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giovedì 23 maggio 2013

Francesco Canova raccontato da Luigi Accattoli /"La radice di un grande albero" -San Paolo Editrice /Fede e impegno a servizio dell'uomo






Pur avendo avuto negli anni universitari,oggi lontani nel tempo, una fitta corrispondenza con un amico “speciale”, che era medico del Cuamm e che prestava servizio in Africa, in località che definire impossibili, almeno per quei tempi (anni ’70) è un eufemismo (Wajir-Mandera nel nord-est del Kenya), e letto anche , di recente, quel “tesoretto” coinvolgente, che è “Il bene ostinato” di Paolo Rumiz, confesso che non avevo mai sentito parlare della figura di Francesco Canova, che del Cuamm, tantissimi anni addietro, a Padova, è stato addirittura il fondatore.

Ho colmato la mia lacuna grazie all’ultima fatica di Luigi Accattoli che, con il suo stile da provetto articolista di lungo corso, propone al lettore l’ incontro affascinante con un uomo, che dire straordinario, è solo riduttivo, il quale è stato al tempo stesso medico, missionario e cosmopolita.

Ed è stato un cosmopolita quando solo il pensare di andare in giro per il mondo, a curare chi ne avesse sul serio necessità, in Paesi difficili, non era certo una pratica consueta tra i “samaritani” di casa nostra, intenti piuttosto a rincorrere parcelle sostanziose.

Ma per comprendere la personalità eclettica di Canova, uomo di fede e di impegno, non certo personalità di ribalta, occorre riandare col pensiero agli anni del pontificato di Giovanni XXIII e di Paolo VI, alla “Pacem in terris” e alla “Populorum progressio” e a tutto quel clima culturale durante, e immediatamente dopo, il Vaticano II.

Quelli, infatti, sono stati per il nostro, anni speciali, anni di scandaglio e approfondimento della sua formazione umana e professionale, iniziata, con grande anticipo sui tempi, da giovanissimo studente, nelle aule di liceo e , successivamente, in quelle dell’università alla Facoltà di Medicina di Padova.

E, proprio a Padova, Francesco Canova (classe 1908) , nel 1949, finita la guerra, e rientrato dalla Giordania prima, dove aveva subìto anche il campo d’internamento ad opera degli inglesi occupanti e da Gerusalemme poi, dove aveva svolto la libera professione, propone a Girolamo Bortignon,il vescovo della diocesi padovana, la realizzazione di un collegio per la formazione di medici missionari.

Uomini e donne che, indifferentemente, possano prestare in libertà la loro opera nelle missioni da laici .

Ossia senza professione alcuna di voti.

Bortignon apprezza l’idea e approva il progetto, per cui nel 1950 nasce ufficialmente, nella città di Padova, il Cuamm. Cioé il Collegio universitario aspiranti medici missionari.

E da quel momento in avanti inizia un’avventura straordinaria.

Protagonisti, appunto, ne sono uomini e donne, fortemente motivati, che raggiungono differenti Paesi in terra d’Africa, e poi nel tempo non solo quelli, magari anche in compagnia del coniuge.

Cosa che accade attualmente ,per esempio, nell’ospedale di Ikonda, in Tanzania.

Il marito è medico-chirurgo, la moglie si occupa della reception. Non importano i nomi.Non è questo ciò che conta. Il bene si fa nel nascondimento.

I due lavorano e si collaborano. Sono sereni e dispensano,assieme alle cure, serenità a chi ne ha tanto bisogno.

Un balzo in avanti più che valido avverrà, però, nel 2002 quando il Cuamm affiancherà, da “padre nobile” in un certo senso, Medici con l’Africa, l’ong torinese,che punta, per statuto, a creare realtà sanitarie paritarie in Africa. Cioè medici e personale sanitario omologhi.

Niente più paternalismi, insomma. E questo non è certo poco.

Ma, nel luglio del 1988, Francesco Canova, che nel mentre aveva anche ottenuto la libera docenza in malattie tropicali, che insegnava e che aveva scritto diverse opere, la maggior parte delle quali a carattere prevalentemente scientifico, è chiamato a fare ritorno alla casa del Padre.

Ricordarlo, dunque(e ne siamo grati ad Accattoli), è doveroso non fosse altro per l’operosità senza risparmio da lui profusa in ogni circostanza.

Bella o brutta, facile o difficile che essa fosse. Sul campo o in cattedra. Anche quando avrebbe potuto farne a meno.

Da testimone che ha metabolizzato da subito, a partire dall’accettazione della sua complessa storia personale (orfano di padre all’età di nove anni e grosse difficoltà economiche), gli insegnamenti del Vangelo (umiltà e pratica di giustizia) e ne ha fatto, con intelligenza e lungimiranza, scevre da qualsivoglia bacchettoneria, la sua principale ragione di vita insieme al grande amore per sua moglie, Reginetta, e per i suoi figli.

                 a cura di Marianna Micheluzzi

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