quella delle madri. Essere cioè, a loro volta, dei poveri schiavi.

Comprensivi per quanto si possa essere nei confronti delle culture “altre”, secondo certa antropologia culturale, questa di cui sopra non è altro che una “barbarie” tout court, che va ad affiancare quella parimenti assai deplorevole del traffico di prostitute, del mercato dei bambini, dello sfruttamento dei minori nelle miniere e dei baby-soldati.

La speranza è che la denuncia “gridata”, e sempre più ad alta voce, alle coscienze “attente” possa tradursi, per gradi, e per quanto difficile sia, in impegno umano e sociale fattivo.

E così la barbarie (penso alle fanciulle ewé) e le barbarie abbiano termine. Non c’è nulla, infatti, di più esecrando del fare di una persona, qualsiasi persona, quale che sia la provenienza e il colore della pelle, “merce” di scambio.

              a cura di Marianna Micheluzzi (Ukundimana)

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